Tratto da lavoce.info
- di Luisa Loiacono, dottoranda in Economia e Management dell’Innovazione e della Sostenibilità presso le Università degli Studi di Ferrara e di Parma.
- e Leonzio Rizzo, professore ordinario di Scienza delle Finanze presso all’Università di Ferrara
Un emendamento alla legge di bilancio propone di sostituire Imu e imposta di bollo con una patrimoniale di tipo personale. Le entrate dello stato si ridurrebbero di diversi miliardi, anche senza tener conto di possibili evasioni ed elusioni.
La patrimoniale nell’emendamento
Un emendamento alla legge di bilancio propone l’abolizione dell’Imu e dell’imposta di bollo sui conti correnti e di deposito titoli. A sostituirle sarebbe un’aliquota progressiva sui grandi patrimoni.
Come già sottolineato da altri, una riforma di tale portata non dovrebbe essere il contenuto di un emendamento, ma di un apposito disegno di legge organico. Tuttavia, proviamo a stimare l’impatto della proposta. In particolare, la proposta prevede di applicare un’aliquota dello 0,2 per cento ai patrimoni compresi tra 500 mila e 1 milione di euro, dello 0,5 per cento tra un 1 milione e 5 milioni, dell’1 per cento tra 5 e 50 milioni, del 2 per cento tra 50 milioni e un miliardo. Per il solo 2021 è poi prevista una tassazione del 3 per cento su ricchezze superiori a un miliardo.
La definizione del patrimonio che si ha in mente è data dalla somma di attività reali (come terreni e fabbricati) e attività finanziarie (come azioni e obbligazioni) al netto delle passività finanziarie (debiti, mutui e altro). L’aliquota si applica con una franchigia di 500 mila euro.
La simulazione
Poiché si tratta di sostituire l’Imu e l’imposta di bollo, è importante capire quanto si ricaverebbe con la nuova imposta. In una prima fase della discussione parlamentare l’emendamento era stato respinto perché si riteneva che il gettito della nuova imposta non coprisse quello delle imposte soppresse. In effetti, le entrate che verrebbero a mancare sopprimendo Imu e imposta di bollo non sono di poco conto. Nel periodo dal 2016 al 2018 si trattava di una cifra annua attorno ai 25 miliardi. Il calcolo, però, non è facile. Bisognerebbe infatti disporre della distribuzione della ricchezza reale e finanziaria per quantili.
Per ovviare al problema esiste una tecnica di stima indiretta. Poiché conosciamo la ricchezza aggregata degli italiani, la popolazione adulta e la percentuale di ricchezza associata ai quantili più ricchi possiamo stimare la distribuzione della ricchezza utilizzando il simulatore messo a disposizione da Thomas Piketty (Appendice del capitolo 15 de Il capitale nel XXI secolo). Si usa la legge empirica per cui la frazione di persone con ricchezza superiore a un certo limite è data dalla applicazione della legge di Pareto, che tiene conto delle caratteristiche demografiche e di crescita economica del paese considerato.
Ci avvaliamo di diverse fonti. In particolare, dal rapporto di Oxfam, elaborato su dati di Credit Suisse, otteniamo la percentuale di ricchezza associata al 10 per cento e all’1 per cento più ricco della popolazione. Quella associata allo 0,1 e 0,01 per cento più ricco è invece tratta da “The concentration of personal wealth in Italy 1995-2016” di Paolo Acciari, Facundo Alvaredo e Salvatore Morelli. Infine il patrimonio dei 10 più ricchi miliardari (0,00002 per cento della popolazione) è fornito dai dati pubblicati da Forbes, che sono utilizzati da Credit Suisse. Nell’articolo di Acciari, Alvaredo e Morelli si mostra che le stime sono, per gli anni dal 2012 al 2016, in linea con quelle di Credit Suisse per l’1 per cento più ricco della popolazione e con quelle di Forbes per la stima dei miliardari. Il dato sulla ricchezza totale proviene dal World Inequality Database.
