Tratto da lavoce.info
di Cristiano Gori, professore ordinario di politica sociale nel Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento
Il reddito di emergenza doveva essere la misura per sostenere le famiglie in gravi difficoltà economiche. Ma la complessità delle procedure ha scoraggiato le richieste. Così tra i nuclei che ne avevano diritto, solo il 41 per cento lo ha ottenuto.
L’obiettivo: un sostegno per chi sta peggio
Se si vuole comprendere la capacità dello stato italiano di tutelare i più deboli in tempo di pandemia, bisogna partire dal reddito di emergenza. È la scialuppa di salvataggio per chi sta peggio: un contributo monetario rivolto alle famiglie in grave difficoltà economica in seguito alla diffusione del Covid-19 e prive del reddito di cittadinanza o di altri sostegni pubblici.
La misura era prevista inizialmente – nel decreto Rilancio di maggio – per due mensilità. Ma le domande sono state successivamente riaperte più volte – fino al 30 novembre – ed è stato possibile riceverne sino a cinque. L’importo è pari a 400 euro mensili per una persona, incrementato di 160 euro per ogni adulto e di 80 euro per ogni minorenne, fino a un massimo di 800 euro.
I requisiti per ottenere il Rem sono: a) residenza in Italia; b) reddito inferiore al valore del Rem stesso, c) Isee inferiore a 15 mila euro; d) patrimonio mobiliare sotto i 10 mila euro (più 5 mila per ogni membro oltre il primo, fino a un massimo di 20 mila); e) non percezione di altre prestazioni monetarie pubbliche.
I risultati: un aiuto per pochi
Per valutare l’esito di una simile prestazione bisogna chiedersi, innanzitutto, quante famiglie, tra quelle che ne avevano diritto, l’hanno effettivamente ricevuta. Le informazioni disponibili permettono di rispondere con precisione per il primo Rem, cioè quello previsto nel decreto Rilancio. Il governo ha stimato 868 mila famiglie aventi diritto, pari a circa 2 milioni di persone, cifra sostanzialmente confermata dall’Ufficio parlamentare di bilancio. Dagli 868 mila nuclei bisogna sottrarre i 163 mila che hanno cominciato a ricevere il reddito di cittadinanza tra il mese considerato per elaborare le stime governative (gennaio) e la chiusura delle domande del primo Rem (luglio) e che, dunque, non erano eleggibili per quest’ultimo.
Le famiglie realmente aventi diritto sono perciò 705 mila. Ma a riceve il primo Rem sono state 291 mila famiglie.
Il tasso di take-up, cioè il rapporto percentuale tra percettori e aventi diritto, è pari al 41 per cento. In altre parole, circa 6 famiglie su 10 che avevano diritto al Rem non ne hanno fruito. Peraltro, i dati oggi disponibili per i periodi successivi non indicano numeri più alti.
Se consideriamo le famiglie rimaste senza sostegni, il 41 per cento è un valore basso. Lo è anche se lo si confronta con le percentuali delle misure ordinarie contro la povertà degli altri paesi. Quanto a quelle straordinarie, analoghe al Rem, all’estero sono state disegnate con il preciso scopo di essere più semplici da ricevere rispetto alle prestazioni abituali: pertanto, pur mancando ancora dati comparativi solidi, ci si attendono tassi di take-up superiori.
Scarsa informazione
All’estero, si è compiuto uno sforzo particolare per facilitare la presentazione della domanda, agendo sulle due leve disponibili: informazione e semplificazione delle procedure. Da noi, invece, non è andata così. Puntare con decisione su comunicazione e semplicità era anche il suggerimento della proposta originaria del Rem – elaborata da Forum disuguaglianze diversità, Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis) e chi scrive.
