La Fondazione dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Rimini ha fatto un po’ di conti allla busta paga di chi un lavoro ce l’ha ed è da dipendente. Lo studio ha risvolti per certi aspetti inediti e mette dati che lasciano a dir poco sbalorditi. Creando scompiglio anche nelle classifiche ufficiali. Mentre nella classifica della ‘pressione fiscale ufficiale’ l’Italia, con il 43,8%, è al quinto posto in Europa, dopo l’Austria, in quella della “pressione fiscale effettiva” è assolutamente prima con il 52,2%, distanziando di oltre 2 punti percentuali la seconda, rappresentata dalla Danimarca. 8,4 punti percentuali in più!
Tornando allo studio condotto dai professionisti a livello locale, emerge che sono “oltre 100 le tasse” tra dirette e indirette per le quali si lavora fino ad estate inoltrata. Per la sintesi bastano poche parole. “La pressione fiscale reale – spiega il prof. Savioli, presidente della Fondazione e coordinatore del Gruppo di Lavoro – supera abbondantemente il 50%”. Le modalità di calcolo di calcolo della ‘pressione fiscale’ (rapporto tra prelievi coattivi/PIL), mettono in evidenza la ‘bugia statistica’ che ne è alla base. L’esigenza di stimare una misura di PIL confrontabile con quello degli altri paesi ha portato ad includere nel PIL anche l’economia sommersa. Il valore di pressione fiscale ufficiale che ne risulta – spiega una nota – spalma il prelievo tributario anche sui redditi che, in realtà, poiché occultati al fisco, non hanno pagato imposte, sottostimando conseguentemente il sacrificio sopportato dalla parte di PIL effettivamente incisa dal prelievo fiscale.
Per capirci meglio, ecco due esempi. Mario è un impiegato con un reddito medio mensile netto in busta paga di 1.300 euro; Giovanni è un dipendente con mansioni più qualificate ed ha un reddito medio mensile netto in busta paga di 2.500 euro. Mario e Giovanni fanno parte di un nucleo famigliare composto di tre persone: il capofamiglia, la moglie, fiscalmente non a carico poiché percepisce redditi superiori ad Euro 2.840,25, ed un figlio che frequenta l’università; possiedono una casa di proprietà e possiedono un’autovettura di media cilindrata. La capacità di risparmio è al 10% del reddito annuo. Entrambi percepiscono 14 mensilità con un reddito netto annuo/capacità di spesa di 16.380 euro per Mario e 31.500 euro per Giovanni. Mario possiede un deposito bancario di 50.000 euro, mentre Giovanni ce l’ha di 100.000 euro. Infine, Mario conduce una vita all’insegna della massima sobrietà, non si concede svaghi, cene al ristorante, vacanze con la famiglia; Mario invece si concede spese per servizi ricettivi e ristorazione. Conti alla mano, la pressione tributaria complessiva sopportata dal Sig. Mario supera il 51%. Ciò significa che un dipendente con un reddito spendibile di circa euro 1.300 mensili lascia ogni anno allo stato (e agli altri enti impositori) circa 12.600,00 Euro e che devolve per prelievi fiscali ben 1.050,00 Euro al mese del proprio reddito e ben 187 giorni all’anno del proprio tempo.
La pressione fiscale gravante sul Sig. Giovanni supera invece il 55%. Ciò significa che un dipendente con un reddito spendibile di circa Euro 2.500 mensili lascia ogni anno allo stato (e agli altri enti impositori) circa 31.300,00 euro e che devolve per prelievi fiscali oltre 2.600,00 euro al mese e che lavoro per questo solo motivo ben 202 giorni all’anno.
“Senza voler entrare nel merito della qualità delle prestazione che un prelievo del genere vede restituita – commenta il Prof. Giuseppe Savioli – è fuori di dubbio che il sostanziale blocco dei consumi percepito dalle categorie commerciali in questo periodo, ha la sua piena giustificazione in una pressione fiscale che umilia il lavoro e che di fatto rende difficilissimo destinare una porzione di stipendio a qualsivoglia acquisto che non sia di fondamentale necessità”.