Tratto da lavoce.info
di Paolo Balduzzi, professore alla Cattolica di Milano
Nessuna sorpresa dal referendum: una buona affluenza per un “sì” convinto degli elettori alla riforma votata dal Parlamento. Il voto regionale non ha dato la “spallata” al governo. Semmai ripercussioni potrebbero esserci nella leadership del centrodestra.
Il giorno dopo
Mentre ancora si sta completando lo spoglio delle schede per le elezioni comunali, sono ormai definitivi i dati sulle elezioni regionali e sul referendum costituzionale. Nessuna sorpresa dal referendum: una buona affluenza e una forte conferma da parte del corpo elettorale alla proposta del Parlamento. Per quanto riguarda il voto regionale, dopo qualche incertezza dovuta agli exit poll, si è subito delineato un quadro di perfetta parità: tre regioni al centrodestra, di cui una, le Marche, strappata al centrosinistra, e tre a quest’ultimo. Tutto sommato, nessuna spallata al governo. Paradossalmente, le ripercussioni più probabili potrebbero sentirsi all’interno del centrodestra, dove la battaglia per la leadership appare più che mai aperta.
Il risultato del referendum
Il quarto voto referendario costituzionale riporta gli esiti in parità: vittoria del “sì” nel 2001 (“Modifica del Titolo V della seconda parte della Costituzione”) e nel 2020, rispettivamente con il 64 e il 70 per cento; vittoria del “no” nel 2006 (cosiddetta devolution) e nel 2016 (superamento del bicameralismo perfetto), rispettivamente con il 61 e il 59 per cento. Nonostante la pandemia, l’affluenza è stata tra le più elevate: 54 per cento, contro il 34 per cento del 2001, il 52,5 per cento del 2006 e il 65,5 per cento del 2016. Il più acceso dibattito delle ultime settimane ha avuto un riflesso certamente positivo sulla partecipazione.
La riforma costituzionale, ora approvata definitivamente, prevede la modifica agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione: la Camera dei deputati passerà da 630 a 400 membri (nella circoscrizione estero gli eletti saranno 8, mentre oggi sono 12). Il Senato della Repubblica scenderà da 315 a 200 membri (il numero di eletti nella circoscrizione estero da 6 a 4). Il numero minimo di senatori per regione o provincia autonoma diminuirà da 7 a 3. Infine, il numero di senatori a vita nominati per meriti speciali sarà fissato a 5 come numero massimo assoluto: questo significa che, se ci fossero già 5 senatori a vita (sono esclusi gli ex Presidenti della Repubblica), un nuovo Presidente della Repubblica non potrebbe nominarne altri.
Le modifiche si applicheranno dalle prossime elezioni, ma non prima che siano trascorsi sessanta giorni dalla data di entrata in vigore. Alcuni iniziali commenti da parte dell’opposizione, in particolare della Lega, hanno suggerito, in maniera piuttosto strumentale, che nuove elezioni dovrebbero essere all’ordine del giorno, proprio per rispettare la volontà popolare di avere un Parlamento più snello. Si tratta di un’argomentazione utilizzata spesso in questi casi (per esempio, dopo l’approvazione di una nuova legge elettorale) ma che ha francamente poco senso: molto meglio dedicare il resto della legislatura ad adeguare normativa e regolamenti in modo tale che il nuovo Parlamento, una volta rinnovato, possa lavorare subito nel modo migliore.
Le elezioni regionali
Perfetta parità dal voto regionale, in attesa di capire se ci sarà qualche sorpresa dai voti comunali: il centrosinistra conferma Toscana, Campania e Puglia; il centrodestra conferma Veneto e Liguria, strappando le Marche all’avversario. Gli exit poll avevano suggerito una battaglia molto più serrata in Puglia e Toscana, ma di fatto già le prime proiezioni hanno tranquillizzato la maggioranza.
Il voto regionale rinforza Giovanni Toti e Luca Zaia anche all’interno dei propri partiti e li propone come possibili leader per il prossimo futuro. La lista Toti conquista quattro volte i voti di Forza Italia (22 per cento contro 5 per cento). La lista Zaia quasi triplica i voti di lista della Lega (45 contro 17 per cento: di fatto, avrebbe vinto anche da solo).
Risultati poco entusiasmanti per il Movimento 5 stelle: solo in Puglia un candidato supera infatti il 10 per cento (non ancora definitivo il dato della candidata campana, che al momento della pubblicazione è intorno al 10 per cento). Deludente il risultato di Italia Viva: il candidato renziano, in Puglia, non supera il 2 per cento.
Per completezza, la tornata elettorale ha anche rinnovato il Consiglio regionale della Valle d’Aosta (lo scrutinio è ancora da cominciare, ma gli exit poll danno la Lega in netto vantaggio) e proceduto a riempire due seggi vacanti al Senato in Veneto e Sardegna (vittoria del centrodestra in entrambi i casi).
Quali conseguenze
Difficile sostenere che l’esito elettorale avrà forti ripercussioni sulla tenuta del governo. Probabilmente, qualche aggiustamento nei rapporti di forza si avrà tra Partito democratico e Movimento 5 stelle, a favore del primo, e all’interno del centrodestra, dove la partita per la leadership è decisamente aperta tra Matteo Salvini, Giorgia Meloni e qualche outsider, a partire dai presidenti confermati Zaia e Toti.
Difficile pensare che il Parlamento si dedichi immediatamente a nuove riforme costituzionali, anche se la vittoria del “sì” darà forza a chi sostiene che se ne possano avviare di ulteriori. Più probabile che ora l’attenzione si concentri sull’adeguamento della legge elettorale: qualcuno sosterrà che bastano pochi accorgimenti tecnici mentre altri, c’è da scommetterci, chiederanno una sua revisione più sostanziale. L’augurio è che invece non si perda tempo e che si adeguino al più presto i regolamenti parlamentari e l’organizzazione dei lavori delle commissioni.