di Tobia Gorrio
– Rimini sotto i riflettori dell’Italia della lirica, almeno per una sera. In grande spolvero: prestigiosi personaggi, tappeto rosso, diretta audio video sulla piazza e forza pubblica in alta uniforme, uomini in farfalla nera e donne in lungo, sala esaurita, melomani, bel mondo e addetti ai lavori ai massimi livelli. Anche dall’estero (a decine per il soprano Cecilia Bartoli).
Grande attesa per la protagonista dell’opera, lei è Angelina nella Cenerentola di Rossini, “origini” riminesi per il babbo Angelo, tenore già allievo di Arturo Melocchi. Al secolo Cecilia Bartoli, una star della discografia e dell’opera riconosciuta a livello mondiale, nell’unica data italiana di quest’anno.
Dopo quasi trent’anni di carriera, dopo aver spaziato dal repertorio rossiniano mezzosporanile degli esordi (ricordiamo un candido Isolier alla Scala nel 1991 e il clamoroso exploit proprio in Angelina al Teatro comunale di Bologna sotto l’attenta guida del maestro Chailly) al repertorio settecento di Haendel e Mozart fino al protoromanticismo alle discusse incursioni sopranili in Bellini (Sonnambula e Norma) e Rossini (Fiorilla), sembra voler tornare alle origini riprendendo la corda mezzosporanile rossiniana nella appena scorsa incursione salisburghese in Isabella nonché al ritorno di uno dei suoi cavalli di battaglia, Angelina appunto.
Lo fa con raffinata accortezza, credendoci, ritrovando lo stesso entusiasmo giovanile dei primi anni. La Bartoli è una Cenerentola piena di vita e fantasia, trasformando lo spirito “larmoyant” (spesso eccessivamente pervasivo in molte sue molto più giovani colleghe) in esaltante candore e mirabolante energia, riuscendo vincente nel far comprendere la ragione dell’innamoramento del rampollo salernitano.
Ecco che, con i suoi sorrisi, i suoi balzi, i suoi sguardi, mai viene a mancare lo spirito della favola pur in una recitazione molto concreta e diretta. In una parola moderna: il fraseggio sempre attento, si rivela in costante ricerca di una originalità aggettata verso una joie de vivre che riesce ad instillare anche nelle ben note capacità pirotecniche del suo vocalizzare, fino ai fuochi d’artificio del rondò finale, appuntamento che la vocalista non si lascia certo sfuggire.
La voce è uniforme come sempre e la tecnica di coloratura non delude mai, sempre fresca e giovanile. Se questa era la Cenerentola della Bartoli, il resto del cast è riuscito collocarsi in simmetria con la diva italiana. In particolare vogliamo segnalare il caso del grande basso spagnolo Carlos Chausson, ai più, in Italia, non conosciuto, se non per qualche apparizione a Ferrara sotto la bacchetta del grande Abbado, nel famoso Viaggio a Reims del bicentenario (1992).
Incurante dei 68 anni, mostra una (grande) voce dall’emissione ferma e rigogliosa, messa al sevizio di un personaggio buffo sì, ma dignitoso, altero, privo (finalmente) di inutili istrionismi. Al netto della poderosa emissione, Chausson sciorina i famosi sillabati con precisione e facilità nell’aria del secondo atto, dopo aver lasciato un bellissimo ricordo per i colori, calibratissimi e centrati, mostrati nell’aria della cantina “Intendente, direttor…”.
Non si può che rimanere ammirati di fronte a tanta brillantezza e gioco scenico nel mostrare un Don Magnifico brillo ma impegnato a non lasciarlo intendere. Molto bello!
Alessandro Corbelli dopo tanti Don Magnifico, torna a vestire i panni di Dandini. E lo fa da par suo! Se la figura leggermente attempata non collima con l’immagine che il pubblico odierno ha dello scudiero del principe, il baritono torinese lo investe di tutta la sua maestria nel porgere, dando una vera lezione di stile. I recitativi sono lavoratissimi, Corbelli sottolinea la malizia di molte frasi, spesso non curate, il fraseggio cesellato fin nei più piccoli particolari, l’attore sempre presente, furbo e intelligente. Se non fosse per le agilità aspirate, che spiacciono alla moderna filologia rossiniana, saremmo di fronte al più grande Dandini finora conosciuto nella storia dell’interpretazione dell’opera.
Bravissimo anche Edgardo Rocha, aitante Don Ramiro trepidante d’amore come conviene e spavaldo nella vocalità per la bella incognita. La voce è bella, pastosa e solida e, giustamente, la grande aria del secondo atto è stata salutata dall’applauso più caloroso del pubblico, durante l’esecuzione.
Bene il boliviano Josè Coca Loza: il timbro scuro e pastoso ben si è adattato alla figura del maestro Alidoro. Le agilità un po’ aspirate e una certa incertezza scenica lo pongono un passo indietro rispetto a “cotanto senno”. Tuttavia il cantante è giovane e pieno di qualità: col tempo sentiremo parlare di lui.
Ottima la Tisbe di Rosa Bove dal piglio verace e scanzonato mentre Martina Jankova come Clorinda, seppur con voce squillante e sicura, è parsa qua e là un po’ estranea allo stile del recitativo all’italiana, assicurando, tuttavia, una buona tenuta scenica.
Molto interessante la direzione di Gianluca Capuano, che ha lanciato l’orchestra in spericolati crescendo rossiniani, di grandissimo effetto, soprattutto nella sinfonia e nel temporale, e in fantasmagoriche esplosioni sonore. I tempi sono stati tendenzialmente serrati e si è notata la ricerca di un suono non banale, non necessariamente bello, talvolta stridente e puntuto, ma sempre originale.
Insomma, il maestro Capuano ha fatto “ricerca”, cercando una via personale, non battuta dalla, oggi ormai nota, ortodossia pesarese. Dobbiamo per questo ringraziarlo: ne è uscito un Rossini molto personale e sempre stimolante.
L’orchestra Les Musiciens du Prive e il coro dell’Opera di Montecarlo hanno assecondato straordinariamente il direttore, con coesione e coerenza… Allestimento semi scenico con una regia misurata e divertente, in un teatro tutto stucchi, seta e oro tirato a specchio.
In tanta magnificenza, il pubblico ha atteso la diva fin oltre l’una di notte. Ininfluente il personale quasi sotto stimato, vista l’affluenza di pubblico. Un solo dubbio, ma le dame e i cavalieri intervenuti alla serata, in mancanza di addetti ai servizi, essendo questi “stranamente” privi di ganci o mensole, come se la saranno cavata in caso di necessità.