Con la rinuncia al ruolo di capogruppo si era già capito che Marcella Bondoni non avrebbe più avuto quel “peso” che le era sempre stato attribuito nell’azione del Pd bellariese, ma con le definitive dimissioni dei giorni scorsi si apre una fase del tutto nuova, sia in Consiglio comunale che in città. Il Partito Democratico, che negli ultimi anni ha vissuto una vera e propria trasformazione interna, prima raccogliendo i cocci dell’era Scenna, con l’inevitabile bocciatura alle elezioni a causa di una compattezza che non riusciva più a dimostrare (e forse contro il centrodestra unito da Ceccarelli non sarebbe nemmeno bastata), poi con il ritorno, quasi d’imperio, dell’ex enfant prodige dei Ds, la “pupilla di Nando Fabbri” che tanto piaceva (e piace se l’hanno incaricata a livello regionale) ai vertici del Pd riminese. Un ritorno che non è servito però, né a vincere le elezioni, né a ricompattare il centrosinistra e dargli una nuova linea e ritrovato slancio. Ora la palla passa ai nuovi “giovani”, a iniziare dal segretario Francesco Raimondi, che potrà contare sull’apporto di Cristina Belletti, sua sfidante proprio alla segreteria, e ora di nuovo in carreggiata grazie all’addio della Bondoni, avendo preso il suo posto in Consiglio comunale. Raimondi rappresenta forse quella generazione Pd che finora si è vista poco in città, quelli che non provengono né dai Ds né dalla Margherita, quelli che l’unico travaglio che hanno vissuto non è la “fusione a freddo” dei due partiti, semmai il trapasso da una coalizione di governo (prima Fabbri poi Scenna) ad una di opposizione. Un ruolo che né la Bondoni né la Belletti (o Andrea Baldassarri) hanno in verità mai avuto: alla Belletti il compito di far seguire ora i fatti alle parole, visto che ha parlato di opposizione consapevole e costruttiva. Al suo fianco una squadra di giovani ed esperti in egual misura: c’è Alessandro Zavatta, assessore chiamato in corsa da Scenna la scorsa legislatura, capogruppo diventato sempre in corsa in questa dopo la prima rinuncia della Bondoni. C’è come detto Andrea Baldassarri, il più giovane della famiglia, l’unico rimasto in trincea si potrebbe dire: anche lui è ormai un abituè degli addii della Bondoni, avendo vissuto anche quello dalla segreteria dei Ds nel 2006, raccogliendo quell’eredità con il cipiglio e la responsabilità che aveva contraddistinto il padre prima e il fratello poi. Assieme agli esperti, i nuovi: ci sono Nicolò Morelli e Giulia Silvagni, che con Raimondi costituiscono la “linea verde” del partito, e Vito Gadaleta, alla sua prima vera esperienza politica amministrativa. Riusciranno a riportare in riga il Pd e dargli il vigore che necessita per presentarsi alle prossime elezioni in forma? In questo senso l’addio della Bondoni può essere un male, ma anche un bene: senza la sua esperienza forse mancherà qualcosa in termini di visibilità, ma è anche vero che amministrativamente parlando non è che in città ci si ricordi di grandi cose riferite a lei, magari più a Nando Fabbri, ma questa è tutta un’altra storia e, comunque, anche la subentrata Belletti con l’ex sindaco e presidente della Provincia ha sempre avuto un ottimo feeling. Semmai senza la Bondoni ci sarà più spazio per gli altri, anche se obiettivamente chi oggi fa opposizione nel vero senso della parola non è il Pd, ma la lista civica “Una città per tutti”, con quell’unico consigliere, Moris “Moka” Calbucci, che puntualmente solleva questioni e discute (e fa discutere) con l’amministrazione. A volte ci prende a volte no, ma da solo ha finora fatto molto più del Pd, che sembra ancorato ad un retaggio del passato che lo vede intervenire solo e unicamente su questioni vecchie, magari tirato in ballo furbescamente dal centrodestra. Ma parlare ad esempio solo di darsena, sapendo che doveva esser fatta già anni fa, non aiuta il Pd ad uscire dalle secche in cui si è impantanato. Chissà cosa riusciranno a fare, quindi, senza la Bondoni, fra due anni: a perdere le elezioni ci sono già riusciti anche con lei, chissà che non riescano invece a migliorare? (DB)
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