Il filosofo Diego Fusaro con il direttore della biblioteca di Misano Gustavo Cecchini
di Emanuele Foschi
Che cos’è la pedagogia unica? In che modo l’educazione ne è influenzata, al punto da piegarsi di fronte al pensiero, oggi anch’esso recante l’ambiguo appellativo “unico” ?
Interrogativo quanto mai attuale, alla luce del controverso ruolo che l’educazione si sta apprestando stancamente a rivestire, bersaglio da più parti di attacchi mirati provenienti da quelli che appaiono come ignoti mandanti
Questo il tema dell’incontro di domenica 7 gennaio ”Pedagogia unica? Critica del pedagogicamente corretto” all’interno della storica rassegna ”L’educazione buona, visuali e visioni”, a cura di Marcello Di Bella. Ospite il filosofo e docente Diego Fusaro, la cui carriera spazia da Platone fino alla filosofia classica tedesca.
Autodefinitosi allievo indipendente di Marx e Gramsci, autore di numerosi libri e saggi, il giovane studioso propone un’ interessante e stimolante applicazione di idee e concetti classici al mondo ed alla società odierna, capace di proporre una variante di pensiero talvolta in controtendenza a quella attuale.
Per Fusaro la realtà non è mai bianca o nera, e anche il tema dell’educazione necessita di approfondimenti.
Bisogna, afferma, focalizzarsi su due punti principali: la distruzione capitalistica della scuola e della pedagogia a cui stiamo andando incontro e il problema del pensiero unico nel nostro contemporaneo, che si dispone in ambito scolastico nella forma del pedagogicamente corretto.
Per comprendere pienamente i moti di pensiero utili a venire a capo della funzione etica della scuola come depositaria dell’educazione, imprescindibile la figura di Hegel, autore da interrogare al fine da rintracciare fra le pagine dei suoi scritti punti focali da cui attingere per capire la funzione oggi della scuola.
Hegel ragiona in veste di direttore di ginnasio a Norimberga e nei Lineamenti filosofia
del diritto enuncia che vi sia prima la comunità, poi l’individuo. L’individuo nasce sempre all’interno di una comunità, tra cui una proto-comunità che è la famiglia, prima figura dell’eticità, da cui nasce il problema stesso dell’insegnamento.
Il ragionamento verte sul tema dell’educazione, il cui compito inizialmente spetta ai genitori che, mossi da un sentimento, quale l’amore capace di rappresentare una prima forma di superamento della scissione da una visione unica che parte da un presupposto individualista. Amore come forma principale di unità organica, che si concretizza con la procreazione.
Cresciuti, i figli sono affidati alla scuola, che ha il compito di sviluppare quell’educazione già sviluppata in famiglia.
L’obbligo dello stato di di imporre l’educazione fa di Hegel un lungimirante progressista e anticipatore di quello che nel ‘900 avrebbe avuto un’ importanza fondamentale, ossia l’obbligo scolastico garantito dai moderni stati di diritto per impedire che vengano acuite differenze sociali insite nella società a vantaggio dei figli delle classi sociali più altolocate. La funzione educativa di garantire a ciascuno il proprio compimento come individuo pieno, consapevole del proprio radicamento nella tradizione in cui è partecipe, funzione storica dei propri diritti e doveri, rappresenta per il filosofo una priorità.
In questo contesto esiste l’individuo, non la società, come ebbe a dire Margareth Tatcher.
E proprio la scuola deve fungere da collante come riconoscimento reciproco di relazione sociale fra individui liberi, e non come possedimento individuale.
Scuola, sanità pubblica e amministrazione della giustizia e sindacati sono potenze etiche che garantiscono che ciascuno di noi svolga una funzione competitiva che come membro di un universale famiglia, la società come somma di individualità.
In questo scenario l’ eticità è riconquista di ciò che è disperso nella società dei bisogni; baluardi a difesa di cui concorrono gli enti pubblici organicamene predisposti; lo stato come potenza politica che garantisce libertà per i suoi cittadini.
Ma il sistema, per Hegel, si appresta a creare esuli, figli di un abbandono sostanziale di padre e madre, senza alcun diritto fondamentale.
Finito il tempo del proletariato di marxiana memoria, vincitore di conquiste salariali anche importanti, ci accorgiamo sempre più di un ritorno della plebe su scala globale, che vive l’euforia dei processi della propria alienazione quotidiana, sullo sfondo di un’ Europa nuova colonia del sistema capitalistico.
Cosi sistemata, priva di una sua grammatica, passiva, mutilata dell’elemento etico e statico proprio del mondo borghese, questa nuova plebe liquida non riesce a trovare una sua dimensione nell’attuale spazio comunitario, e non può garantirsi nessuna progettualità futura.
