TERRA E TIPICITA’
di Matteo Marini
– A metà settembre alcuni pullman dalla costa sono saliti su, verso le colline del saludecese. Ne sono scesi un centinaio di turisti tedeschi pronti, con tronchesi e cesti, alla vendemmia. E dopo la fatica della pratica manuale, la degustazione guidata. Un’idea di turismo originale per portare i bagnanti dell’ultima coda dell’estate a scoprire e fare qualcosa di diverso: per esempio quello che c’è dietro la cortina di hotel che fa da quinta alla spiaggia e nasconde spesso tutto il resto. L’ha messa in pratica Franco Galli nei poderi della sua fattoria Torre del poggio. Vorrebbe essere un punto di partenza, uno spunto, per ripensare la valorizzazione del nostro entroterra promuovendo tutto il territorio e non solo i singoli.
Il matrimonio della famiglia Galli con la vite ha ormai compiuto un secolo. È cominciato tutto all’inizio del ‘900 col nonno di Franco, Antonio Galli. La fattoria è passata tra le mani del padre Elio per poi arrivare al nipote, l’erede di tutto e l’innovatore. Di generazione in generazione il vino è diventato molto più che un prodotto da tavola. La cultura e la qualità si sono affinate e ora la fattoria Torre del Poggio ha un posto tutto speciale all’interno della produzione vitivinicola riminese.
Franco è cresciuto nella cantina di famiglia. Il profumo del mosto e della fermentazione lo accompagnano da sempre. Ma assieme alla tradizione ha anche voluto imprimere quella spinta innovativa che rafforza qualsiasi attività, soprattutto quelle di lunga tradizione: “Devi conoscere anche cosa vuole il mercato – dice – per sapere cosa piantare e quale tecnica usare”. La qualità innanzi tutto, la tecnologia al servizio del prodotto non per alterarne la natura ma per valorizzarla: “La tecnologia ora permette di produrre con tecniche che esaltano i profumi e le caratteristiche dell’uva. Come la catena del freddo, con una fermentazione a temperature basse o la pressa soffice che separa le bucce dal mosto per il bianco, che così mantiene un giallo paglierino”.
Sui 12 vini imbottigliati nella fattoria Torre del poggio otto sono Doc, che certifica una qualità superiore e la tipicità della terra in cui vengono prodotti. Tra questi ci sono il cabernet sauvignon “Barone rosso”, il Sangiovese superiore e la rebola barricata “San Lodeccio”. L’origine di questo nome è curioso e risale alle novelle del Boccaccio. Filippo di Sanlodeccio è il protagonista di una delle novelle del Decameron, un fiorentino che in incognito fugge dalla sua terra natale. Il professor Chiaretti di Mondaino, dantista appassionato, avrebbe riconosciuto in questo personaggio la figura di Dante Alighieri. Come lui, anche il sommo poeta dovette fuggire da Firenze trovando rifugio in Romagna. Una storia affascinante che lega il territorio, la sua storia e la sua cultura enogastronomica in un’unica trama.
La fattoria Torre del poggio conta in tutto dieci ettari di terreno, un paio nel comune di San Giovanni in Marignano, il resto sono invece a Saludecio. Per una produzione di circa 30.000 bottiglie all’anno. Un’azienda rimasta sempre a dimensione poco più che famigliare ma, anche per questo, ha mantenuto un contatto con la terra e le sue peculiarità che le hanno permesso di non snaturarsi. La vendemmia fatta ancora a mano ne è la prova.
La vedemmia si è conclusa da poche settimane, nonostante sia stata una annata particolare, con pochissima acqua, le aspettative per la qualità della produzione sono promettenti: “Su consiglio dell’enologo – spiega ancora Galli – abbiamo anticipato la raccolta e l’acidità infatti è buona”. Ora è tempo di novello, un Igt prodotto da Torre del poggio con il metodo “Beaujolais”, la tecnica francese che prevede la fermentazione in botti chiuse sature di anidride carbonica “così si mantiene la tipicità del vitigno”. E un’altra particolarità sta nel fatto che il novello prodotto da Franco è fatto esclusivamente con uve nuove, senza usare (anche se la legge lo consentirebbe) una parte di vino vecchio. A testimoniare come i vini “Torre del poggio” siano un’eccellenza nel nostro territorio ci sono i numerosi podi conquistati al concorso annuale del premio San Clemente. Quest’anno il Sangiovese superiore è salito sul gradino più alto come miglior vino rosso.
E sul gradino più alto delle nostre valli sta l’altro gioiello della famiglia Galli. Il luogo fisico dal quale prende il nome la tenuta. È la Torre del poggio di Saludecio. Un edificio che risale al XV secolo completamente restaurato. “Era il capanno di caccia dei Malatesta – spiega Franco – con una torre (che poi è stata abbattuta) che serviva per ricevere e spedire i piccioni viaggiatori. Per comunicare con Rimini. Ha mantenuto la sua funzione e la proprietà per circa 200 anni. In seguito è passata in proprietà alla famiglia Arcignani di Saludecio e poi donata ai frati cappuccini dell’abbazia di Morciano”. Ora è un agriturismo con tre camere, un orto e cucina rigorosamente romagnola. Un ristorante di grande qualità, da dicembre aperto anche a pranzo su prenotazione. Attorno ci sono gli olivi (circa 200) della tenuta che forniscono olive, spremute immediatamente dopo la raccolta. Per un olio extravergine prodotto, imbottigliato e venduto direttamente al consumatore: dalla terra alla tavola, una filiera cortissima che contraddistingue anche il miele, le confetture e i prodotti da forno con etichetta Torre del poggio.
Uno sforzo premiato dai risultati, quello di Franco nel piccolo della sua azienda, che attende però anche altro: “Così come la vite e il vino sono una cosa unica con il territori è necessario anche uno sforzo comune – ribadisce – per abbandonare gli inutili campanilismi e andare per fiere a promuovere tutto l’entroterra, in sinergia”.