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Santarcangelo. Arte, lo studioso Giovanardi racconta del genio del pittore Guido Cagnacci

Redazione di Redazione
2 Maggio 2018
in Focus, Santarcangelo di Romagna
Tempo di lettura : 3 minuti necessari
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Guido Cagnacci, La morte di Cleopatra

“Doppio sogno. Melanconia ed estasi di Guido Cagnacci”. E’ il titolo della conferenza che si tiene il 4 maggio, ore 17,30, in biblioteca a Santarcangelo di Romagna, all’interno della rassegna “I Maestri e il Tempo”. Gli appuntamenti proposti dalla Baldini in maggio entrano nel vivo con un appuntamento artistico di alto valore.

L’iniziativa fa parte della rassegna “I Maestri e il Tempo. Visionari, melanconici e avventurieri” curata dallo stesso Giovanardi per la Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini: un ciclo di conferenze di alto spessore culturale, capaci però di raggiungere non solo studiosi, ma anche appassionati e curiosi, rivolgendo lo sguardo alla storia e all’identità del territorio.

Guido Cagnacci

Definito da alcune fonti artista bizzarro e stravagante, in quanto eccelse nell’arte pittorica precorrendo il futuro, scoprendo i corpi più santi e pii rappresentandone le passioni proibite, nasce nel 1601 a Santarcangelo di Romagna. Non sappiamo chi sia stato il suo primo maestro, ma tra il 1618 e il 1621 è mantenuto dal padre a Bologna per apprendere l’arte della pittura, probabilmente presso Ludovico Carracci o un artista della sua cerchia. Importanti furono anche due soggiorni romani nel secondo dei quali, tra il 1621 e il 1622, lo troviamo a fianco del Guercino. I suoi primi dipinti documentati sono le due tele, la Processione del Santissimo Sacramento e il San Sisto Papa, entrambe conservate presso il museo di Saludecio e del beato Amato attiguo alla chiesa di San Biagio di Saludecio, del 1627. Dal 1623 al 1648 la sua attività si svolge soprattutto in Romagna, un periodo che vede l’affermarsi della fama dell’artista, ma che è anche segnato da avvenimenti turbolenti, come un tentativo di fuga con una giovane e chiacchierata vedova della nobile famiglia Stivivi, Teodora, per il quale nel 1628 Guido è bandito da Rimini. A Santarcangelo gode della protezione di Monsignor Bettini, che nel 1635 gli commissiona la pala con San Giuseppe e Sant’Egidio per la Confraternita dei falegnami e dei fabbri, opera che segna lo spartiacque tra la fase giovanile dell’artista e la maturità, che lo vedrà rivolgersi soprattutto verso i grandi maestri emiliani, e in particolare Guido Reni e il Guercino. Nel 1643 lavora ai dipinti del duomo di Forlì con San Valeriano e San Mercuriale, lavori a cui non sono estranei né la prospettiva né i colori di Melozzo, mentre nel 1647 è a Faenza, in relazione con la potente famiglia Spada. Proprio per quel che può aver assorbito da Melozzo, a Roma e a Forlì, e per quel che ha colto dall’ambiente culturale forlivese, è stato messo in relazione con la scuola pittorica forlivese. Sempre a Forlì è anche la tela “San Giuseppe in estasi”, nella Chiesa di San Giuseppe dei falegnami. Con il 1648 termina l’attività romagnola del pittore, che si stabilisce a Venezia con il nuovo nome di “Guido Canlassi da Bologna”. A questo punto si datano molti dei suoi dipinti con figure femminili e soggetti profani. Su invito dell’imperatore Leopoldo I, verso il 1660 si trasferisce a Vienna, dove muore nel 1663.

Alessandro Giovanardi

Formatosi in filosofia ed estetica alle Università di Bologna e Siena (dove ha conseguito il Master e il Dottorato), è curatore degli eventi culturali della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini e docente di Arte Sacra e di Iconografia e Iconologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Rimini-San Marino-Montefeltro. Collabora con l’ISSR di Monte Berico (Vicenza). È autore di brevi saggi che trattano il rapporto tra filosofia e arte nel pensiero russo (Florenskij, Evdokimov, Zabughin), e in quello italiano più attento alla tradizione slava (Cristina Campo ed Elémire Zolla). Da tempo si interessa al rapporto tra la pittura e le fonti filosofiche, religiose e letterarie, spaziando dall’iconografia bizantina all’età contemporanea, interessandosi in particolar modo al Trecento riminese e al Gotico tra Romagna e Marche, per cui ha redatto molti contributi sulle riviste «L’Arco», «Ariminum», «Romagna Arte e Storia», «La Nuova Europa», «Parola e Tempo». Per il III e il IV volume della Storia della Chiesa di Rimini ha redatto i saggi dedicati alla pittura del Trecento (2011) e del Settecento (2013). Ha curato le mostre Lo Specchio del Mistero. L’icona russa tra XVIII e XX secolo (Rimini, 2008), Un filo rosso tra le dita. L’Annunciazione nell’Oriente cristiano (Vicenza, 2008-2009), La Natura e la Grazia (Cesena, 2012), Il Visibile Narrare (Cesena, 2013-14). È curatore delle monografie Bitino da Faenza. Storia, arte e simboli (2010/2011), Lo splendore delle lacrime. Una nuova Pietà di Benedetto Coda (2015) e Cesare Pronti e San Girolamo. Arte, fede e cultura (2016/2017). Sul versante filosofico e letterario ha scritto i saggi «Pietas» e bellezza. L’arte sacra in Cristina Campo (Roma, 2007) e John Lindsay Opie. Estetica simbolica ed esperienza del Sacro (Prefazione di Boris Uspenskij, Roma, 2011). Recentemente ha curato l’antologia di saggi di John Lindsay Opie, Nel mondo delle icone. Dall’India a Bisanzio (Prefazione di Bruno Toscano, Jaca Book, Milano, 2014). Dal 2016 membro del Comitato Scientifico della Biennale del Disegno, per la III edizione cura con Franco Pozzi la mostra Fogli della Follia. Fortunato Duranti visionario e romantico (Rimini, Museo della Città, 28 Aprile-15 Luglio 2018, catalogo Bookstones).

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