Invece in Italia, non è stata effettuata una campagna informativa per far conoscere alla popolazione interessata il Rem e come richiederlo. La campagna di comunicazione avrebbe dovuto essere massiccia e costruita con particolare attenzione al profilo della popolazione target. E quella realizzata in extremis, negli ultimi dieci giorni dei settanta utili per richiedere il primo Rem, e non riproposta in seguito, non può essere considerata tale.
La mancanza di uno sforzo informativo si è saldata con la confusione creata dalla molteplicità di prestazioni anti-crisi erogate, dai confini non sempre chiari, che ha reso ulteriormente difficile comprendere a chi fosse rivolto il Rem.
Anche la contemporanea esistenza di due misure contro la povertà, il reddito di cittadinanza e il Rem non ha aiutato le persone a orientarsi. Nella nostra proposta, invece, il Rem era denominato “reddito di cittadinanza per l’emergenza” perché – nella sua fase di vigenza – avrebbe dovuto sostituire il Rdc per i nuovi richiedenti. Così, chi già riceveva il Rdc avrebbe continuato a farlo, mentre le nuove domande di sostegno contro la povertà avrebbero potuto indirizzarsi esclusivamente al Rem, che era pensato come una prestazione per ampliare – in via eccezionale e temporanea – l’utenza del Rdc, con modalità di richiesta particolarmente semplici.
La complessità delle procedure
Nella domanda, le informazioni auto-dichiarate sul reddito e patrimonio (poi verificate dall’Inps) dovevano essere accompagnate da un Isee valido. Predisporlo, però, non è un’operazione semplice, in particolare se si hanno con bassi tassi d’istruzione. Bisogna, infatti, raccogliere un’ampia gamma d’informazioni e certificazioni sulle proprie condizioni economiche e trasferirle in un’apposita modulistica. Le peculiarità del periodo di pandemia avrebbero sconsigliato l’utilizzo dell’indicatore.
Peraltro, si è chiesto l’Isee ma – nei fatti – non si è previsto d’impiegarlo per selezionare l’utenza. Infatti, il valore stabilito come soglia di accesso (15 mila euro) è estremamente elevato per una misura di questo genere; basti ricordare che il 72 per cento di tutti gli Isee compilati in Italia, in prevalenza non per misure rivolte ai poveri, è più basso.
Non a caso, solo il 2,6 per cento delle domande presentate è stato respinto per un valore Isee superiore. Ma se le informazioni raccolte attraverso l’Isee non erano utilizzabili per determinare l’accesso al Rem, non è chiaro a cosa servissero.
La complessità delle procedure, dunque, ha scoraggiato molte famiglie dal presentare la domanda di Rem. Altre domande, invece, non sono state considerate perché prive di un Isee valido, come segnalato da Inps.
Altre prestazioni di sostegno al reddito introdotte a seguito del Covid-19 (ad esempio, destinate ai lavoratori autonomi e a quelli domestici) erano più semplici da richiedere. In altre parole, solo nella misura rivolta a chi si trova in maggiori difficoltà sono state previste simili barriere all’accesso.
Ora voltare pagina
La stagione delle misure straordinarie contro la povertà dovrebbe essere archiviata con il 2020. Gravi debolezze caratterizzano non solo il Rem, ma anche l’altro sostegno emergenziale finanziato dallo stato, i buoni alimentari gestiti dai comuni, previsti in aprile (quando il primo ancora non esisteva) e recentemente riproposti. Ogni comune ha infatti criteri di accesso differenti, sovente con forte discrezionalità, impedendo così l’uguaglianza tra le diverse aree del paese.
Con il 2021 non scompariranno però i destinatari di queste prestazioni, cioè le nuove fasce di povertà emerse con la pandemia. È necessario, dunque, modificare lo strumento ordinario di sostegno – il reddito di cittadinanza – affinché riesca a coprire anche la nuova povertà. Una ragione di più per un’urgente riforma del reddito di cittadinanza, che si aggiunge alla necessità di agire sulle sue criticità, ormai piuttosto chiare.