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Una storia che non vuole finire

Redazione di Redazione
17 Marzo 2013
in In primo piano, La buona tavola, Rimini
Tempo di lettura : 5 minuti necessari
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di MILENA ZICCHETTI

Gian Paolo Raschi è davvero un caso anomalo. In tasca ha un diploma da perito industriale eppure è tra gli chef più noti in provincia. I suoi piatti sono di sicuro impatto visivo perché – dice –  “anche l’occhio vuole la sua parte”. Dal suo stile traspare la grande conoscenza della materia prima e la passione per la cucina marinara romagnola. E’ proprio nel suo regno, al Ristorante Guido sulla spiaggia di Miramare, che scambiamo due chiacchiere sulla sua vita, lavorativa e non.

Con un diploma del genere, mi perdoni, ma lei è davvero un caso anomalo!  

Gian Paolo Raschi nel suo ristorante

In effetti credo di essere l’unico chef della zona a non aver fatto l’alberghiero. La mia formazione e la passione per la cucina del territorio, le ho ereditate dalla mia famiglia. Sono nato e cresciuto in un ambiente dove si parlava solo di quello, dove si mangiava il pesce di Rimini, dove si parlava di cucina riminese e comunque si faceva cucina.

Qui al locale è cominciato tutto con mio nonno, Guido, come bar di spiaggia e tutto quello che un bar di spiaggia all’epoca serviva. Nel 2001 io e mio fratello abbiamo pensato di trasformare il locale, di togliere il bar e tutti quelli che erano i servizi di un classico chiosco di spiaggia e abbiamo deciso di orientarci su un tipo di cucina e ristorazione diversa. Io in cucina e mio fratello in sala: era quello che sapevamo fare, quindi da qui siamo partiti e siamo andati avanti per questa strada.

Nel 2009 viene pubblicato “Guido. Diario di bordo di una famiglia che ama il mare” dove Massimo Roscia, scrittore e critico enogastronomico, racconta le tre generazioni che si sono susseguite: dalla nascita del locale nel 1946 come bar sulla spiaggia a Ristorante con vari riconoscimenti e una Stella Michelin. Soddisfatti?

Il libro è stato voluto ma e mio fratello Luca e non è altro che un percorso in cui ci siamo voluti raccontare con l’aiuto appunto di Massimo Roscia nella redazione dei testi e di Marco Neri, pittore, per la questione grafica. E’ una sorta di diario, una raccolta di racconti, immagini dell’epoca e attuali e alcune ricette. L’arrivo della Stella Michelin, nel 2008, è stata una grande soddisfazione, non lo nego, soprattutto per me che non vengo dalla scuola alberghiera e non ho quindi una formazione professionale, ma piuttosto casalinga. Come dicevamo, sia io che mio fratello siamo cresciuti professionalmente da soli. Io ho alle spalle una grande formazione familiare, classica e tradizionale e questo è già uno zoccolo duro di partenza fondamentale. Poi da lì sono andato avanti, con un lavoro di continua sperimentazione, ricerca, tanta passione e coinvolgimento anche di tutti i ragazzi. Il locale e la cucina non sono fatti solamente dal cuoco, ma c’è una squadra dietro, che cambia continuamente, ma quello che si cerca di fare è coinvolgere quanto più possibile i ragazzi, farli appassionare e far si che il loro non sia solo un semplice lavoro e uno stipendio a fine mese.

Tanti gli eventi di alta cucina a cui ha partecipato o che ha ospitato “in casa”. A novembre dello scorso anno è addirittura stato ospite, assieme ad altri 20 chef nazionali, ad Hong Kong per rappresentare l’eccellenza della ristorazione marinara… Tra chef, c’è rivalità o collaborazione?

Ognuno fa il proprio lavoro come meglio riesce. La conflittualità non la capisco, sinceramente. Anzi, dirò di più. Nell’ultimo periodo, il gruppo di noi pochi qui della zona, come Riccardo Agostini, Faccani a Cesenatico, Raffaele Liuzzi, Stefano Ciotti, Fabio Rossi, Silver Succi, Parini… è molto affiatato. Ci vediamo spesso per questi eventi, anche a livello nazionale. Quando siamo in giro formiamo il “nucleo Romagna”, ed è bello questo. Per quanto mi riguarda, io quando sono con loro mi diverto e non vedo nessuna rivalità.

