IL PERSONAGGIO
di Matteo Marini
– Rischiando di essere quasi banali la si può chiamare semplicemente curiosità. Che è il carburante che spinge tantissime scoperte dell’uomo, da Ulisse a Julian Assange. Senza abbandonarsi troppo alla tentazione della retorica, possiamo dire che anche il viaggio di Gabriele Benelli è cominciato così. Fin dalle scuole elementari. Marignanese, 36 anni, studioso, ora lavora al Cern, il centro di ricerca europeo che tanto ha fatto parlare di sé per gli esperimenti con acceleratori di particelle sulla fisica delle alte energie. Con i quali tentano di ricreare le condizioni dell’universo a pochi istanti dal Big Bang, l’esplosione che ha generato tutto. Scienziato di fede cattolica, si è sposato in California con Jessica, una giovane psicologa americana e ha due figli, Francesco e Antonio, ai quali parla in inglese e soprattutto in italiano.
Ora vive in Francia con la sua splendida famiglia, a Saint Jean (de Gonville) che a pronunciarlo suona proprio come il nostro San Giovanni in dialetto. Insomma tutto torna. Anche lui ogni tanto, in Italia, della quale ha sempre nostalgia, nonostante il suo sia uno delle migliaia di “cervelli in fuga”, mai pentito della scelta all’estero.
Insomma, state pensando di distruggere il mondo?
“Eh eh (ride), no anzi, stiamo tentando di capire come funziona”.
Allora andiamo con ordine. Che lavoro fai?
“Sono un fisico delle particelle al Cern di Ginevra. La materia è quindi la Fisica delle particelle o Fisica delle alte energie. Per capirci, lo scopo è quello di capire di che cosa è fatto l’universo”.
E… di che cosa è fatto l’universo?
“La materia che ci circonda si può scomporre in molecole, fatte di atomi. Gli atomi sono fatti di protoni e neutroni nel nucleo ed elettroni che orbitano attorno. A questo livello incontriamo già delle particelle elementari, ossia che non si possono spezzare: gli elettroni. I protoni e i neutroni invece sono a loro volta fatti di quark. La materia ordinaria dell’universo è composta di quark di una famiglia denominata Up/Down. Ma ci sono anche altri tipi di quark, altre famiglie. Più rare, con masse molto più elevate e che decadono velocemente. Studiamo quelle perche’ ci offrono una finestra sull’origine dell’universo e sulle interazioni che lo caratterizzano”.
E’ l’acceleratore di particelle che dovrebbe ricreare il Big Bang?
“Sì è così. Ci sono stati allarmismi ingiustificati a suo tempo. L’acceleratore di particelle è un circuito, un anello lungo 27 chilometri, che serve ad accelerare particelle, appunto, nei due sensi opposti, per poi lasciarle collidere in punti precisi lungo l’anello e analizzare le conseguenze dell’impatto con dei grandi rilevatori. È come un microscopio, che ci permette di osservare, grazie all’alta energia delle collisioni, la creazione di particelle di massa molto più elevata di quelle che costituiscono la materia ordinaria. Lavorando con le alte energie possiamo ricreare condizioni simili a quelle della formazione dell’universo. Questo implica anche la possibile formazione di un piccolo buco nero, ma senza le conseguenze che si possono immaginare. Anzi, sarebbe molto interessante poterlo studiare. Avrebbe un tempo di vita infinitesimale, non rischieremmo di essere inghiottiti. Garantito”.
La tua storia, da San Giovanni a ricercatore del Cern.
“La voglia di imparare cose nuove l’ho scoperta alle elementari, ogni mattina, con la maestra Maria Assunta Temellini. Ogni mattina ero impaziente di imparare. Ricordo ancora il fascino dell’idea che esistesse un “sapere totale” cui si può attingere studiando. Naturalmente questa idea si è complicata strada facendo e alla fine del liceo ero indeciso tra l’iscrivermi a Filosofia, Architettura o Fisica. Ho scelto Fisica”.
Perché?
“Al liceo, durante le lezioni di fisica, la prof. tirava fuori problemi da risolvere. Che all’inizio sembravano impossibili. Ecco, è il gusto di spiegare qualcosa, anche attraverso una certa dose di ‘furbizia’, un’intuizione, di trovare la soluzione a ciò che sembra irrisolvibile. E la stessa cosa ho provato quando abbiamo fatto visita ai laboratori dell’Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare ndr) sotto il Gran Sasso”.
Poi l’università. E sei diventato un cervello in fuga…
“Sì a Bologna ho avuto ottimi professori. Tra i quali Zichichi e Giacomelli negli ultimi anni. E Attilio Forino al primo anno. Uno che la fisica te la faceva amare. La prima “fuga” è stata quella dell’Erasmus. A York, in Inghilterra. E già lì ho notato come fosse tutto un altro mondo rispetto all’università italiana”.
Spiega.
“In Italia, questo è quello che ricordo io, eri considerato un numero di matricola, un peso, fino a quando non diventavi laureando e cominciavi a lavorare in un gruppo. In Inghilterra e negli Usa invece lo studente è al centro. I professori hanno interesse che tu apprenda e che superi bene un esame. Secondo un criterio molto meritocratico e senza cercare di liberarsi degli studenti con esami dove sono richieste conoscenze non insegnate durante il corso. Questa è stata, diciamo, l’inizio della fuga.
