di MILENA ZICCHETTI
Che fosse ateo, non è una sorpresa, ma che il ‘fanciullino’ della Cavalla storna, fosse stato considerato addirittura eretico, forse potrebbe essere una novità, così come l’ipotesi che la città di Rimini, con i suoi personaggi e le idee che allora circolavano, possa aver influito nel ‘traviare’ il giovane Giovanni Pascoli. Un aspetto, questo, su cui da tempo a San Mauro Pascoli si cerca di far luce, a magior ragione ora, vista la recente acquisizione ed esposizione al Museo Casa Pascoli della controversa lirica in doppie quartine, ‘In morte di Alessandro Morri’, scritta da Zvanì proprio durante il suo periodo riminese in occasione della scomparsa del caro zio, pubblicata nel dicembre del 1875 e considerata a tutti gli effetti non solo atea e ‘pericolosa’.
Ma iniziamo per gradi e proprio dalla città di Rimini, che per il poeta ha significato tante cose. E’ qui infatti che, dopo l’uccisione del padre Ruggero e la morte a distanza di un anno anche della madre Caterina, il giovane Zvanì e i suoi fratelli si trasferirono nel 1871. In città, un importante punto di riferimento per i fratelli Pascoli che, in poco tempo, si erano ritrovati soli e in difficoltà economiche, fu proprio lo zio Alessandro Morri, prima segretario del Comune di Sogliano, poi di quello di Rimini, che aveva sposato una sorella della madre di Pascoli, Luisa Vincenzi. Ed è sempre qui, che inizia a frequentare la seconda liceo e incomincia il suo apprendistato politico, che lo portò poi a diventare una delle figure più influenti dell’Internazionale socialista. Ma non tutti forse sanno, o ricordano, che Giovanni Pascoli in gioventù fu anche arrestato per le sue idee politiche rivoluzionarie, idee che, guarda caso, aveva appreso proprio a Rimini. Ed è sempre in quel suo periodo riminese, che il Pascoli frequentò poi “certi giovanotti che disertavano le chiese e parlavano ad alta voce di giustizia sociale e di progresso”.
E’ proprio in questo contesto che si colloca la lirica dedicata alla morte dello zio Alessandro Morri, dove emergono con forza i dubbi del giovane Pascoli sulla fede, già manifestati apertamente al professor Tonini: “Io, signor professore, la penso come Giacomo Leopardi” (noto ateo). “Chi sa dov’or si trovi il pellegrino / che s’è partito e non ritorna più? / Sta scritto nel volume del destino / una parola solitaria: ei fu… O tu, che or mo’ fra queste piante erravi, / che polve or sei fra quattro assi d’abete, / sei tu pur giunto a le contrade liete / a cui penosamente sospiravi?…”.
E’ solo un piccolo estratto, questo, dei tanto ‘pericolosi’ versi di ‘In morte di Alessandro Morri’ che insospettiscono la zia Luisa Vincenzi, una donna molto religiosa e probabilmente altrettanto bigotta che, preoccupata di un eventuale oltraggio alla fede, si consulta con la riminese Giovannina Grilli che non ha dubbi: “Brusèla, brusèla! La è contra Crest! (Bruciatela, bruciatela! E’ contro Cristo!)”. E’ stata questa la sua reazione e, a quanto pare, un giudizio inappellabile, il suo, visto che tutte le copie vennero da lì a poco bruciate. Tutte tranne due. Sembrava ne fosse rimasta solo una, quella gelosamente custodita a Castelvecchio di Barga, in provincia di Lucca. In realtà, ne esiste un secondo e rarissimo esemplare scampato al rogo, gentilmente donato al Museo Casa Pascoli dai coniugi Tiziana Morri e Luigi Tonini di Rimini. Una preziosa donazione che “consente ancora più di fare luce su un Giovanni Pascoli più autentico e al contempo su un pezzo di Romagna non ancora scoperta e che ha alimentato la sua poesia”, come sostiene il sindaco sammaurese Luciana Garbuglia. “La signora Tiziana Morri – ci spiega invece Rosita Boschetti, curatrice del Museo Casa Pascoli (nella foto a destra) – pronipote di Andrea Morri, fratello dello zio Alessandro del quale Pascoli aveva scritto la poesia, aveva conservato questa copia rarissima e preziosa. Per noi è un ulteriore tassello per ricostruire quel periodo della giovinezza su cui da molti anni lavoriamo e cerchiamo di approfondire e soprattutto per mettere in luce gli aspetti più autentici della personalità del poeta. Da notare – prosegue Rosita – che questo Andrea Morri era un garibaldino, quindi probabilmente anticlericale e forse per questo motivo conservò con cura, fortunatamente, la poesia”.