Una nuova composizione della classe dominata, riconosciuta plebe senza diritti, e un nuovo assetto dei processi della mondializzazione capitalistica, che potrebbe essere definita in termini hegeliani come il patrimonio del sistema dei bisogni, procede dissolvendo tutte le istanze etiche e comunitarie ancora superstiti, come le radici etiche a noi familiari,
Tutto è ridefinito in termini di consumo, merce, libero mercato e alla dissoluzione di tutte le altre figure, famiglia, stato sovrano nazionale, cittadino.
La fanno da padroni controverse figure di consumatori individualizzati, che si rispecchiano in toto nell’uomo comune.
Allineata a paesi come la Francia e la Spagna, fautrice dell’introduzione di ore aggiuntive di finanza al posto di filosofia, l’Italia, dove le tre i (impresa, internet e inglese) cozzano sempre più contro il vecchio sistema gentiliano della scuola, con l’idea di fare degli studenti appetibile merce per il mercato del lavoro.
Negli anni la scuola assume maggiormente la forma di ambiente concorrenziale. Si complica il rapporto educativo, prima quello padre figlio e poi si impone in ambito scolastico il principio che il cliente ha sempre ragione.
Si sta facendo strada il concetto che la scuola sia un semplice luogo di preparazione per il mercato del lavoro, dagli esiti remunerativi quanto mai incerti, venendo meno alla sua funzione educativa primaria, privandola anche di menzione alcuna.
Sempre più prossima a definirsi distruzione organizzata dell’istituzione scuola, questo processo si appoggia a soluzioni di comando verso persone non formate, facilmente influenzabili dal mondo dei consumi e succubi di pratiche di manipolazione di massa.
“Un generale manipolatorio all’attacco del mondo pubblico”, dice Fusaro, ovvero la privatizzazione, altro obiettivo di questi processi di massa realizzati ad hoc con un consenso realizzato su un adombramento di coscienze.
E ancora “Dove sussiste, la scuola, la pedagogia e l’educazione diventano avamposto primario del pensiero unico politicamente corretto, passo indispensabile per la distruzione capitalistica dell’ eticità”.
Ma, cosa si intende per pensiero unico? Si prenda innanzitutto in esame l’anno 1989, e quello che ha rappresentato per le diverse ideologie che hanno provato a resistere all’indomani dei cambiamenti post-guerra fredda. Demonizzate da una non più vecchia borghesia, ma da una nuova classe apolide né proletaria né borghese che vuole distruggere tutte le conquiste del mondo proletario, queste ideologie si vedono soppiantate dal trionfo di un capitalismo liquido finanziario imposto da un nuovo assetto global-totalitario.
Abbandonato a sé stesso, il vecchio mondo borghese, che ritrova al suo interno scuola , famiglia, sindacati, non slegato al sistema capitalistico, ma ancora pervaso da un’ indole culturale figlia legittima dei modelli illuministi, si trova assoggettato ad una distruzione sistematica da parte del sistema dei bisogni puro, che auspica la formazione di uno spazio aperto globalizzato del sistema in cui il denaro disponibile sia la chiave d’accesso deregolamentato nell’omologazione dilagante.
In un nuovo feudalesimo capitalista i signori della pedagogia unica, il nuovo clero, hanno come unico scopo che la nuova classe dei lavoratori sia precaria in tutto, che accetti il dominio dei dominanti e che si muova secondo le stesse identiche coordinate di pensiero.
La pedagogia unica nei licei e nelle università questo si ripromette di fare, mettendo piede nei luoghi di formazione, attuando un’ortopedizzazione delle coscienze e interessandosi all’indottrinamento global libertario dei giovani sin dalla tenera età, tale da accettarne il dominio in modo che famiglia, stato nazionale, radicamento, posto fisso, siano sfocate rimembranze di atavici tempi perduti.
Paradossale poi la circostanza delle manifestazioni nelle piazze dove i giovani se la prendono con la scuola borghese, non rendendosi conto invece che i colpi indirizzati verso la stessa istituzione vengono proprio dal capitale.
La visione dei totalitarismi rientra tra questa sfacciata distorsione colpevolizzando lo stato nazionale e dimenticando che, mentre al suo interno nascevano e prosperavano queste sciagurate dottrine, esso stesso garantiva il primato sull’economia e poteva rivendicare conquiste salariali importanti.
In modo più sfumato il relativismo, la possibilità di porre in discussione una verità o postulato, viene stra-abusato ad uso e consumo del capitale imperante, minacciando di autoritarismo la verità imposta, in qualsiasi luogo o tempo.
Conclude così Fusaro: “ Oggi la critica del pensiero unico deve essere anche una critica della pedagogia unica e una difesa fiera e incondizionata della scuola pubblica come luogo resistenziale di formazione di coscienza critica nel senso hegeliano della formazione di individui pensanti. Perché, come diceva Marx, abbiamo il compito di essere cavalli che i governanti faticano a sottomettere”.