BASKET
– Thomas Calegari è un campioncino di basket. Ha anche vestito la casacca azzurra delle giovanili. La sua scuola, il Gobetti, lo ha intervistato. Ne riportiamo ampi stralci.
– Cos’è per te il basket?
“Potrei rispondere solo con una parola, tutto, il basket per me è la cosa più importante, un amore, iniziato quasi per gioco, e diventato una necessità, perché ne sento proprio il bisogno come se fosse una parte di me stesso. Il basket è un vero e proprio mix di emozioni che vanno dalla felicità alla tristezza, dall’amore al dolore. Uno dei pochi sport che ti fanno vivere un’infinità di emozioni, un vero e proprio stile di vita. Col basket ho imparato a conoscere cos’è lo sforzo e la sofferenza che ci vuole per raggiungere certi obbiettivi, ho imparato ad apprezzare ogni mio compagno di squadra, perché bisogna essere sempre uniti sennò non si va avanti, ho imparato che lavorare duro porta a grandi soddisfazioni, ma restando sempre con i piedi per terra. Il basket mi ha aiutato a maturare, mi ha cresciuto e mi sta accompagnando tutt’ora. E’ un vero e proprio amore che spero durerà tutta la vita.
Quando hai iniziato la tua carriera?
Tutto è partito nell’anno 2006: avevo smesso di giocare a calcio da un anno perché mi ero stufato, un giorno per pura casualità passai davanti ad un Campetto da basket e c’erano due miei amici che giocavano, così mi sono unito a loro e a fine partitella mi chiesero se volevo provare a giocare dato che ero alto e andavo bene per questo sport. Così iniziai a provare a Misano ma ancora non avevo questa grande passione, ero solo spinto dalla voglia di stare con gli amici. Ma pian piano mi prese sempre di più mi sentii catturato e visto che, oltre a piacerini come sport mi riusciva bene, iniziai ad appassionarmi molto. Così feci il mio primo campionato U16 nel Misano”.
Quando è avvenuta la svolta per te in questo sport?
Finito il primo anno a Misano ero certo di voler continuare nella stessa squadra perché mi trovavo davvero bene, Ci divertivamo molto al di là delle partite vinte o perse, e così è stato, almeno fino a quando non ricevetti una telefonata da parte di un allenatore della Scavolini che voleva propormi una specie di provino. Io emozionatissimo risposi immediatamente di sì, così andai all’allenamento: appena sceso in campo mi ero sentito un pesce fuor d’acqua, vedevo ragazzi che facevano esercizi di mai visti, di una diffficoltà mai vista. E tuttu con estrema facilità, degli ‘alieni’. Non mi sentivo proprio all’altezza, ma alla fine andò bene. L’allenatore mi disse che gli piacevo, che potevfo crescere, ma ch ero ancora indietro tecnicamente per affrontare un campionato nazionale. Così feci un anno dove mi allenavo tre giorni alla settimana con la squadra di Pesaro e due volte con quella di Misano, mentre le partite le giocvavo solo con il Misano. Fu un gran bel trampolino di lancio, iniziaia prendere gusto ad allenarmi, a faticare, perché vedevo che venivo ripagato con netti miglioramenti. Andò avanti così fino a quasi a fine stagione, quando ricevetti una chiamata imprevista dal Rimini Crabs. Anche loro avevano piacere che andassi ad allenarmi con loro per un periodo. Ma a differenza di Pesaro avevano intenzione di farmi partecipare ad un torneo.
Così accettai e feci quindi un secondo periodo di prova a Rimini e partecipai al torneo…”.
L’anno scorso hai esordito in serie A: quali sono state le tue emozioni? I tuoi pensieri?
