L’INCHIESTA
di Francesco Toti
– “Una botta di orgoglio”. Era la celebre carica del giornalista Silvano Cardellini, forse la penna più bella della provincia di Rimini che poteva essere primo della classe ovunque. Scomparso prima del tempo, per le strade di Rimini sempre in motorino come un ragazzino nonostante l’età, sempre vestito in toni con un suo fascino dimessi (ma con una stratosferica collezione delle prestigiose cravatte Marinella nell’armadio), sempre caustico nelle chiacchiere di pre-conferenze stampa (“guarda come ‘sti politici spendono i nostri soldi”, annusando le poltrone Frau), sempre selettivo per non dire snob nelle amicizie. Nelle riflessioni al vetriolo era sempre portato a scrutare un barlume positivo. A non aver paura, se si ha il lavoro come dovere, il piacere del rischiare, il fare con professionalità. Unendo tensione morale, regole ferme ed innovazione.
Scriveva Silvano: “C’è, direbbe un Einaudi del Marecchia, una Rimini che produce e lavora, una Rimini delle ciminiere senza fumo, delle catene di montaggio a passo dolce, di industrie che però fanno storia e lasciano il segno di sé sui mercati internazionali. I bagni nostrani si apprestano a diventare stabilimenti balneari e gli stabilimenti produttivi sono diventati laboratori o officine che fanno notizia nel mondo. Nel giro degli stessi anni che hanno visto Rimini diventare l’industria della vacanza è nata, si è sviluppata e si è affermata la Rimini con una industria vera”.
E andiamola a vedere questa provincia che ha smarrito le armi che l’hanno fatta grande: quel piglio sfrontato del primo della classe e la voglia di affrontare il futuro con lo spirito del cavaliere. Dove ogni 12 abitanti c’è una partita Iva. Un record di sfrontata intraprendenza. Con almeno cinque aree d’eccellenza: il turismo, le macchine utensili, il tessile-abbigliamento, la nautica, il polo del gelato (la Mec3 è numero una al mondo, ben messe anche Fugar e Moca). E con isole di saperi sparsi un po’ in là ed un po’ in qua in tutte le brevi latitudini della provincia a portato di passo d’uomo.
Il reparto macchine speciali della Fom (leader nella produzione di macchine per lavorare l’alluminio), forte di una ventina di addetti fanno gli straordinari; l’azienda con circa 150 dipendenti ne ha una trentina in cassa integrazione. Ha aperto uno stabilimento a Shanghai (Cina) grande quanto quello cattolichino. Si sente dire in casa Fom: “Sono ancora da sgrezzare, i cinesi, ma hanno una grande voglia di bruciare le tappe”. Insomma, stiamo attenti perché una grande civiltà fa presto a creare un grande tessuto produttivo. Un po’ come l’Italia. Fondata dalla famiglia riccionese Pettinari, la Fom esporta il 90 per cento della produzione; la Francia in questo momento è la sua speciale locomotiva.
Hanno paura gli albergatori ad investire nonostante la buona stagione 2011, hanno paura gli imprenditori del manifatturiero, hanno paura i politici a interpretare il futuro in maniera diversa. Una comunità che ha perso la fiducia in se stessa, nelle sue capacità tecniche. Soprattutto nelle sue capacità umane figlia del magico intreccio della casa colonica; il microcosmo che ha fatto della Romagna, in cinquant’anni, una delle dieci regioni più ricche dell’Europa. E non basta neppure rincuorarsi e darsi coraggio nel ricordare che dopo la Seconda guerra mondiale la Romagna aveva un Pil (Prodotto interno lordo) al livello della Calabria. E che per maggiori opportunità ai figli, si emigrava con la speranza di svoltare.
I riminesi sono ben strani, amava dire alcuni anni fa Campari, un lombardo chiamato a Rimini in veste di dirigente Marr: “I riminesi peccano di organizzazione e per incrementare la produttività sono capaci di truccare il muletto per farlo andare più forte”. Peccato che Campari non si sia mai chiesto come l’organizzazione al di sopra del fiume Po non abbia partorito un’azienda leader come la Marr (ad onor del vero oggi appartiene al gruppo emiliano Cremonini). E Rimini invece sì.
La scrittrice francese Muriel Barbery (l’autrice dell’Eleganza del riccio) scrive che le famiglie felici hanno la stessa storia, mentre quelle infelici sono le une diverse dalle altre.
Le storie vincenti degli imprenditori riminesi sono molto simili: gli inizi in una scantinato di venti metri quadrati, una capacità di saper fare bene il proprio mestiere. L’audacia di partire con la valigetta e cercare di vendere prima in Italia e poi all’estero. Figlio di mezzadri, Silvano Gerani faceva il camionista; la moglie Giuliana Marchini era una raffinata magliaia. Partono con un laboratorio in casa e tanti debiti. Hanno portato Rimini nel mondo, passando anche per la Formula Uno.
