CORIANO
– Continua il nostro viaggio nei politici dei decenni addietro che hanno contrassegnato la vita della provincia. Dopo Ferdinando Staccoli (Montegridolfo), Gianfranco Cenci (San Giovanni), quattro chiacchiere con Armando Foschi.
di Matteo Marini
– Il suo personalissimo lungo corso l’ha fatto partendo dalla terra. Ama raccontare i suoi inizi, compiacendosi del fatto che un contadino mezzadro con la quinta elementare (la terza media presa da privatista) sia potuto arrivare a far parte del massimo organo della Repubblica, attraversando decenni di battaglie sindacali nella sinistra democristiana, e gli brillano gli occhi. Un po’ come quando osserva la foto della sua larghissima famiglia appesa in salotto, appena sotto il quadro con l’onorificenza dell’ordine di san Gregorio magno. Senatore democristiano per cinque legislature (“ma gli anni effettivi sono 11 e mezzo” precisa) Armando Foschi, 84 anni a giugno, è stato testimone dello spartiacque tra le prime due Repubbliche e, da esterno, ora si affaccia per veder nascere la terza con il suo ottimismo riformatore che riusciva anche a farlo votare con i comunisti (!) in forza di una legge interiore spesso in contrasto con le logiche di partito. Logiche che, anche a voler essere romantici, non sono poi così diverse da oggi.
Osservi il panorama politico attuale. Lei si ricandiderebbe?
“Sarò sincero: sono consapevole del deterioramento ma se uno ha la coscienza tranquilla non si deve tirare indietro. Se devo parlare per me direi di sì, se avessi 30 o 40 anni mi sentirei di partecipare perché soffro questa situazione. Anzi proprio perché sono sempre stato abituato a uscire in bici o a piedi, a guardare la gente nelle palle degli occhi. Sento il disagio di un privilegio. I ceti bassi soffrono lacrime e sangue mentre io prendo la pensione da ex parlamentare e a Roma cincischiano per dare il buon esempio”.
E dal punto di vista morale?
“Ho un’educazione e un’onestà di base, mi sento di dire che non sarei contaminato da questo deterioramento. E lavorerei con le persone che la pensano come me. Però resto convinto che non tutta la classe politica sia uguale. Succedeva così anche quando ero al Senato”.
Allora come oggi?
“La prima Repubblica era un sistema nel quale non si diceva di no a nessuno per il consenso e tutto veniva fatto con la coperta del partito. Quando ero direttore generale dell’Enit (l’Ente italiano per il turismo ndr) ricordo che Pomicino, che allora era ministro delle Finanze, segnava il conto dei miliardi da distribuire su fogli di carta. Entrava e mi chiedeva: “Hai problemi con i socialisti? Quanto ti serve per questo o quello?”. Lo stesso Andreotti raddoppiò gli emolumenti ai “boiardi” di Stato, ai dirigenti delle aziende statali, poco prima di lasciare il Governo ad Amato. Il quale per fortuna stracciò tutto”.
Lei pensa di aver preso decisioni sempre secondo coscienza?
“Anche io ho partecipato agli errori del mio partito. Confesso per esempio che quando abbiamo votato la legge Mammì (la contestata norma in favore delle tre emittenti televisive di Berlusconi ndr) non mi rendevo conto della questione tecnica. Ricordo che in aula c’era Gianni Letta che dava ordini dalla tribuna. Ho votato per salvare il Governo come da direttive del partito. Altre volte è accaduto invece di essere andato contro. Le racconto questo episodio: dopo l’emergenza alghe qui in Romagna sono stato relatore di un disegno di legge unitario per ridurre il fosforo nei detersivi, che sembrava essere la causa della proliferazione delle alghe. Mi presentarono un tal dottor Lapis, rappresentante della Mira Lanza (un colosso dei detersivi), che mi chiamava anche a casa la domenica per darmi consigli o passarmi documenti. Insomma c’erano dei soldi in ballo, parecchi. Io non mi sono dimostrato disponibile, a differenza di altri. Così una volta in aeroporto lo vidi che saliva nell’auto di un collega. E la legge fu cambiata poi in aula”.
Quanto prendeva lei di stipendio?
“Tra i documenti ho ancora qualche busta paga del Senato. Le ho trovate tra le carte che sto riordinando. Nel 1987 erano 6 milioni 684mila lire. La cifra comprende, oltre alla busta paga, anche la diaria e i rimborsi. Ricordo che alloggiavo all’hotel Santa Chiara, nel centro storico di Roma, vicino al Senato. E’ famoso perché proprio lì don Luigi Sturzo fondò il Partito popolare italiano, c’è ancora una lapide che lo ricorda. Alloggiava lì anche Arrigo Buldrini, del Pci. All’epoca era un edificio messo abbastanza male”.
