L’INTERVISTA
Se fatti per gli investimenti non c’è molto di cui preoccuparsi; sul medio e lungo periodo ritornano con un sovrappiù. Con i consumi si innesta la crisi
– Cannoni o burro, era la provocatoria scelta del cancelliere tedesco Bismarck, fautore dell’unità nazionale. Per il prestigioso economista riminese Stefano Zamagni, preside di Economia e commercio a Bologna, ci vuole equilibrio tra i debiti per i consumi e quelli per gli investimenti. Consigliere di papa Ratzinger per le questione economiche, Zamagni potrebbe essere uno dei coordinatori di un team di studiosi per rifondare e innovare sul serio la nave Italia e non a parole, per rubare un concetto caro a Sant’Agostino: contano i fatti e non gli slogan.
Professore come legge lei i debiti dei comuni?
“Va fatta una distinzione tra i due tipi di debiti: quelli per finanziare i consumi e quelli per finanziare gli investimenti. Se i debiti vengono fatti per gli investimenti non c’è molto di cui preoccuparsi; sul medio e lungo periodo ritornano con un sovrappiù.
Se invece i debiti finanziano i consumi si innesta la crisi. Come è avvenuto con i subprime americani; mutui concessi a famiglie che non riuscivano ad onorare gli impegni.
Con onestà non so se questo è il caso dei comuni della provincia di Rimini. Non so se i mutui siano serviti per rilanciare lo sviluppo, o i consumi”.
Il debito pubblico italiano che pesa per circa il 125% del Prodotto interno lordo (il Pil), può portare il Paese alla bancarotta?
“Per il debito pubblico nazionale valgono le stesse considerazioni di cui sopra. Va aggiunto che non è l’altezza del debito a preoccupare ma la dinamica e la fiducia. Ci può essere un forte debito ma godere della fiducia dei cittadini e del mondo. Quando viene meno la fiducia dei cittadini e degli investitori internazionali nascono i default. Magari anche a fronte di un debito modesto”.
I cittadini possono avere la fiducia del debito dello Stato italiano?
“L’Italia ha una valvola di sicurezza. Il suo debito è in gran parte contratto con le famiglie italiane. Il nostro non è come quello greco, spagnolo o irlandese. Se gli italiani dovessero rinunciare alla sottoscrizione del debito attraverso i Bot si farebbero del male da soli. Sa va in default lo Stato, andrebbero in default anche loro. Se invece, il debito fosse nei confronti dell’estero, le cose sarebbero diverse e peggio.
Diciamo che il debito dello Stato è serio ma non drammatico. E’ evidente però che non può più durare a lungo così. Il punto di svolta è risolvere il problema dell’occupazione. In molti per andare avanti stanno intaccando il risparmio, che a sua volta va ad aggravare il debito pubblico nazionale. Nel breve periodo (circa 5 anni) non corriamo problemi, ma sul medio e lungo (5-10 anni e oltre 15) sì. La riflessione sulla produzione non può essere fatta a livello di media nazionale. Altrimenti sarebbe come parlare del famoso pollo di Trilussa. Ci sono due polli, solo che una persona se li mangia tutt’e due, l’altro resta digiuna. Il Nord-Est, del quale fa parte anche l’Emilia Romagna, sta conoscendo una ripresa eccezionale perché lì c’è una struttura produttiva che tutti ci invidiano. Chi piange crisi fa un falso.
Il nostro punto è far partire quel benedetto sviluppo del Sud, che è diventata una vera e propria palla al piede. Non possiamo più permettercelo di mantenerlo. I consumi al Sud sono soltanto del 20 per cento inferiori a quelli del Nord, ma a livello di redditi valgono la metà. Così le regioni meridionali consumano più di quanto producono. Finora si sono chiusi gli occhi, ma ora i nodi stanno venendo al pettine. L’Italia ha bisogno di un federalismo capace di creare sviluppo e non di un federalismo redistributivo di ricchezza”.
(g. c.)