di Emanuele Foschi
“Sono convinto che la Storia non si scriva mai una volta per tutte. È in continuo divenire. Le certezze che ci hanno tramandato vengono continuamente messe in discussione.
Se quelli che ci sono sempre stati presentati come buoni non fossero stati sempre buoni, ma che avessero avuto delle zone d’ombra? E se i cattivi, cioè i perdenti, degni di damnatio memoriae, avessero avuto anche loro parte di ragione?”.
Questa la chiave di lettura del libro di Paolo Mieli: “In guerra con il passato – Le falsificazioni della storia”, presentato in anteprima al Teatro Regina di Cattolica il 28 aprile.
Organizzato dalla BCC di Gradara con la mediazione della giornalista Valentina Antonioli, l’evento è stata l’occasione per sviscerare, attraverso l’analisi di alcuni dei 27 capitoli il parallelismo con l’attualità nazionale ed internazionale.
“ Il lavoro dello storico – dice Mieli – è sempre quello di mettere in discussione ciò che ci è stato tramandato, con una convinzione ed una certezza: quello che spesso viene scritto sui libri è, a sua volta, possibile di essere confutato. La parola scritta funziona solo se la persona che legge può farsi una sua opinione su quanto appreso, rimettendo in moto la ruota che deve continuare a girare ininterrottamente. Il mio lavoro è fare questa operazione unitaria e, soprattutto nel nostro paese. Nella convinzione che se si fa questa operazione ci si aiuta a capire meglio il presente. Sono convinto che molte delle cose che non capiamo del presente derivano dal fatto che non abbiamo fatto fino in fondo i conti con il passato. Ci sono troppe incertezze gonfiate attorno al presente.
Facciamo una guerra sciocca con il passato. Il passato è lì, depositato a insegnarci delle cose. Se noi abbiamo un atteggiamento intellettualmente coraggioso e aperto queste cose le possiamo apprendere”.
Secondo il giornalista “il mestiere dello storico e del giornalista si somigliano. Il giornalista intellettualmente onesto è quello che fa i conti con il presente nel modo in cui fare i conti con il passato”.
Nel mondo della modernità sembra che siamo tutti più liberi, che abbiamo più possibilità, grazie alle tecnologie in nostro possesso. Sapere tutto in tempo reale ci è possibile solo se abbiamo gli strumenti per capire cosa è vero e cosa è falso, cosa è importante e cosa non lo è .La modernità ci offre più elementi su cui soffermarci, ma quantitativamente troppi. Uno dei difetti del mondo di Internet è che c’è tutto, ma il tutto con il passare del tempo diventa niente. Perché non abbiamo qualcuno che ci aiuta a selezionare questa grande conoscenza.
Nel passato, quando esistevano istituzioni affidabili per orientarci in questo mare magma della conoscenza, le cose erano migliori, anche se l’accesso non era per tutti.
C’è nel mondo di ieri, scavando indietro di decenni, secoli, un qualcosa di più adatto per affrontare i tempi di oggi. Questa eccessiva informazione trasforma un eccessivo tutto in niente.
Prima eravamo più guidati a selezionare informazioni culturali, ed eravamo più colti. Adesso abbiamo più mezzi a disposizione, ma siamo meno colti.
É l’autorevolezza sedimentata nel tempo a far sì che ci si fidi della validità della notizia.
Oggi i controllori delle notizie non si distinguono sostanzialmente da chi le notizie le dà, anche se false.
Il mondo del Web, inoltre, non ha creato informatori autorevoli. Il mondo radiofonico e televisivo ha creato, nel corso degli anni, dei punti di autorità di cui eravamo abituati a fidarci. Gli informatori del mondo di Internet possiedono invece popolarità solo in quanto abituè del mondo della televisione e della carta stampata. Non c’è nessuna vera autorevolezza che si fondi solamente nel soffermarsi sull’attendibilità di una notizia. Questo avviene perché il mondo di Internet è troppo vasto e non si è posto il problema di selezionarla questa autorevolezza.
Non esiste un sito indiscutibile, ciascuno fa sue le informazioni, spesso assemblando stralci qua e là.
Anche l’informazione televisiva oggi nel complesso ha perso punti, non ne ha guadagnati.
Basta soffermarsi ancora una volta sul passato, e prendere il tg5 diretto da Enrico Mentana come esempio, scevro com’era stato pensato da qualsiasi schieramento politico”.
Un altro tema importante affrontato da Mieli è quello del giustizialismo, sviscerato con un parallelismo storico.
Cicerone, uno dei più grandi uomini politici del passato, avvocato ed oratore, deve parte delle propria fama al fatto di essere andato in Sicilia. Prese un governatore isolano, Gaio Verre, e ne denunciò le azioni disoneste.
Emblema nei secoli su come si opera diligentemente a distruggere un potere costituito, le sue orazioni in latino ne decretarono la fama.
Tuttavia un capitolo del libro a lui dedicato, dimostra che la storia era un po’ diversa.
Verre in Sicilia aveva fatto danni, ma né più, né meno, di altri personaggi dell’epoca.
Le province a quel tempo venivano assegnate ai governatori come premio.
Erano comunque malefatte, pensate con il solo scopo di arricchirsi, tanto che Cicerone stesso ne beneficiò.
Verre venne messo sotto inchiesta solo quando si venne a sapere che partecipava alla fazione perdente, quella con Mario Silla, e la sua detronizzazione altro non fu che un modo di Cicerone per farsi bello e prevaricare su qualcuno che politicamente aveva già perso.