Secondo le nostre stime (riportate in tabella 1) nella classe tra 500 mila e un 1 milione ricade il 3,4 per cento della popolazione, che detiene il 13,8 per cento della ricchezza nazionale, nel seconda classe – compresa tra 1 e 5 milioni – c’è l’1,6 per cento, che possiede il 16,8 per cento della ricchezza, nella terza classe – compresa tra 5 e 50 milioni – c’è lo 0,1 per cento che possiede il 6,3 per cento della ricchezza, nella classe tra 50 milioni e un miliardo, lo 0,01 per cento detiene il 4, 7% per cento della ricchezza, mentre quelli sopra il miliardo hanno l’1,7 per cento della ricchezza nazionale. Complessivamente, il 5,1101 per cento più ricco della popolazione detiene il 43 per cento della ricchezza nazionale, per un totale di 3.742 miliardi.
Applicando le aliquote proposte nell’emendamento, si ottiene il gettito derivante da ogni classe. In particolare, nello scenario 1 riportato in tabella 2, in cui viene applicata l’aliquota del 3 per cento ai patrimoni superiori al miliardo, la classe più bassa genera un gettito di 683 milioni, la seconda di 5,3 miliardi, la terza 5,1 miliardi, la quarta 8,1 miliardi e la quinta 4,3 miliardi. Sommando, si ottengono 23,5 miliardi: un gettito non molto lontano da quello generato dalle imposte soppresse (25,8 miliardi nell’anno di riferimento, il 2016). Mancherebbero 2,3 miliardi. Più di 17 miliardi arriverebbero da coloro i quali hanno più di 5 milioni di patrimonio.
Nel caso in cui non ci fosse il contributo straordinario dei miliardari (scenario 2) per il solo 2021, mancherebbero altri 1,4 miliardi che, sommati ai precedenti 2,3 miliardi, porterebbero il totale a 3,7 miliardi. Più di 16 miliardi arriverebbero da coloro i quali hanno più di 5 milioni di patrimonio.
In conclusione, la proposta di introdurre una patrimoniale al posto di Imu e imposta di bollo apporterebbe un gettito, a regime, inferiore del 14 per cento a quello soppresso negli anni successivi al 2021 e pari al 9 per cento nel 2021, quando è previsto un contributo straordinario da parte dei miliardari. I proponenti dell’emendamento dovranno chiarire come intendono recuperare le risorse mancanti. Bisogna anche tener conto che la simulazione non ipotizza alcuna reazione in termini di elusione o evasione dell’imposta, che invece potrebbero diminuire considerevolmente il gettito previsto.
I problemi
Quella proposta è un’imposta personale e ciò comporta due conseguenze. La prima è un incentivo a frazionare il patrimonio tra i familiari per stare sotto la soglia, che potrebbe ridurre il gettito.
In secondo luogo, l’imposta non si applica alle società di capitali. È dunque possibile che i ricchi, soprattutto i molto ricchi, trovino vie legali per attribuire a entità separate la titolarità dei loro patrimoni: ad esempio, trust, società fiduciarie o altro. Questi soggetti pagherebbero la patrimoniale? Il patrimonio da essi gestito può essere ricondotto in capo a una persona fisica? Sarebbe necessaria la creazione di un’anagrafe patrimoniale, che può essere realizzata solo se, come propone Piketty, le informazioni sui conti bancari vengono automaticamente condivise tra le autorità di tassazione di tutti i paesi del mondo: è chiaramente un obiettivo difficilmente raggiungibile, visti i vincoli di privacy attuali.
Una eventuale proposta di legge – e non un semplice emendamento – deve affrontare tutte queste criticità, che non sono di poco conto. Si rischia infatti di eliminare due imposte dal gettito certo, come l’Imu e l’imposta di bollo, per una dal gettito profondamente incerto perché senza adeguate informazioni tributarie le entrate potrebbero essere sensibilmente inferiori a quelle della nostra stima. Tra l’altro, se la proposta fosse approvata, verrebbe cancellata l’Imu, ovvero la principale fonte di gettito di cui dispongono oggi i comuni, che dovrebbero quindi essere compensati con trasferimenti, perdendo la loro autonomia impositiva.