Quella relativa alla tornata elettorale svoltasi domenica scorsa rimarrà probabilmente nella storia come una delle sconfitte più cocenti del centrosinistra italiano dal dopoguerra ad oggi.
Occorre una piena assunzione di responsabilità da parte di un intero gruppo dirigente; bene, da questo punto di vista, le dimissioni di Renzi.
Lunedì prossimo è convocata la Direzione Nazionale del Partito Democratico, alla quale parteciperò, e dove auspico avvenga una discussione (con tanto di ascolto e non di comunicazione unilaterale) nella quale non venga omesso il tema della sconfitta, come spesso si è fatto dopo tutte quelle che si sono succedute in seguito alle Europee del 2014, in primis quella relativa al referendum costituzionale ma anche nei diversi turni di voto amministrativo, non ultimo quello delle regionali siciliane. Guardiamo avanti ma non sottovalutiamo errori e sconfitte.
Non commettiamo nemmeno lo sbaglio di svolgere il nostro dibattito tra opposte tifoserie: non è più il tempo (non lo sarebbe mai dovuto essere) di ‘renziani e antirenziani’ perché non ha perso solo Renzi, verso il quale non sono mai stata tenera, ma ha perso tutto il centrosinistra; e all’opposizione non ci mandano le dichiarazioni dei dirigenti del PD ma ci ha mandato l’elettorato.
E su questo, cioè sul dibattito iniziato sulla futura collocazione del partito, mi vien da dire che pare più un diversivo per sviare l’attenzione rispetto a quello che deve essere l’oggetto vero della discussione: l’esito del risultato elettorale. Di fatto, la grande maggioranza degli esponenti del PD ha già espresso contrarietà all’ipotesi di entrare in qualsiasi tipo di coalizione di governo con altre forze politiche (sia M5S che centrodestra), ma guarda caso in queste ore si parla solo di questo. Evitiamo.
Così come non dobbiamo scadere in dibattiti con riferimenti esilaranti tipo quelli relativi ai caminetti a cui lo stesso Segretario ha fatto riferimento, anche perché, a ben guardare, l’unico caminetto convocato in seduta permanente è stato quello riunito al Nazareno per la definizione delle candidature.
Si vedrà, fin da lunedì, se ci sarà un primo cambio di passo o meno, se la Direzione cioè sarà convocata come accaduto fino ad oggi per ratificare un qualcosa di già deciso o se vi sarà la possibilità di un dibattito vero, profondo, anche aspro, ma che porti a delle scelte realmente collegiali. Se vogliamo proseguire con serietà dobbiamo collaborare tutti per individuare un percorso comune di analisi e rilancio del partito, che ci consenta anche di attraversare i passaggi istituzionali imminenti con responsabilità e unità. Per farlo serve una direzione politica realmente inclusiva, occorre abbandonare il modello del “lanciafiamme” e costruire nuovi spazi di dialogo e confronto.
Venendo al dato più locale, regionale e riminese, penso che anche qui vadano colti alcuni segnali.
A livello regionale la nostra coalizione conquista 18 seggi sui 45 totali alla Camera (tra collegi uninominali e parte proporzionale) e 8 seggi su 22 al Senato: un netto ridimensionamento rispetto al 2013, che pone la coalizione di centrosinistra (senza LeU) al secondo posto dopo quella di centrodestra e prima del M5S. E’ un dato che non va sottovalutato, tenendo conto anche della prossima scadenza elettorale che coinvolgerà proprio la regione Emilia-Romagna nell’autunno del 2019.
Nel riminese il centrosinistra si piazza terzo, nettamente dietro a centrodestra e M5S. Questo deve farci fare necessariamente una riflessione ineludibile. Nella primavera del 2019 andranno al voto 16 Comuni su 25, tra i quali due con popolazione superiore ai 15.000 abitanti. Vero è che sono sempre esistite e sempre esisteranno delle diversità tra il voto politico e quello amministrativo, ma il rischio è che tale differenza si possa annacquare col tempo, e la scelta dei cittadini tra le opzioni in campo potrebbe essere sempre di più influenzata anche da altri fattori, che non siano quelli prettamente locali.
In alcune delle analisi fatte ho notato che improvvisamente nessuno più ha richiamato la dizione ‘modello Rimini’, citata come un mantra fino alla sera del 3 marzo da molti degli addetti ai lavori e usata perlopiù per giustificare una candidatura legittima, ma sulla quale una parte del PD aveva espresso forti dubbi. Quindi credo che quando parliamo di modelli faremmo bene a riferirci ad un modo di governare, fatto di cose concrete realizzate per i cittadini e per le nostre comunità, e non tanto a formule politicistiche che riguardano più il ceto politico che altro.
Caro Andrea (Gnassi), quando affermi testualmente (lo scrivo con l’unico intento di confrontarci, senza alcuna polemica): ”A Rimini, in provincia di Rimini, se la competizione è tra persone e programmi, e non tra fantasmi e ologrammi di partito dietro cui si nasconde la propria inconsistenza, allora la musica cambia….” cosa intendi? Il PD aveva un programma sbagliato per le politiche? I candidati del nostro territorio non erano adeguati? Io non lo penso, né sul programma nazionale e nemmeno ad esempio sul candidato del PD, Tiziano Arlotti, che ha svolto un buon lavoro nei cinque anni romani, conciliandolo con una costante presenza sul nostro territorio.
Facciamola quindi questa profonda riflessione, non chiudiamoci nel nostro recinto autoassolutorio o consolatorio, cercando colpe, alibi o cause esterne e liquidando l’accaduto come un nulla di fatto perché commetteremmo un grave errore.