LA STORIA
di Sergio Tomassoli
– Questa vuole essere la cronaca di un avvenimento nazionale, da pochi conosciuto, vissuto nel corso della mia vita militare iniziata nel 1952. Dopo il richiamo alle armi nella Marina Militare, vengo avviato presso il distaccamento di La Spezia e Taranto per acquisire specializzazioni, quindi definitivamente, destinato alla Stato Maggiore della Marina Militare – Ufficio Ricompense, presso il ministero della Marina Militare di Roma.
In quel prestigioso ambiente mi viene assegnato il compito di ricercare negli archivi notizie sugli scontri navali del passato, nonché sugli atti eroici compiuti in quelle occasioni dai marinai, trascrivendo su diplomi le onorificenze assegnate.
La mia attività, in pratica, era quella di un normale impiegato che, contemporaneamente, viveva la vita militare con il ricovero notturno presso la caserma Lante Della Rovere, salvo ogni due mesi, trascorrere anche la notte in ufficio al ministero, assieme agli ufficiali e sottufficiali del reparto. In quelle occasioni si trascorreva il tempo scrivendo a casa, o conversando con i compagni, adagiati su comodissime poltrone-letto.
Una di tali notti (estate 1953), tramite il servizio interno di posta pneumatica, gestito dai Carabinieri presenti in tutti gli ingressi, arriva un messaggio che giriamo al Capo Segreteria Guglielmo Belli, quindi seguito dall’immediata uscita dall’ufficio del comandante Leoni che ci comunica lo “stato di emergenza”.
Giornali e poltrone vengono fatti scomparire procedendo, secondo le istruzioni, al richiamo di tutti gli ufficiali dello Stato Maggiore dalle loro sedi, o sparsi nei luoghi estivi di villeggiatura, i quali in breve tempo, si presentano tutti al ministero.
L’emergenza era giustificata dall’avvicinarsi minaccioso delle truppe Slave al confine di Trieste, chissà con quali idee espansionistiche, forse illusi dalla politica remissiva fino allora tenuta dall’Italia nei confronti della Jugoslavia.
Contemporaneamente dall’Italia viene diramato l’ordine alle navi in navigazione e anche ormeggiate nel cosiddetto “Mar Piccolo” (1) di Taranto, di partire con i soli marinai di equipaggio rimasti a bordo.
I marinai in franchigia, tornando in arsenale, invece della propria nave trovavano i ‘furieri’ che li munivano dei documenti necessari per raggiungere in treno Venezia, per il rincongiungimento con la propria nave.
Con la stessa tempestività si muovevano da tutta Italia treni merci carichi di mezzi corazzati e i militari delle varie Armi. La pronta manovra, ordinata dall’allora presidente del Consiglio Giuseppe Pella, sorprende le truppe Slave, che dopo qualche esitazione si allontanano dal confine.
Il presidente Pella è stato anche l’unico che, contrapponendo alle navi Slave quelle della Marina Militare italiana, troncò il vezzo, allora assai diffuso, di tiranneggiare i pescherecci italiani che si inoltravano troppo nelle acque del Mare Adriatico.
(1) Il “Mar Piccolo” è una specie di lago attiguo al porto di Taranto, dove sostano vigilate le navi militari. All’occorrenza, passando sotto un ponte girevole di ferro che collega la parte vecchia di Taranto con quella nuova, le navi possono sboccare direttamente in mare aperto.