Docente di Storia dell’Arte Moderna all’Università degli studi di Napoli ‘Federico II’, Tomaso Montanari si è laureato all’Università degli Studi di Pisa e ha conseguito il diploma interno alla Scuola Normale Superiore, specializzandosi qui in Storia della Critica d’Arte. Sofisticato interprete della pittura e della scultura nell’età della Controriforma, ha curato la mostra Bernini pittore (Roma, Palazzo Barberini, 2007-2008, catalogo Silvana), e pubblicato le monografie Gian Lorenzo Bernini, (L’Espresso, 2004), Velázquez e il ritratto (Il Sole 24 ore, 2007), Il Barocco, (Einaudi, 2012). Ha scritto la puntuale postfazione a Giovan Pietro Bellori, Le Vite de’ pittori scultori e architetti moderni (Einaudi, 2009).
Raffinato polemista sulle pagine del «Fatto Quotidiano», e del «Corriere della Sera», ha pubblicato due pamphlet sullo stato della storia dell’arte in Italia: A cosa serve Michelangelo? (Einaudi, 2011) e La madre dei Caravaggio è sempre incinta (Skirà, 2012). È autore di oltre settanta saggi storico-critici editi in volumi e cataloghi miscellanei e in riviste nazionali e internazionali.
Professor Montanari, quale ruolo dovrebbe avere la storia dell’arte e “un’educazione estetica” nella vita culturale di un Paese, soprattutto in un Paese come l’Italia? “Per secoli, anzi per millenni, la forma dello Stato, la forma dell’etica, la forma della civiltà stessa si è definita e si è riconosciuta nella forma dei luoghi pubblici – risponde lo storico dell’arte Tomaso Montanari -. Le città italiane sono sorte come specchio, e insieme come scuola, per le comunità politiche che le abitavano. Le piazze, le chiese, i palazzi civici italiani sono belli perché sono nati per essere di tutti: la loro funzione era di permettere ai cittadini di incontrarsi su un piano di parità. È per questo che la Repubblica – lo afferma l’articolo 9 della Costituzione – nel momento della sua nascita ha preso sotto la propria tutela il patrimonio storico e artistico della Nazione: perché quel patrimonio è stato il luogo e lo strumento della formazione della comunità nazionale, visceralmente ancorata alle cento città d’Italia”.
Qual è al momento invece la situazione nel nostro Paese? “Il valore civico dei monumenti è stato negato a favore della loro rendita economica, e cioè del loro potenziale turistico. Lo sviluppo della dottrina del patrimonio storico e artistico come ‘petrolio d’Italia’ (nata negli anni ottanta di Craxi) ha accompagnato la progressiva trasformazione delle nostre città storiche in luna-park gestiti da una pletora di avidi usufruttuari. Le attività civiche sono state espulse da chiese, parchi e palazzi storici, in cui ora si entra a pagamento, mentre immobili monumentali vengono incessantemente alienati a privati, che li chiudono o li trasformano in attrazioni turistiche”.
Il proliferare di grandi mostre che cosa sta indicare? “La metamorfosi del ruolo della storia dell’arte, che da scienza umanistica finalizzata allo sviluppo del senso critico è diventata un’industria dell’intrattenimento culturale. È la ‘valorizzazione’: un marketing (fatto di eventi spettacolari, mostre a getto continuo, ‘noleggi’ di opere a privati) che socializza le perdite (ovvero il degrado fisico e morale delle opere d’arte utilizzate), e privatizza gli utili, alimentando un circuito economico-clientelare incentrato sulla pletora di sedicenti associazioni culturali, e concessionarie dei servizi che ormai orbita intorno al patrimonio storico-artistico. Un marketing in cui il ruolo degli storici dell’arte è una sempre più debole legittimazione di progetti che nulla hanno a che fare con la conoscenza e l’educazione.
Lei parlerà di Cagnacci e Bernini, quale lezione apprendere ancora oggi dalle loro opere? “Una potente spinta a non separare i due aspetti fondamentali della nostra vita: l’anima e il corpo. La loro arte ha gettato un ponte tra queste due realtà, con una notevole libertà rispetto alla Chiesa e all’opinione dominante. Questa visione integrale della vita umana è estremamente attuale.”
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