C‘è un augurio più solenne e commosso, per iniziare questo nuovo anno, della benedizione che abbiamo ascoltato dalla bocca di Mosè? “Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti dia pace e felicità”. E c’è una notizia più ordinaria e insieme più straordinaria di quella che ci è stata recapitata dalla penna di san Paolo? Nel cuore del tempo da una donna umile e povera è nato un bambino, il quale in persona è addirittura il Figlio di Dio, venuto per fare di noi altrettanti veri figli di Dio. Ancora: c’è una reazione più umana e più evangelica a questa notizia, del brivido di stupore dei pastori di Betlemme e del silenzio memore e grato di Maria che custodiva gelosamente il ricordo dei sorprendenti fatti accaduti e li meditava nel suo cuore?
1. Maria, icona e serva della pace
Fratelli e sorelle, oggi 1 gennaio 2013 la liturgia della Chiesa ci invita a contemplare questa icona inondata di luce, intrisa di candore: Maria, Madre di Dio e “figlia di suo Figlio”, e il bambino Gesù, nostra pace. Dinanzi a questo Figlio e dinanzi a questa Madre, vogliamo dedicare il primo giorno dell’anno nuovo alla causa e alla preghiera per la pace nel nostro mondo tanto minacciato. Niente e nessuno come la tenerezza della maternità e la dolcezza di un bambino esprimono lo stupore di un mondo nuovo e riportano alla sorgente della vita, dove tutto è luminoso e immacolato; dove un mistero d’amore sorprende gli uomini di buona volontà. Nonostante il tentativo laicista di strappare l’albero della pace dalle sue radici religiose e spirituali per farne un valore autonomo dell’etica della “sola ragione”, oggi si comprende che “il deficit religioso della nostra epoca è l’attuale sconfitta della pace” (T. Mann). In questo anno della fede, nella luce del mistero del Natale, Maria ci si presenta come icona della pace con Dio e serva della pacificazione universale del mondo, di ogni famiglia, di ogni società, di ogni persona.
Quest’anno il messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Pace ha come slogan: “Beati gli operatori di pace”, e noi oggi vogliamo esaltare Maria come beata operatrice di pace. Beata Maria, che nell’annunciazione ha messo da parte sogni e progetti personali per accogliere con gioiosa disponibilità il disegno di Dio sulla propria vita. Non si può essere operatori di pace se non ci si affida totalmente e liberamente a Dio per fare, senza pretese e senza riserve, la sua volontà. “E’n la sua volontade è nostra pace”(Dante). Non c’è pace senza fede, senza accogliere la presenza di Dio nella storia e nella nostra vita.
Beata Maria, che nella visitazione è immagine dell’arca della nuova alleanza ed è stata acclamata da Elisabetta “beata per aver creduto nell’adempimento della parola del Signore”. Tutte le generazioni la proclamano beata perché si è lasciata guardare dal suo Salvatore, che rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili. In Maria “giustizia e pace si sono baciate” (cfr Sal 85,11). Non c’è pace senza giustizia. Senza l’ossigeno della giustizia, la pace soffoca. Senza il pane della pace, la giustizia collassa.
Beata Maria, che nel mistero del Natale, ha accolto il canto degli angeli: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore”. Generando Cristo, Maria genera la pace sulla terra, quella pace che è “immagine ed effetto della pace di Cristo, che promana dal Padre” (GS 78). Così Maria ha “dato inizio a quella risposta definitiva, mediante la quale Dio stesso viene incontro alla inquietudine del cuore dell’uomo, una inquietudine che trova la vera pace soltanto nell’unione con Dio” (Mulieris Dignitatem, 4). Non c’è pace senza l’Emmanuele, il Dio-con-noi: è lui “la nostra pace” (Ef 2,14-16).
Beata Maria, che nel mistero della passione, stette intrepida presso la croce dove il Figlio, per la nostra salvezza, pacificò nel suo sangue il cielo e la terra. Le parole dette a lei da Gesù crocifisso che indicava Giovanni: “Ecco il tuo figlio” sembrano riecheggiare l’annuncio profetico alla madre-Sion che vede tornare dall’esilio i suoi figli: “Ecco i tuoi figli vengono da lontano” (Is 60,4). Maria ridesta il cuore filiale che dorme in ogni uomo. Con lei, madre nostra cara, ritorniamo ad essere fratelli e sorelle. Non c’è pace senza lo spirito di famiglia, senza la volontà di accoglienza, senza l’amore e il rispetto per la vita.
Beata Maria, che nel mistero della Pentecoste, attende e accoglie lo Spirito di unità e di pace, di amore e di gioia. Maria non è una immagine statica da ammirare, ma modello da imitare, e madre e sorella da cui farsi accompagnare. Non c’è pace senza Maria, che ci precede e ci addita i sentieri della pace. Benedetto il Signore che mediante Maria guida i nostri passi sulla via della pace!