Sul sito del ristorante ho letto una citazione molto bella: “Il cielo dimora del pensiero, il mare fonte della materia, la terra custode della memoria”. E’ un po’ la sua filosofia?

Queste parole le ho scritte io. Nel sito sono abbinate ad una foto di Davide Chili scattata in notturna, proprio qui davanti al locale e dove si vedono le tre fasce identificative: terra/spiaggia, mare e cielo. Ed è partendo da quei tre elementi che ho voluto ricollegarmi alla mia filosofia di pensiero: nella terra troviamo le tradizioni e quindi la memoria, nel mare la materia prima che cucino e il cielo è dove nascono e si sviluppano i pensieri e le idee.

A proposito di idee… come nasce un piatto?

In mille maniere. Non c’è un punto di partenza uguale per ogni piatto. C’è quello che nasce in maniera istintiva, partendo da una idea: lo si prova e viene testato da tutti in cucina e se va bene, quel piatto rimane così per sempre. Alcune testimonianze possono essere la pizza ai frutti di mare, la seppia con lo squaquerone, il cappelletto con le vongole… Poi ci sono altri piatti per cui si parte da un concetto, da uno schizzo, da degli ingredienti, da una idea visiva del complesso del piatto finito e poi su quello si va avanti e si sviluppa il progetto. Capita a volte che si debba interrompere il procedimento perché non si riesce a raggiungere quella che era l’idea. Naturalmente il tutto sempre con un occhio di riguardo a quello che è la tradizione e la cultura, con pochissime contaminazioni con cucine che non sono della nostra regione.

C’è un piatto che fra tutti più rappresenta il locale?

Sicuramente la seppia con lo squacquerone ed è anche il piatto simbolo che ha girato l’italia. Anche lui ha avuto la sua evoluzione: questo è uno di quei piatti nati così, in maniera istintiva, con l’idea di voler legare un prodotto del territorio di collina, dell’entroterra ad uno del territorio e di tipicità del nostro mare. Poi c’era l’idea del bianco e del monocromatico. Ho pensato quindi allo squacquerone e alla seppia, li ho messi insieme ed ecco quello che è saltato fuori.

E se invece lei si dovesse identificare in un piatto, quale sarebbe?

Quando mi si chiede di identificarmi in un piatto, non so perché ma cado sempre sulla piadina, quella della tradizione riminese: sottile, cotta velocemente, croccante. Questo sicuramente perchè sono cresciuto con questo gusto della piada cotta sulla legna, nel camino, col testo sul tre piedi. E la visione della nonna, che andava a raccogliere l’insalata nel campo, la tagliava con la cipolla e la condiva con l’aceto balsamico… Questa è la mia memoria più importante dal punto di vista gustativo ed ecco perché mi identifico in questo.

C’è un personaggio in particolare per chi vorrebbe cucinare?

No, io vorrei cucinare per tutti. Per tutte quelle persone che apprezzano la cucina e quello che faccio. Per chi ha una cultura gastronomica alimentata dalla curiosità o semplicemente per la passione della tavola. Non faccio distinzioni.

Un’ultima domanda con cui chiudo tutte le interviste: lei, un’isola deserta e…

L’isola deserta, io… l’amore, le idee e il mare, che c’è già e che adoro.

Prima di concludere un piccolo passo tratto dal libro di famiglia: “…Entriamo in cucina. E’ qui che il mare e la terra si stringono in un magnifico abbraccio. Il piatto diventa una mappa tridimensionale che, attraverso i sensi, racconta il territorio, la sua storia, i suoi antichi sapori, l’essenza dei suoi luoghi e delle sue genti”.

© MILENA ZICCHETTI Copyright lapiazzarimini.it  – Tutti i diritti riservati

 

 

Tags: Gian Paolo Raschimiramarepesceristoranteristorante da guidostoriatradizione
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