Il nonno dei Focchi faceva il fabbro, in una bottega poco lontana da marina centro. Oggi, monta facciate continue a Londra e dintorni, chiamati da grandi architetti.
Insomma, a Rimini e provincia c’è una comunità che sa fare. Tale patrimonio non può essere smarrito. Va soltanto rilanciato con la forza dell’intelligenza. Perché, come scriveva lo storico dell’economia Carlo Cipolla, gli intelligenti fanno gli interessi propri e quelli degli altri. Rimini ha bisogno di questo perno per far girare la giostra del proprio futuro. Ora.
P.S.: queste pagine economiche sono volutamente ottimistiche. Della ragione.
NUMERI
Quasi 36mila imprese
– Alcuni indicatori economici del Riminese.
Imprese: 35.785
Ricchezza prodotta: 8,34 miliardi di euro (2008)
Pro-capite: 27.729 euro (2008)
Irpef pro-capite: 11.717
Sportelli banche: 310 (2010)
Depositi bancari: 5,4 miliardi
Impieghi bancari: 11,9 miliardi
STORIE
“La crisi mi ha sfiorato alla velocità di una Ferrari”
Maurilio Fuzzi col figlio Fabio titolari della Cgt, leader per la produzione di tritacarni e tritaossi. Esportano l’85 per cento della produzione
– “La crisi ci è passata vicina alla velocità della luce”. Maurilio (nome ispirato dal calendario) Fuzzi ha 75 anni e conduce la Cgt, azienda leader in Italia nella produzione di macchine tritacarni e tritaossi. A chi gli chiede chi glielo fa fare ad essere in azienda tutte le mattine, risponde in dialetto: “La passion”.
Una decina di dipendenti, sede a Misano Adriatico, esporta l’85 per cento della produzione, grazie ad un reticolo di rivenditori; Italia compresa. Nessuna rete commerciale diretta. Ecco alcune delle nazioni dove è presente, in ordine di valore: Arabia Saudita, Algeria, Iran, Libano, Israele, Palestina, Siria, Emirati Arabi, Nuova Caledonia, Francia, Portogallo, Gran Bretagna, Grecia (qualche insoluto), Spagna, Belgio, Irlanda, Cipro… Racconta: “Mi dispiace non essere presente in Germania; finora non abbiamo trovato la persona giusta”.
Ma come fa una multinazionale tascabile ad esportare così tanto. “La forza del nostro prodotto – argomenta il signor Maurilio – è il giusto rapporto tra la qualità ed il prezzo. Da quando ho rilevato l’azienda dal mio ultimo socio ogni anno investiamo in macchine 50mila euro. Che significano una produzione migliore, una produttività più alta, che ci consentono di non ritoccare i listini. Siamo passati dalla fusione a conchiglia a quella a pressione. La prima richiedeva molti più passaggi di lavoro e con una qualità inferiore”.
La forza estera si costruisce oggi alla Host, biennale fiera milanese. Lì ha trovato i suoi rivenditori; e una volta l’israeliano gli presentò l’amico palestinese che divenne poi il referente per la Palestina.
Acronimo di Colombari-Gabellini Tritacarne, la Cgt nasce nel ’74; quando i due amici fuoriescono da un’azienda del settore di Coriano. Nell’82, cerano un affidabile lavoratore. Contattano Maurilio già loro collega nella vecchia impresa. “Avengh, ma avoi es socio” (Vengo ma come socio), è la risposta. Edo Colombari (genio della meccanica) muore prima del tempo; nel ’98 Maurilio ed il figlio Fabio liquidano Eros Gabellini.
A Rimini c’è un piccolo polo del settore; ci sono ben cinque aziende.
‘Il Riminese si salva anche se l’Italia affonda’
E’ il parere del riccionese Piero Manaresi, consulente che acquista e vende aziende
Nel manifatturiero abbiamo delle eccellenze mondiali: Mec3, Ceramica del Conca, Fugar, Celli, Krone Koblenz, Scrigno, Fonteck. Sono aziende con buoni bilanci e imprenditori innovativi
L’INTERVISTA
– Ha già messo in sicurezza una manciata di beni, pensando allo scenario b: l’Italia che si auto-scaraventa nel baratro della bancarotta. Ma continua a credere nello stato italiano, acquistandone i buoni del tesoro. Si chiama Piero Manaresi. E’ riccionese e di mestiere fa il consulente aziendale; le analizza e ne prospetta la vendita ai proprietari e l’acquisto (al 90 per cento sono nelle mani dei fondi d’investimento). E’ stato anche chiamato come perito dal tribunale di Parma per ricostruire la galassia delle società che facevano capo alla Parmalat. E’ un uomo che si diverte nella vita e nel lavoro. La caterva di passioni ne sintetizzano lo spirito.
