di BERNADETTA RANIERI
Nei giorni scorsi l’immagine dell’incoronazione di Vincenzo Nibali campione del Tour de France ha riportato alla memoria il trionfo di Marco Pantani sui Pirenei avvenuto sedici anni prima. Due campioni accomunati dalla stessa maglia gialla. Un colore, il giallo, che fino a qualche giorno fa sembrava dovesse continuare a dominare anche dopo la morte del ciclista avvenuta il 14 febbraio 2004 all’interno del residence Le Rose di Rimini. La notizia nuda e cruda è la seguente. La Procura di Rimini ha riaperto le indagini sulla morte del ciclista Marco Pantani con l’ipotesi di omicidio volontario. Una tesi che la famiglia del Pirata ha sempre sostenuto unitamente all’ipotesi che il campione non fosse da solo in stanza.
Colpo di scena che arriva quando il Procuratore di Rimini Paolo Giovagnoli lo annuncia con l’ipotesi investigativa non più di “morte come conseguenza accidentale di overdose”, ma bensì di “omicidio volontario a carico di ignoti”. Quello che per anni è stato considerato il grido di dolore di una mamma, oggi è un elemento concreto su cui indagare. “Sono certa che mio figlio sia stato ucciso” ha sempre ripetuto Tonina Belletti-Pantani. Se il caso è stato riaperto è sicuramente grazie alla tenacia di mamma Tonina affiancata dall’avvocato di famiglia Antonio De Rensis e grazie anche alla perizia medico-legale eseguita dal professor Francesco Maria Avato che ha evidenziato come “le ferite sul corpo di Marco Pantani non sono auto procurate, ma opera di terzi”, che ci sono “evidenti segni di trascinamento del cadavere”, e che c’è stata una “probabile ingestione della cocaina da una bottiglia di acqua” ritrovata sulla scena e “mai repertata”.
La nuova inchiesta è stata affidata al pm Elisa Milocco, giunta da poco alla Procura romagnola, che inizierà gli accertamenti a settembre per confermare i dati presenti nella relazione medica e per rispondere ad altre domande: chi e perché ha ucciso Pantani, e chi e perché ha coperto l’assassino? Secondo l’avvocato De Rensis tante sono le lacune presenti nella prima indagine condotta sempre a Rimini e che si concluse a tempo di record (in 55 giorni) con il patteggiamento di Fabio Miradossa e di Ciro Veneruso, che avevano ammesso di aver fornito, cinque giorni prima, 20 grammi di cocaina al Pirata. Gli elementi che non convincono sono tanti. Prima tra tutti, la mancanza di rilevazione delle impronte digitali nella stanza dove Pantani è morto. Poi, sembra inverosimile che la stanza sia stata messa a soqquadro per mano del campione. Infine, le telefonate intercorse a muro battente tra le 13 e le 20 del 14 febbraio 2004, quando Pantani era già morto, ma non lo si sapeva ancora perché il corpo non era ancora stato scoperto.
Ma ripercorriamo le tappe salienti di questo cold case che vede protagonista un campione del ciclismo e la riviera romagnola. Marco Pantani arriva a Rimini da Milano la sera del 10 febbraio. E’ solo e non ha valigie con sé. Solo una busta di plastica e un borsello con i soldi. Non trovando a casa i suoi spacciatori si rifugia presso il Residence Le Rose, proprio sul lungomare. Esce una sola volta da lì e la mattina del 14 febbraio contatta per due volte la portineria del residence chiedendo di intervenire per rumori e persone che lo infastidiscono. La receptionist sale al piano ma non sente nulla e avverte il ciclista che insiste nel chiamare i carabinieri. Al cambio turno, l’addetta alla portineria avverte il collega di quanto accaduto nella mattinata e gli raccomanda di verificare ogni tanto che sia tutto a posto. L’uomo prova a telefonare diverse volte nella stanza di Pantani, sale e bussa ripetutamente fino alle 20,45 quando, autorizzato dal proprietario del residence, entra nell’appartamento. Pantani è riverso a terra, ormai esanime.
Il medico legale fissa l’ora della morte alle 11. Da quel momento parte un giro vorticoso di telefonate da parte degli spacciatori di Pantani. La stanza è caratterizzata da un disordine irreale. Viene ritrovato del cibo cinese che Marco non ha mai ordinato. Vengono rinvenuti due giubbotti che il campione non aveva con sé al momento dell’arrivo al residence Le Rose di Rimini. Stando alla perizia, il quantitativo abnorme di cocaina presente nel suo corpo è spiegabile soltanto con l’ipotesi che il Pirata sia stato costretto ad assumere cocaina in forma diluita. Marco non era solo in stanza. E’ questa la convinzione dei genitori e dell’avvocato della famiglia Pantani. Come per tutti gli altri appartamenti del residence, anche la stanza D5 era facilmente raggiungibile attraverso il garage. Le difficoltà a dimostrare questo passaggio interno sono dovute al fatto che non c’era alcuna telecamera di controllo e, soprattutto, che la struttura è stata demolita. Pantani non voleva suicidarsi. Su questo aspetto la mamma del ciclista è sempre stata irremovibile. “I problemi di dipendenza di Marco erano noti, ma il campione non aveva mai manifestato la volontà di suicidarsi”.
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