AGRICOLTURA
– “Con solo la poesia, il vino diventa aceto. Vanno affiancate tecnica e saperi”. L’ultimo investimento è di due mesi fa: un gioiellino di tecnologia che filtra il vino. Grazie ad un computerino, in modo automatico ed efficace, “met e ven te pulid” (travasa il vino per eliminare i fondi), Per usare la limpidezza del dialetto.
Chi sa parlare il linguaggio delle immagini, sa parlare di emozioni. Alessandro Bacchini ha 71 anni; insieme al fratello Leo, è l’erede della Tenuta del Monsignore, una delle eccellenze viti-vinicole della provincia di Rimini. E non solo.
Con molta naturalezza, Bacchini è dotato di uno humor da far invidia un inglese con bombetta e ombrello. Un giorno porta i suoi 140 chili distribuiti su un metro e 82 centimetri dal medico. Il consiglio: “O cali, o muori!”. Risposta: “Per mantenere gli impegni, ho deciso di abbattere il peso”.
Un impegno ce l’ha con il nipotino, Nicolò nato lo scorso dicembre, primogenito di Nicoletta. Racconta: “Sono costretto ad aspettarlo fino a quando avrà 15 anni. Ho bisogno di cinque anni per trasferirgli i miei segreti. Dopo, vado in pensione”.
“La cantina – prosegue nella riflessione Bacchini – deve essere pulita come una sala operatoria. Ad esempio, i contadini, da noi, erano abituati a risciacquare le botti con il vino; era come mettere su un allevamento di batteri. Stesso discorso, quando la cantina non aveva pavimenti e c’era la terra. La Tenuta del Monsignore è stata all’avanguardia. Dal suocero, nel 1938, mio padre ricevette come regalo di nozze una macchina per sterilizzare le botti. Per restare nel tema della qualità, il primo enologo è giunto nella nostra cantina nel dopoguerra. Abbiamo iniziato ad imbottigliare negli anni Cinquanta. Ma il buon vino si inizia a produrre sulle viti, con una potatura corta, naturalmente. E la passione”.
Oltre 100 ettari di terra, 85 dei quali a vigneti; col resto olio extravergine di oliva, miele. L’azienda è un balcone sul mare, sopra Santa Maria in Pietrafitta, a pochi metri dall’elegante chiesolina restaurata da don Piero. In mezzo ad un parco ben tenuto di circa tre ettari, c’è la casa padronale. Accanto una sala da cerimonie porticata che ti fa abbracciare il mare e la cantina; con otto metri sottoterra. Nome in memoria di un avo vescovo, i Bacchini sono vignaioli da circa 600 anni. Prima in Toscana, attorno al 1400 si trasferirono a San Clemente. Un secolo e mezzo dopo si trovano a San Giovanni. Sono alla XVIII generazione di viticoltori.
Se è vero che il vino è poesia, pulizia e conoscenze, Alessandro Bacchini si è divertito non ad abbinare i vini con le pietanze, ma coi sentimenti. Ogni sua etichetta è legata ad un’emozione. A zonzo con alcune sue associazioni: Trebbiamo (“Esalta momenti postivi della quotidianità”), Pagadebit (“Suscita fiducia nel futuro), il vino frizzante “Diavoletto” (“Per mandare al diavolo i cattivi pensieri. Chi vuol essere lieto sia di doman non v’è certezza”).