Tratto da lavoce.info
di Enrico Rettore, professore ordinario di Econometria presso il Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Padova
Conoscere il numero di persone entrate in terapia intensiva nelle 24 ore è fondamentale per capire l’evoluzione dei contagi. Ma il dato non è pubblico. Diventa così difficile stabilire se le misure di contenimento già adottate siano state o meno efficaci.
Le informazioni che non abbiamo
Nei giorni scorsi il presidente dell’Accademia dei Lincei, Giorgio Parisi, ha pubblicato un’analisi molto accurata dell’evoluzione recente della pandemia in Italia. Le cose che scrive sono condivisibili, in particolare laddove analizza la povertà delle informazioni messe a disposizione dei ricercatori e, più in generale, dell’opinione pubblica.
Sappiamo molto meno di quanto potremmo sapere, solo perché informazioni fondamentali per la comprensione del fenomeno non sono rese pubbliche. In alcuni casi per ragioni difficili da capire e con conseguenze serie sulle decisioni da prendere.
L’esempio lampante è dato dall’andamento del numero di persone ricoverate in terapia intensiva. Nella figura 1 riporto l’andamento della variazione giornaliera da inizio settembre a oggi.
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La variazione giornaliera è il saldo tra ingressi e uscite (con esito positivo o negativo) dalla terapia intensiva nelle 24 ore. Le uscite, a loro volta, dipendono dal numero di ingressi un certo numero di giorni prima.
Il numero di persone entrate in terapia intensiva nelle 24 ore sarebbe di fondamentale importanza per capire l’evoluzione dei contagi: si calcola che il tempo che intercorre tra il momento del contagio e quello del ricovero in terapia intensiva sia attorno ai dieci giorni, per cui gli ingressi in un certo giorno sono proporzionali ai contagi di circa dieci giorni prima.
Con questo numero a disposizione, sarebbe immediato stabilire (ovviamente con alcune cautele) se i provvedimenti adottati dal governo all’incirca dieci giorni fa hanno avuto un effetto sui contagi: se è così, infatti, si dovrebbe osservare una diminuzione del numero di ingressi in terapia intensiva (o quantomeno un rallentamento della loro crescita).
Due spiegazioni per un dato
Per ragioni difficili da comprendere, il numero di persone entrate in terapia intensiva ogni giorno non è disponibile. Come osserva Parisi nel suo articolo, la conseguenza grave è che l’interpretazione della figura 1 diventa complicata. Negli ultimi giorni si osserva un rallentamento abbastanza evidente nella crescita della variazione giornaliera (è ancora più evidente nella figura 3 dell’articolo di Parisi, ottenuta applicando una curva interpolante alla serie delle variazioni).
L’ipotesi formulata da Parisi è che stia cambiando la gestione delle terapie intensive e che già ora vi si facciano entrare più difficilmente i pazienti rispetto a due settimane fa. Ci sarebbe cioè un rallentamento degli ingressi dovuto a saturazione o alla previsione di una prossima saturazione.
C’è però un’altra spiegazione plausibile per l’andamento osservato nella figura, e cioè che si tratti effettivamente dei primi effetti dei provvedimenti adottati il 13 ottobre. I tempi sono quelli giusti: circa dieci giorni, uno sfasamento temporale analogo a quello osservato per le misure prese a febbraio e marzo.
Il problema è che le due spiegazioni hanno implicazioni completamente diverse. Se fosse la seconda, vorrebbe dire che siamo già da giorni sulla buona strada, si tratterebbe di insistere. Se fosse la prima, vorrebbe dire che i provvedimenti già adottati non hanno avuto effetti e quindi servirebbe cambiare strada.
Con le informazioni che abbiamo a disposizione non è possibile discriminare tra le due spiegazioni. Ma immaginiamo che per le autorità pubbliche – dal ministro della Salute fino ai presidenti delle regioni – sia facile rispondere rapidamente a due domande:
1) cosa dicono i dati relativi agli ingressi giornalieri in terapia intensiva? Si osserva un rallentamento della crescita analogo a quello della figura 1?
2) negli ultimi giorni gli ospedali hanno cambiato i criteri di ammissione e dimissione dalle terapie intensive, per prepararsi al peggioramento della situazione?
Se poi queste informazioni fossero condivise, c’è una comunità di ricercatori qualificati pronti ad analizzarle e a dare un contributo a costo zero per la loro interpretazione.
Il lockdown è l’arma finale, quando non rimane altro a disposizione, perché produce danni collaterali drammatici. Sarebbe imperdonabile se una misura del genere venisse adottata solo perché le informazioni sull’andamento della pandemia non sono sufficienti per capire se la situazione sta migliorando o peggiorando.