Tratto da lavoce.info
di Tito Boeri, professore alla Bocconi
e Roberto Perotti, porfessore alla Bocconi
Non è vero che con la vittoria del “sì” l’Italia avrebbe il minor numero di parlamentari per abitante fra i paesi europei. E se il loro numero diminuisce è più facile monitorarne attività e partecipazione alla vita della camera cui appartengono.
Una statistica fuorviante
Un recente dossier del servizio studi di Camera e Senato viene spesso citato dai sostenitori del “no” al referendum sul taglio dei parlamentari per mostrare che, dopo la riforma, l’Italia avrebbe il minor numero di deputati per abitante fra i paesi europei. Ma questa statistica è fuorviante per due motivi.
Primo, indipendentemente dalla grandezza di un paese, c’è una dimensione minima sotto cui non è possibile scendere senza pregiudicare il funzionamento di un organo che deve legiferare sull’insieme delle politiche nazionali. Per questo motivo, i paesi piccoli (la grande maggioranza dei paesi europei) hanno meccanicamente un numero di parlamentari per abitante più alto di quelli grandi. Lo si vede molto chiaramente dal grafico qui sotto, che mostra come il numero di parlamentari per abitante scenda in modo quasi esattamente monotonico con il crescere della popolazione. Per esempio, il Lussemburgo ha una camera bassa di soli 60 deputati, ma con una popolazione di 600 mila abitanti ha un rapporto deputati per abitante pari a 10, dieci volte quello del Regno Unito. Per questo, in ciò che segue, ci concentreremo sui cinque paesi europei più popolosi e comparabili all’Italia: Germania, Regno Unito, Francia, Italia, e Spagna (in ordine di popolazione).
Secondo, non è corretto concentrarsi su una sola camera: tutti questi paesi hanno un sistema bicamerale, quindi un modo più corretto – e intuitivo – di rispondere alla domanda “quanto è rappresentativo il Parlamento” è calcolare il numero di parlamentari totali (senatori più deputati) eletti dalla popolazione. Ma attenzione: non tutte le camere alte (l’equivalente del nostro Senato) hanno poteri paragonabili a quelli delle camere basse, e non tutte sono elette direttamente dalla popolazione. Anzi, l’Italia è l’unico paese in cui un senatore è identico a un deputato. Negli altri paesi i senatori hanno poteri inferiori a quelli dei deputati, con varie gradazioni; solo in Spagna sono eletti direttamente dal popolo (e neanche tutti); in Germania e Francia sono eletti indirettamente, cioè da vari altri rappresentanti a loro volta eletti dal popolo. Per entrambi i motivi (minori poteri e minore “rappresentatività”), in questi paesi un senatore “conta meno” di un senatore o un deputato italiano; ma per stare larghi, calcoliamo il numero di parlamentari totali sommando senatori e deputati, come in Italia. Nel Regno Unito i Lord hanno poteri minimi, e non sono elettivi, ma ereditari o di nomina regia; quindi in questo paese il confronto corretto è solo con la House of Commons, l’equivalente della nostra Camera dei deputati. Inoltre, è interessante notare che in Francia è attualmente in discussione una proposta di riforma costituzionale di iniziativa governativa che ridurrebbe il numero sia dei deputati che dei senatori del 25 per cento.
Il confronto con i soli maggiorenni
Con queste premesse, nella tabella qui sotto mostriamo, nell’ultima colonna, il numero di parlamentari totali per 100.000 abitanti maggiorenni, eccetto come detto nel Regno Unito, dove al numeratore abbiamo solo i membri della House of Commons. L’unica differenza metodologica rispetto al documento di Camera e Senato citato sopra è che anziché la popolazione totale utilizziamo la popolazione maggiorenne, una misura più corretta dell’elettorato. Si noti che l’uso di questa misura più restrittiva della popolazione tende a ridurre il rapporto tra parlamentari e abitanti in Italia più che negli altri paesi, perché l’Italia è il paese più vecchio del gruppo, quindi con una percentuale di maggiorenni più alta rispetto alla popolazione totale (rispetto alla misura usata nel dossier di Camera e Senato, il denominatore del rapporto aumenta più che negli altri paesi). Un secondo elemento che “riduce” il rapporto italiano è che anche fuori d’Italia contiamo i senatori al pari dei deputati, sebbene come abbiamo visto in quei paesi vi siano due motivi per cui un senatore è “meno rappresentativo” di un deputato.
Allo stato attuale, l’Italia ha un rapporto tra parlamentari e popolazione maggiorenne nettamente superiore agli altri paesi. Dopo il referendum, il rapporto scenderebbe a 1,2 parlamentare per 100.000 elettori: sarebbe ancora superiore alla Germania, pari al Regno Unito, e di poco inferiore alla Francia se passasse la riforma costituzionale di iniziativa governativa. Ovviamente non è detto che la riforma francese sarà approvata, ma il punto è che un rapporto simile a quello italiano non sembra essere impensabile neanche in Francia, anzi è contemplato anche in un progetto di riforma di iniziativa governativa – non dei gilets jaunes. Ovviamente, questo apre la vexata questio del bicameralismo perfetto, un unicum in Europa. Come hanno sottolineato in molti, la riduzione del numero dei parlamentari sarebbe più razionale se accompagnata dalla eliminazione del bicameralismo perfetto. La nostra opinione è che rimanga razionale anche in assenza di questa seconda riforma.
Chi lavora in Parlamento
Si sostiene spesso anche che dopo il referendum le due Camere sarebbero troppo piccole per funzionare bene. Per esempio, Luciano Violante su La Repubblica del 26 agosto sostiene che un Senato di 200 persone non può svolgere bene il lavoro di 14 commissioni e 6 commissioni di controllo e vigilanza (come Rai o Copasir). Ma il Senato Usa ha 24 commissioni e solo 100 membri, e nessuno in quel paese ha mai sollevato un problema. Inoltre, nella passata legislatura il 30 per cento dei senatori italiani ha disertato più di un terzo delle votazioni, l’attività legislativa si è concentrata su poco più del 10 per cento dei parlamentari che hanno sommato tra loro più di un incarico, lasciando due terzi dei nostri rappresentanti senza alcun ruolo. Molti di loro in cinque anni non sono mai stati né promotori né relatori di un singolo provvedimento. Quindi basterebbe avere senatori più presenti e più produttivi per assolvere pienamente queste funzioni.
E qui veniamo a un argomento secondo noi cruciale in favore di una riduzione del numero dei parlamentari (ben più dei risparmi di spesa, che come tutti sanno sarebbero molto limitati, anche se simbolicamente rilevanti). È un argomento che si applica ancor più alla Camera dei deputati che al Senato: diminuendo il numero dei parlamentari è più facile monitorarne l’attività e assicurarsi che abbiano gli incentivi per partecipare alla vita dell’organo cui appartengono. Il problema delle assemblee troppo grandi è proprio che il singolo parlamentare si sente troppo insignificante per incidere, perde interesse a partecipare e riesce anche più facilmente a nascondersi e ad approfittare del lavoro degli altri.
*Gli argomenti che sviluppati in questo articolo sono in parte simili a quelli di un pezzo di Giacomo Salvini sul Fatto Quotidiano del 29 agosto 2020 (scritto con la collaborazione di Stefano Ceccanti, Francesco Clementi e Carlo Fusaro), di cui gli autori di questa nota sono venuti a conoscenza solo a stesura ultimata.