E sui i costi della politica ora?
“Ora è una vergogna, soprattutto quando si richiedono sacrifici alle fasce più deboli. Non c’è salvezza da nessuna parte. Se nella prima Repubblica si faceva tutto per ragioni di partito e di consenso, c’era una lungimiranza, un progetto. Ora c’è un individualismo esasperato, non solo in politica ma anche nella società. L’esatto opposto del senso del servizio. Ma quello dei parlamentari non è l’unico esempio, penso infatti ai consiglieri regionali che dopo alcune legislature maturano una pensione anche superiore a quella di un deputato. Oppure gli stipendi dei “boiardi” di Stato, i dirigenti e i manager statali”.
Il solito problema della “casta”…
“Io sono stato direttore generale dell’Ente per il turismo e responsabile di questo settore per la Dc a livello nazionale. All’Enit per esempio era una guerra per le trasferte. Anche un dattilografo mandato all’estero percepiva sei milioni di stipendio perché era parificato a un funzionario del corpo diplomatico e consolare. Quando lasciai l’ente nel 1989 per entrare in Senato feci una legge che tagliava del 25 per cento questo privilegio. Mi avrebbero fatto nero e io gli dicevo: “Dovreste ringraziarmi, i comunisti volevano tagliare il 50!”. Oppure durante l’approvazione della manovra nel 1994, quando Rifondazione comunista presentò un emendamento per abolire il doppio stipendio per i parlamentari che avevano anche incarichi statali. Le direttive del partito dicevano di votare no. Io invece votai assieme ai comunisti scatenando un putiferio. Ma naturalmente la norma fu bocciata. Ricevetti apprezzamenti anche da senatori del Pci, mi definirono ‘un galantuomo’, aggiungendo che era un peccato che io non fossi della loro parrocchia politica”.
Mi faccia un paio di nomi di “galantuomini” nel suo partito, la Dc, e del Pci
“Ho già citato Benigno Zaccagnini. Ci legava un’amicizia lunga e fui proprio io a subentrargli al Senato quando ci lasciò, nel 1989. Assieme organizzammo anche il primo maggio cristiano nel 1957 e poi Leonardo Melandri. Del Pci Nicola Pagliarani, l’ex sindaco di Rimini. E Arrigo Boldrini, il partigiano ravennate che alloggiava al Santa Chiara”.
E di quelli di ora?
“Non ho molte conoscenze personalmente. Penso a Bersani. Ora io sono del Pd, la tessera però me l’hanno portata a casa…”.
Il suo è uno spirito riformatore che non si è calmato nel tempo
“Se guardo indietro alla mia vita, ora che ho 84 anni, penso che potrei essere soddisfatto della mia carriera. Però non lo sono mai fino in fondo. Se penso ai giovani mi vengono in mente gli appelli di Bagnasco. Servono cristiani nella politica, giovani cristiani”.
Sinistra sociale Dc
– Nato nel 1928. Fino a 29 anni contadino mezzadro a Coriano
Sindacalista Acli e Cisl per difendere i diritti dei contadini e i mezzadri. Reddito, lavoro, terra e servizi sociali. Riunioni in dialetto con i contadini “Ero uno di loro”. Faceva parte della sinistra sociale Dc con Donat Cattin
Primavera del 1951 – Elezioni a Coriano, consigliere comunale
Per 14 anni dirigente Cisl a San Marino (c’era solamente la Cgil)
1972 – La Dc lo candidò alla Camera per la circoscrizione Forlì-Ravenna-Ferrara-Bologna: primo dei non eletti
Giugno ’76 – Eletto al Senato
Elezioni ’79 – Primo dei non eletti subentra a Gino Cacchioli deceduto. Segretario commissione agricoltura al Senato. Legge dei patti agrari
1983 – Rieletto al Senato. Commissione industria, commercio, agricoltura e turismo. Lui si occupa del turismo. Legge quadro
1987 – Primo dei non eletti. Subentra nel 1989 a Benigno Zaccagnini, amico di lunga data. Con lui manifestazioni come il 1 maggio Cristiano
1992 – “Non volevo più starci ma il partito mi ricandidò”. Eletto al Senato.
Responsabile nazionale per il turismo della Dc
Confcooperative: responsabile nazionale per il turismo dall’81 al 92
88-89 – Direttore Enit