“Ero già da inizio anno nel giro della serie A, mi allenavo sempre con loro oltre che con la mia squadra, e devo ammettere che ho avuto molta fortuna, anche se a discapito di un’altra persona: un giocatore della prima squadra poco dopo inizio stagione subì un infortunio grave, e quindi si era liberato un posto per un medio-lungo periodo che colmai allenandomi con loro, e andando anche in panchina. Era bellissimo, giravi l’Italia, andavi in palazzetti grandissimi stracolmi di gente. Le prime volte furono davvero dure, essendo abituato a giocare sotto gli occhi al massimo di un centinaio di persone, qui invece mi ritrovavo a fare riscaldamento in mezzo al campo contornato da migliaia di spettaori. Le prime volte fu durissima, ero agitato, avevo il fiatone, ero teso, mi sentivo piccolo piccolo in mezzo a tutto quel caos, ma poi ci feci l’abitudinme. Poi arrivò quel giorno, quel giorno che non scorderò mai, indimenticabile, era il 10.1.2010. Giocavamo contro il Ferrara in casa, come al solito mi recai al palazzetto ormai tranquillo sapendo che dovevo fare il mio riscaldamento e poi restare in panchina a incoraggiare e tifare i miei compagni. Ma non fu così: era l’ultimo quarto, mancavano tre minuti alla line, vincevamo di una ventina di punti, io ero tranquillo ancora seduto in panchina a godermi la partita fino a quando il medico, che mi era seduto affianco, mi disse: ‘occhio, preparati che entri probabilmente’, fu un fulmine a ciel sereno, mi girai con occhi impauriti, incredulo, all’inizio la presi come battuta ma dopo si girarono gli altri due giocatori della mia squadra e mi guardavano ridendo, io non capivo cosa stava succedendo, non sapendo se mi prendevano in giro o facevano sul serio, il tempo scorreva, mancavano due minuti ad un tratto l’americano della squdra che era in panchina si alzò in piedi, richiamandfo l’attenzione del pubblcio e incitò tutto il palazzetto a urlare il mio nome, accompagnato da tutta la panchina. Era una cosa incredibile, poi mi chiamò l’allenatore e mi disse: ‘E’ il tuo momento, vai al cambio’.
Furono tre secondi infiniti rimasi immobile, non ci credevo; 1,30 minuti al termine, palla fuori, l’arbitro fischia il cambio, mi alzo, stringo la mano al mio compagno che esce, entro in campo accompagnato da un caos tremendo, sentivo urlare il mio nome. Giocai 1.30 minuti, mi muovevo in mezzo al campo ancora incredulo, non poteva essere vero, io in mezzo al campo a giocare. Tempo un paio di cambi ed ebbi la mia prima occasione di fare canestro, mi son detto se non ci provo ora non ci provo più, ma la palla non entrò, ci fu una delusione generale accompagnata da un applauso di incoraggiamento. Alla fine l’arbitro fischiò, la partita finì con la nostra vittoria e venni abbracciato da tutti i miei compagni dì squadra, un’esperienza unica, tre minuti intensi di emozioni, tre minuti infiniti, tre minuti incancellabili che non scorderò mai”.
Attualmente dove giochi?
“San Patrignano, squadra che milita in C2 e contemporaneamente mi alleno ancora con la serie A del basket Rimini. Una scelta quasi forzata, visto che devo terminare la scuola e non potevo andare in cerca di squadre di livello più alto, perché sarei dovuto andare fuori città, trasferirmi. Ma adesso come adesso non rimpiango questa scelta, perché sto facendo esperienza giocando il mio primo campionato fuori dalle giovanili e poi, come tutti sapranno, San Patrignano è una comunità, un centro di recupero per la disintossicazione dalle droghe, quindi sono sempre a contatto con ragazzi della comunità e sono persone splendide, piene di storie da raccontare, storie della loro vita, che ti fanno riflettere, perché a volte non ce ne accorgiamo, ma siamo fortunati ad avere tutto quello che ci circonda, una famiglia, degli amici, ma loro, non avendo nulla di tutto questo, avevano trovato rifugio in un altro posto, un tunnel dal quale è difficile uscire: la droga”.
Luca Pronti, 4A