Tratto da lavoce.info
di Marco Cucchini, Docente a contratto di Analisi delle Politiche Pubbliche e in seguito di Diritto Costituzionale Italiano e Comparato presso l’Università di Trieste
Il taglio dei parlamentari potrebbe essere l’occasione per una rilettura del bicameralismo, senza alterare la Costituzione. Con un Senato espressione delle autonomie e una legge elettorale ispirata al Mattarellum si rafforzerebbe la rappresentatività.
Come dovrebbe essere la legge elettorale
La vittoria del “sì” al referendum conferma il drastico taglio della rappresentanza e impone ora nuovi interventi per differenziare il bicameralismo e per introdurre una legge elettorale che favorisca il più possibile il rafforzamento del filo che lega i rappresentanti ai rappresentati, reso oggi ancora più sottile.
Partiamo dalla legge elettorale, la questione più semplice perché la si può affrontare con una legge ordinaria. La soluzione dovrà essere diversa dalle proposte che sono state fin qui ipotizzate. Oggi in Parlamento giacciono infatti progetti di legge strutturati su liste bloccate (condizione già bocciata nel 2014 dalla Corte costituzionale, un aspetto che sembra non turbare i nostri legislatori) e sull’allargamento delle circoscrizioni elettorali: provocherebbero un ulteriore annacquarsi della rappresentanza, che invece è proprio quanto andrebbe evitato, soprattutto se consideriamo che da molto tempo non esistono più solidi partiti strutturati, in grado di offrire uno strumento di partecipazione e inclusione democratica.
Molto più semplice, invece, una diversa soluzione: per la Camera dei deputati andrebbero mantenuti gli attuali 230 collegi uninominali – che garantiscono un collegamento tra eletti e territorio – mentre i restanti 170 (al netto della quota riservata agli italiani all’estero) andrebbero ripartiti a livello circoscrizionale con sistema proporzionale su lista e soglia di sbarramento credibile, previo scorporo totale dei voti ottenuti nella parte maggioritaria. Si tratterebbe di una versione “leggera” del Mattarellum, con una parte maggioritaria del 57,5 per cento dei seggi, sufficiente per favorire processi di aggregazione, ma non così ampia da produrre esiti eccessivamente manipolativi e disproporzionali, non adatti a rappresentare un quadro politico complesso e variegato come quello italiano. Con l’ulteriore vantaggio che i collegi e le circoscrizioni sono già disegnati e questo semplificherebbe le cose.
Verso il Senato delle autonomie
Diverso è il problema del Senato. La legge elettorale non potrà prescindere da un collegamento con una limitata riforma del bicameralismo paritario. Il diritto comparato ci mostra che nei sistemi decentrati la vocazione naturale della seconda camera non è tanto quella di rappresentare l’elettorato nel suo complesso, quanto il sistema delle autonomie territoriali. E la drammatica esperienza della pandemia degli ultimi mesi – caratterizzata da una costante difformità di scelte tra governo centrale e governi regionali – ha dimostrato che esiste il problema di una razionalizzazione e di una migliore condivisione delle responsabilità tra centro e periferia. Per questo può essere utile completare la riforma già approvata con alcune limitate correzioni al bicameralismo, per evitare che i normali conflitti politici sfocino in una paralisi decisionale dell’intero sistema.
La prima questione è naturalmente l’elezione e la composizione del Senato. La soluzione, anche in questo caso, potrebbe passare per il mantenimento dei 115 collegi uninominali già esistenti – il che consentirebbe una rappresentanza equilibrata del territorio. I rimanenti 85 seggi dovrebbero essere ricoperti dai 21 presidenti di regione/provincia autonoma e dai 4 senatori eletti dalla circoscrizione estero, a cui si aggiungono 60 senatori indicati dai consigli regionali in proporzione alla popolazione di ogni singola regione. Le elezioni nei collegi andrebbero tenute in corrispondenza alle elezioni regionali, così da allineare il più possibile la rappresentanza del Senato con l’orientamento politico maggioritario nella singola regione.
La seconda riforma potrebbe prevedere la titolarità in capo al Senato dell’iniziativa legislativa relativa alle materie “concorrenti” tra stato e regioni, di cui al comma 3 dell’articolo 117 della Costituzione, in particolare sulla determinazione dei relativi principi generali, per i quali una camera con funzione di raccordo con il sistema delle autonomie è necessaria. Si manterrebbe la doppia lettura delle leggi, ma dovrebbe essere prevista una modalità di prevalenza della Camera dei deputati per le materie di legislazione non concorrente.
Il Senato dovrebbe essere escluso dal circuito fiduciario ma, al fine di mantenere un equilibrio tra le Camere, potrebbe essere prevista una forma subordinata di sostegno al governo, in modo simile a quanto disposto dall’articolo 81 della Legge fondamentale tedesca, che consente a un esecutivo privo della maggioranza nel Bundestag di legiferare poggiandosi sul Bundesrat (la Camera “territoriale”), esclusivamente per un lasso di tempo strettamente definito e su materie limitate.
Le riforme accennate presentano alcuni vantaggi rispetto ai tentativi riformatori del passato. Innanzitutto, non sarebbero troppo invasive, prevedendo una modifica limitata a un numero ristretto di articoli: le esperienze del riformismo costituzionale dei governi Berlusconi e Renzi con le successive bocciature referendarie dimostrano che la riscrittura di intere parti della Costituzione finisce per essere altamente conflittuale e polarizzante e questo rende difficile un esito positivo del referendum confermativo. Il secondo vantaggio è che queste riforme rimetterebbero al centro l’efficacia della rappresentanza parlamentare, diversamente dalle fallite riscritture del passato che si caratterizzavano per la volontà di rafforzare in chiave “neogollista” il potere esecutivo, incontrando per questo una diffusa contrarietà e resistenza, spesso anche all’interno delle forze politiche che le avevano promosse.
In definitiva, la riduzione dei parlamentari potrebbe essere l’occasione per una rilettura del bicameralismo che, senza l’ambizione di stravolgere la Costituzione, rafforzi le basi della democrazia rappresentativa sulla quale è fondata la nostra Repubblica, completando il disegno dei padri costituenti con un Senato realmente espressione delle autonomie regionali.