Verre ebbe comunque la soddisfazione di morire lo stesso anno di Cicerone che fu decapitato.
Questa storia, in tempi di esaltazione giudiziaria, ci racconta che le cose non sono così come appaiono. Coloro che si attribuiscono il ruolo di giustizialisti verso altri spesso lo fanno perché hanno la partecipazione che altri sono perdenti. Quando poi verrà il giorno del giudizio umano loro avranno la stessa sorte, in una sorta di catarsi.
Negli ultimi venticinque anni appare spesso questa cosa: grandi punitori verso gli altri in realtà non avevano a cuore la pulizia di un sistema, ma infierire sugli sconfitti. Nel momento della verità si è dimostrato che anche loro erano individui poco raccomandabili. La storia insegna a guardare con un senso di prudenza nei confronti del passato e di capire che convinzioni eccessive in quel momento implicano che qualcosa non va. Ci vuole un orecchio allenato, dobbiamo noi capire, e non i mezzi d’informazione, che cercano di insistere sui motivi dei buoni ai danni dei cattivi.
Nel suo libro Mieli racconta tutte storie di capovolgimenti attraverso prospettive e documenti su come la storia ci è stata raccontata e tramandata, ricche di citazioni e fonti da cui si è attinto in modo incontrovertibile. L’approccio alla Storia deve essere sempre problematico. Non esistono certezze assolute, detentori di verità assolute, tutto il bene da una parte e tutto il male dall’altra. Le verità sono sfaccettate, spesso le ragioni appartengono ai perdenti, e coloro che vengono messi sotto hanno punti su cui fermarsi a riflettere.
Il segreto di ogni libro che parla di storia e di politica è capire che al mondo c’è una cosa che non riguarda arcani del potere del presente o del passato, ma eventi che si ripetono, che sono vicende legate al quotidiano e che raccontano la storia.
Il vero segreto della vita è ricominciarla più volte, anche nel caso di sconfitta, anche nel rapporto stretto uomo donna, quello a noi più vicino.
Qui, il collegamento di Mieli all’attuale situazione politica italiana. “Come nel Pd, quando i rapporti sono oramai compromessi, bisogna dire basta e ricominciare; ci si separa, ammesso che ci si riesca, perché vengono fuori spesso metastasi.
Quello che nel partito sta succedendo negli anni di Renzi è una cosa che non si è mai vista, ci si scontra duramente, alla fine si fa una conta, che fanno i cittadini.
Si vota e il giorno dopo si ricomincia, con modalità suicida.
Non si stia sempre a discutere come se il centro della nevrosi italiana fosse chi debba prevalere.
Spero che Renzi una volta vinte le elezioni abbia almeno sei mesi di tregua, senza che si polemizzi il giorno dopo. Penso che il partito sia ormai gravemente compromesso.
Una delle cose che vengono vietate, anche in altri partiti dalla sinistra europea, è che ci sia un’anima di sinistra mossa la quale è possibile richiamarsi a dei valori veri, riconquistare la maggioranza.
Purtroppo non è vero, in Francia ed Inghilterra, come anche negli Usa, ci sono personalità che si presentano in nome dell’unità e dei vecchi valori; però quei vecchi valori non sono più valori che esercitano un richiamo maggioritario, in nessuna parte del mondo.
Un richiamo maggioritario elettorale è negato a queste persone, in tutto l’Occidente.
In genere vince la destra, ma dove vince la sinistra vincono con un altro tipo di candidati.
L’unico modo è creare una zona di consenso nuova rispetto a quello che già c’è, invece di distruggere dal di dentro, che sembra l’unica soluzione”.
“Riguardo alla crescita dei Cinque Stelle nel Sud’Italia – continua Mieli – ci credo. Riguardo a quelli che danno i dalemiani spacciati credo anche a questo. Gli scissionisti del Pd hanno fatto un grandissimo lavoro, ma se credessero veramente a quello che hanno fatto dovrebbero accelerare i tempi per le elezioni, per dare a stessi la possibilità di misurarsi e vedere la grande popolarità che hanno dichiarato avere intorno alle loro idee. Invece con preoccupazione vedo gente che se ne è andata dal partito convinta che quello sbagliato sia Renzi. É questa una brutta malattia della sinistra.
La sinistra vive di scissioni continue in cui mai per tutto il Novecento questi gruppi hanno avuto successo, se non per distruggere il partito da cui provenivano, come nel 2005 è successo in Germania.
L’Italia è l’unico paese dove sopravvive una cosa che non è la destra, o almeno quella destra berlusconiana in cui molti non si riconoscevano, in piedi.
A distruggerla, l’eventualità dei Cinque Stelle piu una combinazione raccattata dalla Lega ci porterebbe un paese migliore? Io non credo.
Come non penso che la missione di una vera persona di sinistra sia di favorire un accrocchio fra Lega e Giorgia Meloni e portarla al governo”.
Alla fine una domanda tutti si chiedono: Ce la farà il nostro paese a superare la miriade di problemi che l’affliggono?
“Sono sicuro di sì. Malgrado tutti i difetti che la affliggono da sempre la nostra nazione ha un primato mondiale: la capacità di rialzarsi, come nessun altro al mondo, quando se la vede peggio.
Se imparassimo noi italiani a non allungare spesso il brodo, rimandando sempre a domani quello che potremo fare oggi…
La capacità di puntare sempre in alto anche nelle peggiori situazioni, come fu Caporetto.
Fu un disastro, ma la forza per rialzarsi non ci mancò.
Quindi sì, ce la faremo”.
Senza tuttavia genufletterci davanti agli errori della Storia.