Tratto da lavoce.info
di Angelo Baglioni, professore ordinario di Economia Politica presso l’Università Cattolica di Milano
e Massimo Bordignon, ordinario di Scienza delle Finanze presso l’università Cattolica di Milano
Un anno fa il governo bloccava la discussa revisione del Meccanismo europeo di stabilità. Ora l’accordo raggiunto a Bruxelles riporta al centro del dibattito politico una riforma da cui l’Italia, oggi più che mai, avrebbe solo da guadagnare.
Esattamente un anno fa, sotto la pressione di una campagna di disinformazione lanciata dai partiti di opposizione e con la complicità di parte della maggioranza di governo (il Movimento 5 Stelle), il governo italiano bloccava una riforma lungamente discussa del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità. Una riforma con aspetti negatiti e positivi, ma sostanzialmente migliorativa dell’esistente. L’ostilità alla riforma nasceva da pregiudizi, sui quali cercavamo di fare chiarezza in un articolo uscito il 22 novembre dello scorso anno. A distanza di un anno, ci risiamo: l’accordo raggiunto all’Eurogruppo il 30 novembre 2020 ha scatenato la reazione di parte del mondo politico, che potrebbe mettere in difficoltà il governo italiano nel passaggio parlamentare che precederà il Consiglio europeo chiamato ad approvare la riforma. L’Italia rischia così di isolarsi in Europa, in una fase in cui le sono state assegnate ingenti risorse finanziarie per fare fronte alla crisi sanitaria ed economica in corso. Sarebbe un risultato paradossale.
Ma cosa è cambiato in quest’anno? Per quanto riguarda la riforma, nulla, se non per un aspetto. La possibilità che il Mes eroghi prestiti al Fondo di risoluzione europeo, esercitando così una funzione di backstop nella gestione delle crisi bancarie, è stata anticipata di due anni: dalla fine del 2023 all’inizio del 2022. Un miglioramento netto, sotto questo profilo, soprattutto nell’ambito della crisi corrente che potrebbe riflettersi anche sulla solidità dei bilanci bancari. Peraltro, nel frattempo sono state introdotte altre forme di condivisione del rischio tra i paesi europei attraverso il bilancio europeo, come il Recovery Fund e il Sure. Tra gli strumenti a disposizione del Mes, è stata anche introdotta la nuova linea di credito per spese sanitarie, altro argomento caldo del dibattito politico italiano. Ma questa nuova linea di credito non ha nulla a che vedere con la riforma di cui si discute qui: approvare la riforma non vuol dire richiedere l’assistenza del Mes, e viceversa.
Infine, la Bce ha avviato un nuovo round di Quantitative Easing, grazie al quale i rendimenti dei titoli di stato di tutti i paesi della zona euro, compreso il nostro, si sono portati su livelli straordinariamente bassi, addirittura sotto zero su alcune scadenze. Questo rende surreale il dibattito sul ricorso al Mes per finanziare la sanità: sia i vantaggi finanziari sia i presunti vincoli legati alla condizionalità sono ampiamente esagerati rispetto alla realtà. Infine, livelli così bassi dei tassi di interesse sul debito pubblico italiano (60 centesimi sul Btp decennale) indicano che al momento la sostenibilità del nostro debito pubblico non è considerata un problema dai mercati finanziari, proprio grazie alla rete di sicurezza stesa dalle istituzioni europee. L’introduzione delle Cac (clausole di azione collettiva) single-limb, una delle poche novità potenzialmente preoccupanti della riforma proposta, può quindi avvenire nella totale indifferenza dei mercati, senza provocare le turbolenze che qualcuno temeva.
Pur in un quadro in parte cambiato, le ragioni per cui ci sembra che la riforma del Mes vada approvata rimangono le stesse di un anno fa, esposte nell’articolo che vi riproponiamo.