SGUARDI D’ARTISTA
di Annamaria Bernucci*
Viene da solidi studi scientifici anche se contestualmente ha maturato un curriculum artistico denso di apprezzate mostre e libri.Vive tra Romagna e Marche (è nato a Pesaro nel 1962) e riflette di queste terre una tempra tutta ‘montefeltresca’
– Sono anni che raccoglie oggetti e cose abbandonate; poi da vero collezionista le seleziona, le cataloga e dà loro una ritrovata identità. Questa volta sono diventate addirittura la traccia o meglio l’impronta per un nuovo sistema di segni. Gabriele Geminiani ha assecondato la sua inclinazione per un arte combinatoria che relaziona valenze multiple (manuali, concettuali, assemblative) pur correndo il rischio di entrare a far parte del novero degli gli artisti del ‘recupero’ o che trattano materiali riciclati. Niente a che vedere con ciò. Si muove invece per attitudine su un fronte di sottile poesia, evocativo.
Viene da solidi studi scientifici anche se contestualmente ha maturato un curriculum artistico denso di apprezzate mostre e libri. Vive tra Romagna e Marche (è nato a Pesaro nel 1962) e riflette di queste terre una tempra tutta ‘montefeltresca’: le vie della Valconca non hanno segreti per lui come non li hanno i litorali sulle cui rive raccoglie i suoi ‘feticci’ lasciati dal mare. Geminiani è anche scrittore, illustratore e in tempi recenti si è dedicato alla grafica d’arte producendo tra le altre cose un alfabeto di segni molto particolare, fatto con la sua ‘spazzatura’. Le figure grafiche che emergono sulla carta strappano un’ultima estensione di vita alle cose che erano diventate relitti. Geminiani le trasforma in un codice, un alfabeto per possibili (o impossibili) comunicazioni; il tratto lasciato sul foglio dalla loro sagoma o dalla loro scia mescola astrazione e figurazione, sconfina nei paradigmi dei sistemi di comunicazione.
In occasione della prossima mostra allo Studio Antao di Domagnano nella Repubblica di S.Marino, che aprirà il 7 ottobre ha risposto così ad alcune domande rivolte sul tema della sua ultima ricerca.
Cos’è Alfabeto Ultimo?
“Alfabeto Ultimo è uno studio sulle cose ritrovate/cose spazzatura che elaborata virtuosamente va a costituire un alfabeto dinamico e in continua evoluzione. In questo lavoro ho affrontato il tema della natura e dell’origine dei segni delle cose, la loro rappresentazione e messa in scena. Alfabeto Ultimo è anche una riflessione sui segni in quanto indizi, tracce disseminate nel paesaggio che custodiscono il mistero dell’origine di tutte le cose e di quel Tutto che ci ha generato. Noi non sappiamo come e quando quell’unità si è rotta. La ricostruzione di questi frammenti avviene attraverso un processo di lento svelamento delle cose, attraverso piccole, effimere rivelazioni, apparizioni di elementi colti nell’imminenza della loro cancellazione fisica. Penso che il compito dell’artista oggi non sia più quello di creare ex novo, ma di rendere visibile particelle di mondo decontestualizzate, tessendo relazioni formali e semantiche fra loro in grado di dare contenuto a nuove storie”.
Perché il ricorso al disegno e all’incisione?
“Ho pensato che per conoscere più a fondo le cose che da tanti anni vado raccogliendo avrei dovuto concedere ad esse lunghi periodi di attesa. L’intero processo è governato da un intenso atto di laica devozione, se così si può dire: un avvicinamento alle cose per lenta gradualità, dove entra l’osservazione delle forme e poi la loro traduzione sulla carta attraverso il disegno, primo appunto concettuale. Ciò significa silenzio e lentezza, un procedere nel lavoro che è visibilmente ostile alla velocità, che pare invece appartenere come un demone alla nostra epoca e ai media che la connotano. Morfologie inaspettate, celate e recondite mi balenano così davanti agli occhi e si svelano. Sempre con gradualità sono pervenuto all’incisione, un mezzo che possiede tempi di preparazione e di esecuzione lenti. Affascinato da sempre dalla pratica incisoria, calcografica o rilievografica, ho maturato verso queste tecniche una consapevolezza nuova e un esercizio disciplinato da regole e procedure precise, chimiche e fisiche; e ho immaginato il torchio come uno strumento capace di fecondare carte pregiate”.
Alfabeto Ultimo si presenta oltre che con interventi grafici con colate di gesso: che significato hanno?
“Paradossalmente il segno inciso, pur affidato ad una superficie bidimensionale come il foglio di carta, ‘emerge’ con una sua evidenza e rilievo, anche tattile, a volte. Questi segni ‘forti’ che sono al tempo stesso multipli mi hanno affascinato. In seguito sono stato indotto ad utilizzare una materia estremamente duttile e pratica come il gesso. Sono nate così le ‘colate’, che a differenza delle carte incise con la tecnica xilografica sono degli unicum: immergere l’oggetto nel gesso diviene per me un gesto estremo di salvataggio e assieme di purificazione. I frammenti delle cose perdute o che hanno smarrito la loro identità si riscattano ulteriormente. La quantità delle formelle di gesso create per Alfabeto Ultimo illustra un’altra componente del mio lavoro: moltiplicare cose e segni e accumulare tracce”.
*Direttrice della Galleria comunale S. Croce di Cattolica