tratto da lavoce.info
di Francesco Daveri, professor of Macroeconomic Practice alla School of Management dell’Università Bocconi, dove insegna Macroeconomics, Global Scenarios ed è direttore del Full-Time MBA
Il 2019 è finito male per l’economia, con Pil, industria e occupati in contrazione. La “verifica di governo”, se vuole servire a qualcosa oltre che alla sopravvivenza dell’esecutivo, deve mettere al centro come fare impresa e industria in Italia.
Senza industria niente crescita
Il 2019 si è chiuso con una doccia fredda di dati congiunturali. Il Pil del quarto trimestre è sceso dello 0,3 per cento rispetto al trimestre precedente, con il dato per tutto il 2019 rispetto a tutto il 2018 che si attesta a un deludente +0,2 per cento. In questo rallentamento c’è qualcosa di importato: anche l’Eurozona fa segnare un +0,1 per cento, con la Francia inaspettatamente in contrazione e la Germania probabilmente vicina a zero (il dato tedesco sarà diffuso solo a metà febbraio), mentre a macinare punti di Pil rimane solo la Spagna (+0,5 per cento sul trimestre, +1,8 rispetto allo stesso mese del 2018).
Il calo del quarto trimestre arriva dopo qualche trimestre di crescita allo “zero virgola” dell’economia italiana che non riesce proprio a schiodarsi dallo zero. In più, anche i dati di dicembre del mercato del lavoro sono stati negativi, dopo alcuni mesi positivi. E la produzione industriale (per la quale l’importante dato di dicembre sarà diffuso solo il 10 febbraio) ha mostrato un’altalena di segni più e meno per tutto il 2019, dopo un 2018 in negativo. È dalla metà del 2018 che la produzione industriale mostra quasi sempre segni negativi rispetto ai dodici mesi precedenti.
Basta vedere qualche grafico relativo agli ultimi dieci anni per notare la stretta correlazione tra crescita del Pil e crescita della produzione industriale. Una correlazione presente in tutti i principali paesi europei (i quattro grandi dell’Eurozona e il Regno Unito) e negli Stati Uniti.
Il 2019 si è chiuso con una doccia fredda di dati congiunturali. Il Pil del quarto trimestre è sceso dello 0,3 per cento rispetto al trimestre precedente, con il dato per tutto il 2019 rispetto a tutto il 2018 che si attesta a un deludente +0,2 per cento. In questo rallentamento c’è qualcosa di importato: anche l’Eurozona fa segnare un +0,1 per cento, con la Francia inaspettatamente in contrazione e la Germania probabilmente vicina a zero (il dato tedesco sarà diffuso solo a metà febbraio), mentre a macinare punti di Pil rimane solo la Spagna (+0,5 per cento sul trimestre, +1,8 rispetto allo stesso mese del 2018).
Il calo del quarto trimestre arriva dopo qualche trimestre di crescita allo “zero virgola” dell’economia italiana che non riesce proprio a schiodarsi dallo zero. In più, anche i dati di dicembre del mercato del lavoro sono stati negativi, dopo alcuni mesi positivi. E la produzione industriale (per la quale l’importante dato di dicembre sarà diffuso solo il 10 febbraio) ha mostrato un’altalena di segni più e meno per tutto il 2019, dopo un 2018 in negativo. È dalla metà del 2018 che la produzione industriale mostra quasi sempre segni negativi rispetto ai dodici mesi precedenti.
Basta vedere qualche grafico relativo agli ultimi dieci anni per notare la stretta correlazione tra crescita del Pil e crescita della produzione industriale. Una correlazione presente in tutti i principali paesi europei (i quattro grandi dell’Eurozona e il Regno Unito) e negli Stati Uniti.
C’è poco da dire di fronte a un’evidenza che parla da sola. Malgrado viviamo in un mondo digitale, in cui il grosso del Pil e dei posti di lavoro nasce nei servizi, senza industria non si cresce. Industria e Pil vanno ancora mano nella mano, con una parziale eccezione per il Regno Unito, dove finanza e immobiliare hanno un peso inusuale.
Senza crescita niente lavoro
Parlando di crescita c’è un’altra serie di dati che può tornare utile nel ragionare sul da farsi. I grafici degli ultimi dieci anni su Pil e disoccupazione indicano che la correlazione tra andamento del Pil e andamento della disoccupazione rimane molto stretta. Senza crescita, la disoccupazione non cala in modo sistematico. Nemmeno il più brillante e umano dei decreti legge può creare lavoro se manca il Pil. Come si vede nei grafici, la relazione vale in tutti i grandi paesi avanzati, non solo in Italia. Ma vale anche in Italia.
I brutti dati di fine 2019 su Pil, industria e lavoro hanno però almeno una buona caratteristica: fissano bene i potenziali argomenti di una eventuale verifica di governo che non sia orientata solo alla sopravvivenza dell’esecutivo (la qual cosa di per sé non mette soldi né posti di lavoro in tasca agli italiani), ma si chieda come far tornare l’economia a qualche durevole segno più.
Ragionare sulla crescita implica avere una buona risposta alla domanda: come si fa a indurre le imprese – italiane e non – a fare impresa e industria in Italia? La risposta è forse complicata, ma non può consistere solo nel riunire a Palazzo Chigi i sindacati per trovare una soluzione assistenziale ai casi Whirlpool, Alitalia ed ex-Ilva.