Quali aziende ce la faranno a svoltare dalla crisi?
“In prima fila a farcela sono quelle che esportano più del 50 per cento della produzione. Le imprese sono in una ulteriore fase di selezione. Riusciranno a sopravvivere quelle che hanno avuto una gestione finanziaria virtuosa. Che hanno investito nel prodotto e nella rete commerciale all’estero. A chi ha costruito ville sulle colline, ahimé, le banche chiudono i rubinetti. Gli istituti di credito sono pieni di ville, capannoni, appartamenti. E’ una realtà empirica, che si vede tutti i giorni. Oppure, è sufficiente girare per le aree produttive e vedere quanti capannoni propongono di affittare o vendere.
Detto questo si spera che siamo nel fondo del barile e vedremo alle aste dei titoli del primo trimestre se l’Italia si salverà o no. Sul mio lavoro sono abituato al cosiddetto piano b quando analizzo le imprese: ovvero il fallimento. E personalmente mi sto preparando allo scenario peggiore; ed ho messo in sicurezza parte del patrimonio familiare. Però, e lo voglio rimarcare, continuo ad investire nei titoli di stato italiani. Diciamo, per restare in economia, che applico semplicemente una sana gestione del patrimonio. Lo scenario peggiore, il worst case, va sempre letto in chiave positiva”.
Una nazione leader mondiale come l’Italia, com’è potuta arrivare sul ciglio del baratro?
“Questa è la politica. E’ una follia collettiva. L’operaio è la grande vittima della situazione. Colpe le hanno i sindacati che hanno tutelato il posto di lavoro e non gli interessi dei lavoratori. L’Italia, dopo Craxi, con tutti i suoi limiti, non ha avuto degli statisti come classe dirigente. La politica non ha una visione oltre i 4-5 anni; dove si garantisce il posto di lavoro che poi non è altro che un voto di scambio. Poi ci mettiamo l’evasione; il segreto bancario è da anni che non esiste più. Il problema evasione è che non si sono voluti applicare gli strumenti tecnologici e politici per debellarla. Insomma, non si è voluto disturbare il contribuente che è poi un elettore. Ma prima dell’evasione, va combattuta la corruzione; questa è la madre. Siamo, purtroppo, una nazione ad altissimo tasso di corruzione e c’è poco da fare. La corruzione ha un altro livello: è figlia della malavita nel sistema economico. La scala dei nostri problemi: la malavita che genera corruzione, che generano evasione. Se vuoi uccidere una animale devi mirare alla testa e non api piedi”.
Visto senza fronzoli la fotografia, dal suo osservatorio vede qualcosa di buono?
“Gli imprenditori veri sono davvero incazzati. Per sua natura, è un animale semplice, l’imprenditore. Chiede un ambiente sano in cui far bene la propria attività. Se nel medio e lungo periodo non trova l’ambiente propizio gli si raddrizza il pelo. Tutti i miei clienti, amici, conoscenti, con capitali da 5 milioni in su sono favorevoli alla patrimoniale. Perché se il Paese salta, costoro hanno tutto da rimetterci. Con l’operaio che ci rimette l’unico bene che ha: il posto di lavoro. Chi ha invece il capitale, ce lo rimette in buona parte. Il benestante difende il patrimonio dalla bancarotta del sistema-paese. Il governo Monti ha messo in sicurezza i conti; ha tagliato e ricucito un paziente morente. E’ inutile arrovellarsi se ha fatto bene o male. Quando si cerca di salvare qualcuno non si guarda se la ricucitura è un po’ sbavata. Chi lo contesta a livello politico è un anti-italiano”.
Passiamo la sua lente di ingrandimento dall’Italia al Riminese?
“Viviamo in una provincia privilegiata. Il turismo è sempre in grado di ossigenare ogni cosa. Se partisse la riqualificazione di Rimini, ci sarebbe una bella propulsione; non è possibile che sia ferma agli anni ’50 e che Riccione e Misano siano più avanti.
Nel manifatturiero abbiamo delle eccellenze mondiali: Mec3, Ceramica del Conca, Fugar, Celli, Krone Koblenz, Scrigno, Fonteck, Umpi, Universal Pack. Sono aziende con buoni bilanci e imprenditori innovativi. Sta peggio di noi, molto peggio, la provincia di Bologna, con la sua micro-meccanica da subfornitori. Credo che Rimini, e non è una consolazione, possa salvarsi anche se l’Italia dovesse affondare”.
Una barlume positivo?
“Teniamoci il governo Monti. Se tornano gli altri, l’Italia è finita. Se i parlamentari facessero bene il loro lavoro non sarebbero scandalosi neppure 50mila euro al mese. Il problema è tutto qui: cacciare i mercanti dal tempio”.
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