2. La pace è possibile a quattro condizioni
Presi per mano dalla nostra Madre santa, ritorniamo ora al messaggio del Papa, che a sua volta riecheggia il messaggio di Gesù: “Beati gli operatori pace, perché saranno chiamati figli di Dio”. Chi sono gli operatori di pace? “Si tratta di persone che amano molto la pace, tanto da non temere di compromettere la propria pace personale intervenendo nei conflitti al fine di procurare la pace tra quanti sono divisi” (J. Dupont). Secondo papa Giovanni XXIII, l’edificio della pace si presenta come cantiere permanente basato su quattro piloni: forza della verità, pratica della libertà, azione di giustizia, potenza dell’amore (cfr Pacem in terris, 1963). Aiutandoci con questo prisma, possiamo intercettare il messaggio di papa Benedetto per questa Giornata.
Il cantiere dell’arsenale della pace non può fare a meno del pilone della verità. Benedetto XVI ricorda un codice etico basilare fondamentale: il diritto alla vita va tutelato e promosso, a cominciare dal suo concepimento, nel suo sviluppo, e sino alla sua fine naturale; va riconosciuta e difesa la struttura naturale del matrimonio, quale unione naturale fra un uomo e una donna; deve essere rispettato e garantito il diritto al lavoro per tutti. “Questi principi – leggiamo nel messaggio – non sono verità di fede. Essi sono inscritti nella stessa natura umana, riconoscibili con la ragione, e quindi sono comuni a tutta l’umanità. L’azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone” (n. 4). Non una imposizione confessionale, quella del Papa, ma un invito alla riflessione. Non si tratta di verità di fede, ma di ragione. Non sono espressioni di un credo, ma di un cogito. Un mondo senza verità diventa una babele delle opinioni, dove non può fiorire la pace, perché vi alligna solo la gramigna dell’individualismo più selvaggio, sotto la cappa asfissiante della nube tossica del relativismo, con il persistente inquinamento delle piogge acide dell’estraneità e della discordia.
L’arsenale della pace non può reggersi senza il pilone della libertà. In particolare il Papa richiama il diritto fondamentale alla libertà religiosa, non solo come libertà da costrizioni e divieti, ma anche come libertà di testimoniare e annunciare pubblicamente la propria religione. Il papa esemplifica: “libertà di compiere attività educative, di beneficenza e di assistenza; di esistere e agire come organismi sociali, strutturati secondo i principi dottrinali e i fini istituzionali che sono loro propri” (n. 4).
L’arsenale della pace ha bisogno di fondarsi sul pilone della giustizia. Non si può dimenticare che nel lontano 1987 l’ONU aveva avvertito: “il mondo può continuare a perseguire la corsa agli armamenti (…) oppure muoversi verso uno sviluppo sociale de economico più stabile ed equilibrato: non può fare entrambe le cose”. Nonostante la drammatica crisi economica, l’industria globale delle armi non ha registrato segnali di sofferenza, mentre le cifre della povertà aumentano e ci interpellano con urgenza. Secondo il progetto ONU di sviluppo del millennio, se ogni paese sviluppato si impegnasse a devolvere lo 0,7% del proprio reddito nazionale lordo ai Paesi in via di sviluppo entro il 2015, il mondo potrebbe porre fine alla povertà estrema nel giro di una generazione. Queste cifre confermano le parole del Concilio: “La corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri” (GS 81). La corsa agli armamenti è un furto e un omicidio: uccide i poveri facendoli morire di fame. Dunque “addio alle armi? Sì, se facciamo di più che dire buongiorno alla pace” (R. Etchegaray).
Infine l’arsenale della pace si costruisce sul pilone dell’amore. Cinquant’anni fa il Concilio ammoniva: “Ogni atto di guerra è delitto contro Dio e contro la stessa umanità, e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato” (GS 80). E nella Pacem in terris Giovanni XXIII aveva tuonato: “Pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia e di pace è da pazzi (alienum a ratione)”. Non c’è altra scelta: dobbiamo diventare apostoli convinti e contagiosi della non-violenza. Che non è una tecnica ingenua, un lavoretto di buoni sentimenti, o, peggio, un’accettazione supina delle situazioni di ingiustizia, addirittura una forma di vigliaccheria. Condivido queste parole del beato Giovanni Paolo II, pronunciate davanti ai giovani di Lesotho, in piena apartheid: “Non c’è nulla di passivo nella non-violenza, quando questa è dettata dall’amore. Scegliere i mezzi della non-violenza è fare una scelta coraggiosa nell’amore, una scelta che è un fermo impegno verso la giustizia” (15.9.1988). Mentre condivido, apprezzo e ringrazio l’Operazione Colomba per quanto fa al fine di promuovere una pedagogia della pace e una cultura della non-violenza per risolvere i conflitti e i numerosi focolai di guerra presenti in varie parti del mondo, vi invito a sottoscrivere questa preghiera:
“O Dio, che nel tuo unico Figlio, hai aperto agli uomini la sorgente della pace, per intercessione della beata Vergine Maria, rendi all’umanità che tu ami la serenità tanto desiderata e invocata, perché formi una sola famiglia unita nel vincolo della carità fraterna”. Amen.
+ Francesco Lambiasi