di ANNAMRIA BERNUCCI
Venticinque anni dedicati alla ricerca artistica condensati in due mostre e tre sedi (Riccione Villa Mussolini e Villa Franceschi , Rimini FAR Fabbrica Arte Rimini Palazzo del Podestà) sino al 9 febbraio 2014 per celebrare Leonardo Pivi, artista di punta del nostro panorama artistico contemporaneo. In questa singolare antologia di opere che mette insieme linguaggi come disegno, scultura, mosaico, Leonardo Pivi emerge come protagonista assoluto, manipolatore, inventore, dotato di un’esclusiva vocazione scultorea messa al servizio di un raffinato potenziale immaginativo e fantastico.
Salta subito agli occhi l’acida contrapposizione tra le iconografie del contemporaneo e le tecniche antiche destinate per loro natura a durare nel tempo a fronte dell’effimero e dell’impermanenza degli oggetti e delle immagini che ci circondano. Tutto racconta di un viaggio onirico e visionario attraverso miti e tabù, provocazioni e corti circuiti temporali, riflessioni che toccano tematiche ‘aliene’e puntualizzazioni sullo stato ecologico o politico attuale.
Nato a Cesena nel 1965, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Bologna, Leonardo Pivi vive e lavora a Riccione. Attualmente è docente del corso di Specializzazione in Decorazione presso l’Accademia di Belle Arti di Ravenna. Emerge nei primi anni Novanta elaborando un proprio linguaggio e una perlustrazione tra le icone del potere mediatico: è la stagione delle sue copertine, ritratti di personaggi politici, dello sport o della musica; si alternano i volti di Mao Zedong, Michael Jackson, Vasco Rossi, David Bowie, Obama.
Hanno scritto: “ciò che riesce ai mosaici di Pivi è immortalare come in un frammento di antico pavimento romano facce di premier, animali estinti, volti rifatti di rockstar, o persino opere d’arte, trasformando la nostra inutile e stucchevole Cronaca, miracolosamente e per sempre, in una scheggia di Storia”. La manipolazione sulle immagini avviene con l’antica tecnica del mosaico e micromosaico, affiorano altri significati, più sottili, che colpiscono i luoghi comuni dell’immaginario collettivo e i nostri consumi mediatici. Scrive il critico Marco Senaldi: “Il lavoro di Pivi nasce da un’inclinazione verso il meticciato espressivo, l’incrocio formale, il gusto barocco per il bizzarro, sostenuto da una perfetta padronanza dei mezzi linguistici impiegati, che si tratti di pittura, di scultura, di mosaico, o che i materiali in gioco siano pietra, tessere musive, o metalli preziosi, come nel caso di particolari gioielli realizzati dall’artista.
Quello di Pivi è un complicato universo di segni, dove si mescolano pinocchi sofferenti e idoli di sapore azteco scolpiti su pietre dalle dimensioni lillipuziane, teste di mucca dagli occhi di smeraldo, oppure icone mediali, come Sofia Loren o Mike Tyson, inaspettatamente nobilitate da mosaici che li rendono simili ad antichi condottieri ellenistici. All’interno di questo mondo, le riviste realizzate con l’antica tecnica dell’opus vermiculatum (micromosaico) occupano un posto di rilievo. Esse costituiscono una riflessione profonda sul ruolo strategico delle immagini nella nostra società e sul loro uso bellico, economico, o anche semplicemente estetico – ma non solo.
Infatti, “solidificando” il flusso indistinto di figure, forme, apparenze, sembianze, rappresentazioni, che ogni giorno, quotidianamente, implacabilmente, le armate massmediali ci rovesciano addosso, in qualche misura ci forniscono un antidoto, che consiste nel soffermarsi sul “male”, anziché tentare sbrigativamente di liberarsene, come faremmo regolarmente con un vecchio giornale”. Pivi non si è negato sperimentazione e provocazione – per quella sua capacità di sovvertire regole e codici – e si è concesso l’apertura a bruschi passaggi, dal sapore acre e spietato (burattini crocifissi), mischiando le carte tra sacro e idoli contemporanei, tra vestigia cult dell’arte e della storia con paradossi irriverenti; sostenuto da un’abilità tecnica solidissima ha giocato e manipolato di tutto, come ama osservare, passando tra le sue opere esposte, accarezzando i piccoli ciottoli levigati e le pietre scolpite a cui punte e scalpelli sottilissimi hanno dato volto ed espressione. Come in una Disneyland in miniatura. O in una gothic novel di nuova generazione.
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