Nel 1998 ho preso una borsa di studio per andare al FermiLab, negli Stati Uniti, a Chicago. Prende il nome proprio da Enrico Fermi, loro lo considerano un fisico americano dopo che ha preso il Nobel ed è fuggito per le persecuzioni, diventando cittadino Usa. A Chicago avevano appena scoperto una nuova particella, l’ultimo quark mancante. Senza entrare nei particolari posso dire che era il tipo di ricerca che mi interessava, la fisica delle particelle con acceleratori. Poi tornato in Italia mi sono laureato nel 1999 con una tesi su dati raccolti al Cern. Tesi e studio che poi ho continuato a Riverside, in California, durante il dottorato di ricerca”.
E da lì hai abbandonato l’Italia.
“Per capire come funzionano le cose: il termine delle domande per il concorso di dottorato a Bologna era stato fissato pochissimi giorni prima della laurea della mia sessione. Significava dover aspettare un anno nell’incertezza. Cosa che mi sembrava assurda, quindi ho cominciato a inviare domande in giro per il mondo. L’offerta più interessante è stata quella dell’Università di Oxford. Poi però ho scelto Riverside, in California, dove avrei potuto continuare la mia ricerca di tesi fino a giungere alla pubblicazione di un articolo su riviste internazionali”.
Quando hai conosciuto tua moglie Jessica?
“Proprio a Riverside, in California, durante il dottorato. Entrambi frequentavamo alcuni incontri di un’associazione di studenti cattolici all’università. Lei studiava psicologia. Dopo un anno circa ci siamo fidanzati e poco dopo ci siamo sposati. Nel 2003. Dopo il dottorato ho lavorato a Stanford, vicino a San Francisco, avevo un contratto con l’Università dell’Ohio”.
E poi sei tornato in Europa…
“Nel 2007 sono tornato al Cern con un contratto molto ambito per gli italiani. Abito in Francia, molto vicino al confine, in un paesino ancora più piccolo di San Giovanni, che guarda caso si chiama proprio Saint Jean, de Gonville però. Le condizioni per i ricercatori in Italia sono pessime e per un posto al Cern, un centro di eccellenza, vicino al confine, la competizione è fenomenale. Qui lavoro all’Lhc, nello stesso tunnel, l’acceleratore sul quale ho lavorato per la mia tesi e nel quale stiamo conducendo gli esperimenti che hanno fatto tanta paura”.
E la particella di Dio l’avete trovata?
“Non ancora, quello, il bosone di Higgs, è il tassello fondamentale che può spiegarci tante cose sulle masse dei quark. Stiamo restringendo la ricerca, i dati raccolti finora li presenteremo a febbraio”.
Nel frattempo sono nati i tuoi due figli, Francesco e Antonio. Com’è cambiata la tua vita?
“All’inizio lavoravo anche 16 ore al giorno. Tutti lavorano a livelli esagerati, la ricerca è appassionante. Francesco è nato nel 2007 a Stanford, in California. Antonio invece in Svizzera, quattro mesi fa. Ora lavoro tra le 9 e le 10 ore il resto del tempo è dedicato alla mia famiglia, alle passeggiate con Francesco nei boschi che abbiamo dietro casa. Ho la passione per la bicicletta, ne ho una da corsa, e per la lettura. Dalla filosofia ai romanzi. Da Hume a Harry Potter”.
Torni mai?
“Negli anni passati in America, poco… una volta all’anno circa. Ora che stiamo relativamente vicini torniamo più spesso. Anche se è ora manco da un po’, dall’estate scorsa. Con l’Italia ho mantenuto un contatto molto forte: la famiglia in primo luogo. Ho un fratellino di 14 anni che comincia ora il liceo, cerchiamo di rimediare alla distanza con Skype e approfittando delle sue vacanze ci viene spesso a trovare. Tutti gli amici mi chiedono “quanto ti fermi?” “Rimani?” Dal punto di vista lavorativo purtroppo le possibilità sono molto ridotte.
Un altro legame forte è quello con la mia parrocchia, mi sento sempre parte di questa comunità. Quando ci siamo sposati, io e Jessica abbiamo rinnovato i voti in Italia: la chiesa in luglio a San Giovanni era piena. Fa anche questo parte della mia formazione. Nonostante sia uno scienziato sono credente. In America succede molto spesso, molto più che in Italia, dove mi capita spesso di incontrare persone sorprese di questo”.
E l’Italia vista da fuori? Anche dagli italiani?
“È vista con molta tristezza. Se consideriamo la ricerca, per esempio. Quando abbiamo avviato il progetto qui al Cern sono venuti capi di stato come la Merkel o Sarkozy. Il governo italiano invece ha mandato un funzionario consolare. Questo dovrebbe fare riflettere sul futuro, che nei paesi occidentali è collegato alla ricerca e all’innovazione. Recentemente sono stati tagliati i fondi per le trasferte dei ricercatori che ora hanno difficoltà a partecipare agli esperimenti qui al Cern e negli altri laboratori internazionali”.
E quindi se ti chiedo delle prospettive…
“Le mie prospettive sono molto più americane che europee. Dell’Italia è difficile parlare. Penso a un posto come professore all’università. Ci sono possibilità ma la competizione è tanta, perché sono posti ambiti da ricercatori e scienziati di tutto il mondo. Inoltre sono richieste altre capacità che non siano solo matematiche o competenze di fisica. Bisogna avere idee originali, saper presentare progetti e comunicarli bene per ottenere fondi federali, ed essere la persona giusta al momento giusto”.