Tratto da lavoce.info
di Leonzio Rizzo, professore dell’Università di Ferrara
e Massimo Taddei, Research Assistant per lavoce.info.
L’annunciata introduzione del cashback (rimbosro) mira ad aumentare la tracciabilità dei pagamenti per ridurre l’evasione fiscale. La scommessa è riuscire a recuperare una somma superiore ai costi dell’operazione. In Portogallo ci sono riusciti.
Nel “decreto agosto”, il governo ha annunciato l’introduzione del cashback di stato per i pagamenti elettronici. L’obiettivo è quello di rendere tracciabili un maggior numero di transazioni, in modo da ridurre l’evasione fiscale, in particolare dell’Iva.
La scommessa del recupero dell’evasione
Ma come funzionerà questo meccanismo? Dal primo dicembre, per ogni pagamento eseguito si riceverà un rimborso del 10 per cento sul totale della transazione. È stato fissato un tetto sui rimborsi pari a 150 euro per semestre e un numero minimo di transazioni da effettuare pari a 50 per semestre. Questo significa che ogni anno si potranno ottenere rimborsi fino a 300 euro su un totale di spesa di tremila. Inoltre, il governo ha deciso di incentivare l’utilizzo quotidiano dei pagamenti elettronici introducendo un premio per i maxi-utilizzatori: le prime centomila (per numero e non per valore) transazioni effettuate in un anno riceveranno un premio di tremila euro. Infine, verrà istituita una lotteria degli scontrini, con premi fino a 5 milioni di euro. Agli incentivi per i consumatori, va aggiunto il credito di imposta sulle commissioni del Pos per gli esercenti, valido a partire dal primo luglio 2020 per i contribuenti con ricavi e compensi relativi all’anno di imposta precedente non superiori a 400 mila euro.
Qual è il vantaggio per lo stato nell’offrire questi incentivi? I pagamenti digitali, oltre a ridurre i costi e i tempi delle transazioni, sono molto più complicati da nascondere al fisco; una maggiore quantità di pagamenti tracciati, dunque, aumenta la base imponibile e quindi i ricavi per lo stato nella raccolta delle imposte. Infatti, l’uso del contante e la dimensione dell’economia sommersa sono
correlati positivamente come mostra il grafico della figura 1 relativo ai paesi della Comunità Europea.
Inoltre l’Italia risulta sestultima tra i Paesi europei nell’utilizzo di strumenti di pagamento cashless e tra le 35 peggiori economie globali che più utilizzano il contante rispetto al PIL.
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Per quanto riguarda i costi, nella Nadef da poco pubblicata il governo prevede stanziamenti per 1,75 miliardi nel 2021 e 3 miliardi per il 2022. Considerando la perdita stimata di gettito complessivo dovuta all’evasione, pari a 104 miliardi nel 2018, il costo di queste operazioni sembra essere piuttosto contenuto. Si tratterebbe infatti dell’1,68 per cento dell’evasione fiscale nel 2021 e del 2,88 nel 2022. La scommessa è quella di riuscire a recuperare un ammontare di tasse dall’emersione dell’economia sommersa superiore ai costi dell’operazione, anche se non esistono ancora stime ufficiali del governo sull’aumento delle entrate fiscali.
Il successo dell’esperimento portoghese
Questi incentivi sono in gran parte ispirati a quelli introdotti dal governo portoghese a partire dal 2014. Nel 2014 sono stati istituiti la fatura da sorte (lo “scontrino della fortuna”), una lotteria degli scontrini, e il meccanismo del cashback, con uno sconto del 15 per cento detraibile dalla dichiarazione dei redditi. Come nel caso italiano, il rimborso non si limita ai beni di prima necessità, ma a tutti i consumi. In Italia, però, il rimborso non verrà scontato dalla dichiarazione dei redditi, ma sarà accreditato sul conto corrente personale. A differenza di quello portoghese il meccanismo italiano è di fatto un trasferimento e non penalizza coloro i quali sono incapienti, ovvero non pagano imposte e quindi non sono in grado di incassare tramite la detrazione il cashback.
Grazie all’introduzione di queste misure, il Portogallo è riuscito a dimezzare il proprio Vat gap, ossia la percentuale di Iva evasa rispetto al totale dell’Iva dovuta, dal 13,7 per cento del 2014 al 7 per cento stimato nel 2019 (Figura 2). La percentuale di Iva evasa sul totale è diminuita quindi 6,7 punti percentuali. Se anche l’Italia dovesse riuscire in una impresa simile il recupero di Iva sarebbe di circa dieci miliardi.
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In conclusione quindi già il solo recupero Iva giustificherebbe la cifra stanziata nel 2021 e nel 2022 per finanziare il cashback. Tuttavia, bisogna notare che la misura al contrario del premio per i maxi-utilizzatori è legata all’ammontare speso e non al numero di transazioni. Questo potrebbe sfavorire le classi di reddito molto basse che magari non riescono ad arrivare al massimo di spesa utilizzabile per il cashback. Introdurre un premio proporzionale al numero di transazioni e non alla spesa effettuata eliminerebbe lo svantaggio per i meno abbienti e stimolerebbe i pagamenti cashless anche per importi minimi come il caffè al bar. Inoltre forse bisognerebbe differenziare i parametri secondo cui si ottiene il rimborso per aree geografiche: vi sono aree dove il pagamento elettronico è più diffuso di altre: i cittadini delle prime sarebbero più avvantaggiati. Questi parametri potrebbero convergere dopo un ragionevole periodo di tempo in cui la possibilità di pagamento elettronica si sia uniformemente distribuita sul territorio nazionale.