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Home Economia

Economia. Perché il reddito delle famiglie italiane è meno protetto

Redazione di Redazione
27 Novembre 2020
in Economia
Tempo di lettura : 4 minuti necessari
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Tratrto da lavoce.info

di Andrea Garnero, economista presso il Dipartimento Lavoro e Affari Sociali dell’OCSE

e Andrea Salvatori, economista del lavoro presso il Dipartimento Lavoro e Affari Sociali dell’OCSE

Durante la pandemia i redditi delle famiglie italiane sono scesi più di quanto sia accaduto altrove. Eppure, le risorse mobilitate sono ingenti. Le cause vanno ricercate nel funzionamento del sistema di protezione. E nell’incidenza dell’economia sommersa.

Sostegni nel mondo

Tutti i paesi Ocse sono intervenuti massicciamente per sostenere le famiglie durante la crisi Covid-19, ma non tutti hanno ottenuto gli stessi risultati.

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Negli Stati Uniti, per esempio, il reddito disponibile delle famiglie (cioè dopo aver dedotto le tasse e aggiunto i trasferimenti pubblici ricevuti) è aumentato del 10,1 per cento nonostante un calo del Pil del 9,1 per cento. Ciò è successo perché il Cares Act ha, tra le altre cose, temporaneamente aumentato di 600 dollari a settimana i sussidi di disoccupazione e distribuito 1.200 dollari a ogni cittadino americano. In altri paesi, il reddito medio delle famiglie è calato, ma in maniera molto più contenuta rispetto al Pil. In Germania, Francia e Inghilterra le famiglie hanno perso rispettivamente 1,1, 2,3 e 3,4 per cento, mentre il Pil crollava del 9,8, 13,8 e 19,9 per cento.

In Italia, invece, con un calo del Pil (-12,8 per cento) comparabile a quello degli altri paesi, il reddito disponibile è sceso del 7,2 per cento.

Cosa succede in Italia

Come si spiega la più alta riduzione del reddito delle famiglie italiane rispetto agli altri paesi? Se non si possono ancora avere certezze, qualche riflessione può comunque essere utile in questa fase di definizione della legge di bilancio per il 2021.

Innanzitutto, non sembra esserci un problema di quantità di risorse: nel complesso, l’Italia ha speso quanto e più di altri paesi Ocse. Flourish logoA Flourish chart
Una quota significativa delle risorse è andata alla cassa integrazione guadagni (Cig) che nei mesi di marzo e aprile, secondo Banca d’Italia e Inps, ha coperto un’impresa su due, per un totale del 40 per cento dei lavoratori dipendenti.

Nel confronto internazionale, l’Italia è, dunque, uno dei paesi ad aver fatto maggior ricorso a questo istituto, ma accordando un livello di protezione del reddito inferiore a quello di molti altri paesi. La figura 3 mostra come, al livello del salario medio, un lavoratore in Cig a zero ore riceva una percentuale del proprio salario lordo decisamente più bassa in Italia che in Germania e Francia – due paesi con una lunga tradizione di cassa integrazione – ma anche rispetto al Regno Unito, che ha introdotto l’istituto solo con l’arrivo della crisi Covid. Secondo i calcoli di Banca d’Italia e Inps, se si considerano tutti i lavoratori che sono stati in Cig a marzo e aprile (includendo anche quelli con riduzioni parziali dell’orario di lavoro), la perdita media è ammontata a circa il 27 per cento del reddito lordo individuale, superando il 30 per cento tra i lavoratori nel quinto più alto della distribuzione dei redditi.

Nel complesso, dunque, è plausibile che la Cig, nonostante i fondi stanziati per coprire un numero di imprese e lavoratori più elevato che in altri paesi, abbia comunque lasciato spazio a una significativa riduzione del reddito delle famiglie.

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Al contrario, e in controtendenza rispetto alla narrativa preponderante, le misure adottate per gli autonomi sembrano aver attutito relativamente bene il colpo iniziale della crisi Covid-19, almeno rispetto ai redditi dichiarati. Secondo le stime del ministero dell’Economia e delle Finanze, grazie alla serie di trasferimenti monetari che non variano con il livello del reddito (i 600-1.000 euro per gli autonomi), le famiglie con redditi autonomi hanno subito perdite in generale decisamente inferiori a quelle dei dipendenti nei mesi di marzo, aprile e maggio.

Quanto conta l’economia sommersa

Un altro fattore che può aver contribuito alla maggiore caduta del reddito in Italia rispetto ad altri paesi Ocse è l’estensione del lavoro nero e dei redditi non dichiarati: non è facile compensare un calo di redditi non noto allo stato (nelle statistiche sui redditi disponibili, gli uffici nazionali di statistica includono anche l’economia sommersa e quindi i redditi non dichiarati). Un trasferimento universale, come i 1.200 dollari americani, sarebbe lo strumento più diretto, ma l’accettazione sociale non è scontata (perché andrebbe anche ai ricchi e, appunto, anche a chi evade).

Anche le regole di accesso ai sussidi di disoccupazione e il loro livello possono aver contributo al maggior calo del reddito in Italia. La figura 3 mostra come il livello dei sussidi di disoccupazione (Naspi) tenda a essere inferiore in Italia rispetto a molti altri paesi Ocse. In più, i sussidi faticano a raggiungere i lavoratori con carriere brevi e intermittenti che difficilmente maturano i requisiti necessari. Il blocco delle assunzioni e il non rinnovo dei contratti a tempo determinato osservato da marzo in poi hanno verosimilmente lasciato senza stipendio e senza sostegno al reddito (Cig o Naspi) molti lavoratori (spesso giovani) che avevano o avrebbero avuto un impiego temporaneo. Il reddito di cittadinanza e il reddito di emergenza possono aver contribuito ad attutire il colpo nelle situazioni di maggior disagio, ma non a sufficienza per compensare perdite di reddito da lavoro, soprattutto tra i più giovani.

In conclusione, gli elementi per ora a disposizione suggeriscono che la minore efficacia delle misure italiane nel proteggere i redditi delle famiglie non sia imputabile a un problema di quantità di fondi mobilitati, ma al funzionamento di alcuni pilastri del sistema di protezione del reddito e a una rilevante incidenza dell’economia sommersa, che rende particolarmente complicato il lavoro del legislatore.

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