di Francesco Daveri, professore all’Università Bocconi
A causa della recessione da Covid, il debito pubblico dell’Italia salirà di venti punti percentuali. Ma a influire sulla sostenibilità dei nostri conti pubblici saranno soprattutto l’orientamento dell’Europa e il buon uso dei fondi ricevuti.
I conti pubblici prima della Nadef
Il governo è al lavoro per produrre le nuove stime di finanza pubblica rilevanti – tra le altre cose – per dare una prima valutazione sul se e sul che cosa è cambiato nella sostenibilità del debito pubblico dell’Italia dopo che l’economia italiana è stata colpita dalla prima ondata della pandemia sperimentata nella prima parte dell’anno.
Con la pubblicazione della Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza è possibile aggiornare le stime ufficiali che il governo aveva formulato nell’aprile 2020. Il quadro di aprile conteneva già – sia pure solo in termini di previsioni – il brusco cambiamento di scenario successivo al crollo del Pil del febbraio e marzo di quest’anno.
Fonte: Documento di economia e finanza.
Come riportato nella tabella, già nell’aprile 2020 il governo si attendeva un calo del Pil tendenziale (cioè prima degli interventi correttivi operati dal governo in corso d’anno per il 2020 e il 2021) nell’ordine dell’8 per cento per il 2020 con un rimbalzo del 4,7 per cento atteso per il 2021. In altre parole, fatto 100 il livello del Pil del 2019, il governo si attendeva di ritrovarsi con un Pil 2021 pari a 96,3, corrispondente a un mancato recupero di 3,7 punti percentuali rispetto ai valori del 2019.
Per attenuare queste tendenze gravemente recessive sul 2020 e in attesa del rimbalzo del 2021, nel corso del 2020 il governo ha messo in campo varie misure compensative classificate nel Def di aprile come “misure urgenti di rilancio economico” (ulteriormente rafforzate durante l’estate). Semplificando, si è trattato del differimento di adempimenti fiscali, di misure di sostegno generico al reddito di disoccupati, autonomi e altre categorie, di “congelamento” dei posti di lavoro esistenti e di supporto ai settori più colpiti (soprattutto la filiera del turismo).
A seguito dell’adozione delle misure elencate sopra, nel Def di aprile l’indebitamento netto era atteso in crescita sopra al 10 per cento del Pil per il 2020 (esattamente al 10,4 per cento del Pil) per poi calare al 5,7 per cento del Pil nel 2021. In parallelo, il rapporto debito-Pil era dato in crescita sopra i 155 punti di Pil nel 2020 per poi calare di poco sotto al 153 per cento a fine 2021.
I conti pubblici e la sostenibilità del debito italiano dopo la Nadef 2020
Poi hanno cominciato ad arrivare i dati veri dei primi trimestri del 2020 che hanno indotto il governo a modificare un po’ (in peggio) le sue previsioni. Nella Nadef 2020 (in via di approvazione nel weekend) si troverà probabilmente un calo del Pil al 9 per cento rispetto al 2019 e un debito pubblico 2020 al 158 per cento del Pil, poi in calo già nel 2021 e nel triennio successivo. Insomma: un calo del Pil peggiore del previsto, più deficit e più debito pubblico. Ma numeri non drammaticamente diversi e peggiori rispetto a quelli già presentati nel mese di aprile.
Nell’insieme (e in attesa di vedere i numeri ufficiali della Nadef 2020), è possibile fare qualche prima valutazione relativa alla sostenibilità del debito pubblico dell’Italia. Dopo tutto, è questa la domanda che gli investitori si faranno domani: passata la tempesta, il debito pubblico dell’Italia sarà più o meno sostenibile rispetto a prima del Covid? La risposta dipende dall’evoluzione presumibile del debito pubblico in rapporto al Pil dell’Italia. Partendo dal denominatore del rapporto, rimane che il crollo sotto zero della crescita del Pil (-9 per cento nel 2020) e il sostanziale azzeramento dell’inflazione tendono a fare aumentare il rapporto debito-Pil a parità di deficit. Ma se 1) il crollo del Pil sarà temporaneo e se 2) il deficit pubblico sarà riassorbito e riportato vicino al 3 per cento come il governo annuncia di voler fare, la spinta verso l’alto del numeratore del rapporto debito-Pil sarà temporanea. In questo caso, la grande recessione del 2020 potrebbe tradursi solo in un accresciuto livello del rapporto debito-Pil (160 per cento, invece di 140 per cento) senza indurre ulteriori effetti di avvitamento nel corso del tempo senza che gli eventi degli ultimi mesi mutino in negativo la capacità di rimborso del suo debito da parte dell’Italia. Intanto, nonostante i chiari di luna che oggi appaiono non del tutto rassicuranti, lo spread tra Btp e Bund è in calo rispetto alla prima metà dell’anno e rimane inferiore a 140 punti base.
Qualcosa potrebbe andare storto. Ad esempio, se l’Europa politica (governi, Commissione e Bce) chiudesse troppo presto l’ombrello protettivo a fronte delle accresciute necessità di finanziamento dell’Italia. E anche se l’Italia spendesse male i fondi ricevuti attraverso il Recovery Fund. Per ridurre il rischio che ciò accada, è importante che da subito il governo italiano delinei chiaramente una strategia di gestione del suo debito pubblico. Non per il 2021 e 2022, ma per i prossimi venti anni. Prendere impegni vincolanti con gli investitori in presenza di apparentemente fragili governi di coalizione: è questa la difficile sfida che i governi italiani di oggi e di domani sono chiamati a vincere nell’interesse di tutti.