di EVA PANISSA
E’ tempo ormai di bilancio finale sulla Notte Rosa. Il Capodanno della Riviera, il “Bulirone Rosa”, dove si ha davvero tutti quanti un colore in comune, almeno per la durata di un weekend. Si viene da ogni parte per sentirsene parte. Due milioni di presenze, 400 mila nella sola provincia di Rimini sono le ultime cifre diffuse dai promotori dell’evento fra la soddisfazione generale dei Primi Cittadini e la creatività di albergatori, gestori di ristoranti e locali, baristi, animatori.
Una mescolanza eterogenea, su vie e spiagge, divertimento e musica a dosi massicce, eventi creati a misura d’uomo, donna e bambino, con attrazioni per tutte le tipologie di gusti, e artisti di fama. Si è detto e scritto un po’ di tutto sul ‘movimento’ più intenso dell’estate, ‘da 100 milioni di euro di indotto'(diventati per qualche penna allegra anche 200), e non sono mancate le polemiche da parte di chi avrebbe voluto meno schiamazzi e meno vetri rotti su strade, marciapiedi, pista ciclabile e molti parchi si sono trasformati in dormitori e bagni all’aperto, ma come non ricordare che ogni “rosa ha le sue spine”?
Proviamo a fare un passo indietro, per ammirare il capolavoro nella sua interezza, come se stessimo guardando lo spettacolo dei fuochi d’artificio di mezzanotte da un punto lontano della costa e potessimo vederli scoppiare simultaneamente per chilometri e chilometri. Viene spontaneo un pensiero di gratitudine per quel giovane (allora assessore al Turismo), oggi Sindaco della città di Rimini, Andrea Gnassi, che nell’estate del 2006 ideò “La Notte Rosa” regalando alla riviera quel ‘tocco’ di magia in più che ad oggi fa la differenza. Ma perché il rosa? Non è un caso, il colore che rappresenta il femminile, quale luogo migliore della terra dei “Vitelloni” per omaggiare l’estate, che pure è femmina, come la riviera, la musica, e la notte. I Romagnoli hanno buona fama d’essere profondamente capaci di entrare nel cuore delle donne. E fu così, che si cavalcò l’onda delle “Notti bianche”.
La prima iniziativa denominata “Notte Lunga dei Musei” nasce a Berlino nel 1997, una serie di eventi culturali ruotano attorno all’apertura notturna dei musei, mentre più tardi, nell’ottobre del 2002 a Parigi, la notte fra sabato e domenica è “La Notte Bianca”, completamente dedicata all’arte contemporanea, con istallazioni all’aperto e mostre in luoghi insoliti. Alla fine di settembre del 2003 è la volta della “Notte Bianca” romana, primo evento italiano, rimasta nella storia e nel ricordo collettivo perché coincise con il peggior ‘black out’ elettrico mai registrato in Italia. L’anno successivo, quattro registi italiani girano, dal tramonto all’alba, il film: “Notte Bianca, tutto in una notte”. Nel 2005 anche Napoli registra oltre un milione di presenze con concerti ed eventi teatrali, e San Remo, che vive la sua prima “Notte Bianca” il 17 settembre dello stesso anno, colma di spettacoli musicali e teatrali, negozi aperti e vetrine illuminate. Nel 2006, tre “Notti Bianche” d’inverno per Torino, due in occasione della XX edizione dei ‘Giochi Olimpici Invernali’, ed una per la IX edizione dei ‘Giochi Paraolimpici Invernali’. Seguono Genova, nel settembre del 2007 e Venezia nel giugno 2011, che con la sua prima “Notte Bianca: Art Night Venezia – L’Arte libera la Notte” ha voluto valorizzare il suo patrimonio storico-artistico.
Non ci resta che guardare ancora ‘un poco’ più indietro, verso chi ha raccontato “Le Notti Bianche” con uno stile inconfondibile, ‘Fedor Dostoevskij’, descrivendo il chiarore crepuscolare che illuminava le notti di San Pietroburgo per alcune ore dopo il tramonto, ha ‘estratto’ arte allo stato puro da un fenomeno di rifrazione solare. A tre giorni dall’evento che più “rosa non si può”, tutto è tornato come prima, solo piccole tracce di colore sono rimaste qua e là, a dare un pizzico di nostalgia, come guardare il buquet di una giovane sposa abbandonato sul tavolo del banchetto, ma lei è già in viaggio.
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