Tratto da la voce.info
Allentare il lockdown delle attività produttive è necessario per evitare il collasso dell’economia. Un’azione mirata su alcuni settori può avere un impatto significativo sul Pil, tenendo conto del complesso intreccio delle catene del valore.
Quali attività riaprire?
Le attività economiche oggi escluse dal lockdown sono state selezionate sulla base di scelte obbligate, legate a criteri di prima necessità, dal punto di vista sanitario e dei bisogni essenziali della popolazione. La fase due richiede un’azione più attenta e bilanciata, che consenta di far ripartire in modo prioritario le attività con un più forte impatto sull’economia nel suo complesso, minimizzando i rischi sanitari per chi torna al lavoro e per il paese.
Oggi si discute molto dei criteri per operare in sicurezza, sono state sviluppate accurate analisi della rischiosità di diverse attività lavorative, si realizzano alcune aperture sperimentali, come ad esempio quelle di Ferrari e Fca. Il dibattito è molto acceso, ma a parte le fondamentali questioni sanitarie, raramente si tiene conto dell’impatto economico delle opzioni sul tavolo, come invece auspicato su Il Foglio di domenica 18 aprile da Luigi Guiso e Matteo Paradisi. Soprattutto, manca uno studio sistematico che tenga conto delle relazioni tra i diversi settori e le filiere produttive e del loro impatto potenziale sull’economia italiana.
Occorre invece definire priorità oggettive ed evitare ogni arbitrio nei processi di riapertura, magari frutto di decisioni basate sull’emotività e sulle capacità di lobbying, anche se si dovesse infine concludere che è bene riaprire tutto il sistema produttivo.
Identificare le attività prioritarie non è semplice. Non è solo una questione dimensionale. Dato l’intreccio delle catene del valore (o filiere), ci sono attività la cui incidenza sul Pil è limitata, ma che sono nodi fondamentali per il funzionamento di più filiere, e per questo motivo hanno un impatto indiretto molto significativo sulla capacità produttiva del paese.
In un recente lavoro abbiamo proposto una metodologia per identificare le attività produttive la cui chiusura totale o parziale a seguito dei decreti del presidente del Consiglio dei ministri abbia avuto un particolare impatto negativo sul Pil e la cui riapertura, di conseguenza, dovrebbe essere prioritaria, per favorire la ripresa e la tenuta dell’occupazione.
I risultati di una prima applicazione mostrano che un’azione mirata e attenta su un numero limitato di settori, dove gran parte dell’attività è al momento chiusa, può avere un effetto molto significativo sull’incremento dell’output del paese. L’attivazione di soli 20 microsettori centrali nel sistema produttivo nazionale, identificati con la metodologia che proponiamo, con un valore della produzione precedente alla crisi pari al 22,8 per cento del totale nazionale, permetterebbe di riportare il valore della produzione delle imprese italiane dal 56 al 76 per cento rispetto ai livelli pre-Covid e di riattivare gran parte delle filiere produttive.
La nostra analisi astrae da valutazioni epidemiologiche o sul relativo grado di sicurezza delle diverse attività e di come queste possano essere riorganizzate per ridurre il rischio di contagio tra lavoratori. Per scelta e per competenza, ci limitiamo a dare indicazioni di rilievo economico che, evidentemente, dovranno essere integrate dalle informazioni sul rischio epidemiologico e sulle probabilità di contagio nello svolgimento delle diverse attività lavorative.
Tre passaggi
La difficoltà del lavoro sta nell’elevatissimo grado di interconnessione delle attività economiche. Si pensi a quanti componenti contenga una macchina per lavorare il ferro e in quanti settori possa essere utilizzata. Nel sistema produttivo di un paese ci sono davvero intrecci insospettabili. Esiste però una mappa di tutti questi legami che si chiama la tavola input output, da cui si può desumere quanto ogni branca di attività economica comperi da o venda a un’altra. Le tavole input output, però, almeno nelle statistiche rese pubbliche dall’Istat, non offrono dati così fini da poter capire con precisione come, ad esempio, la fucinatura, imbutitura, stampaggio e profilatura dei metalli sia un input importante della filiera della meccanica. Per fare i nostri calcoli dobbiamo integrare altre fonti più dettagliate. Abbiamo insomma bisogno di un’analisi più fine che ci permetta di cogliere se e come ogni microsettore, come appunto la fucinatura, imbutitura, stampaggio e profilatura dei metalli, sia o meno un nodo fondamentale nelle filiere produttive del paese. E soprattutto quali siano questi microsettori. Una volta identificati, possiamo poi capire quanto una loro riapertura possa generare una ripresa dell’output prodotto e del Pil.
Impatto della chiusura delle branche, come da Dpcm del 10 aprile, sul Pil
La tabella 1 (derivata dalle tavole input output come discusso in appendice) elenca le branche per le quali le limitazioni dell’attività produttiva, se venissero mantenute per un anno, determinerebbero una riduzione del Pil superiore al 3 per cento (sono escluse le attività immobiliari). Le stime sono ottenute ipotizzando la chiusura di una branca alla volta. I valori dipendono da tre fattori. L’ampiezza della chiusura; la dimensione della branca; le interconnessioni con il resto dell’economia. Ad esempio, “fabbricazioni di macchinari e apparecchiature” ha un grande impatto perché è un settore con valori elevati per tutti e tre i criteri elencati.
Quali attività riaprire?
Le attività economiche oggi escluse dal lockdown sono state selezionate sulla base di scelte obbligate, legate a criteri di prima necessità, dal punto di vista sanitario e dei bisogni essenziali della popolazione. La fase due richiede un’azione più attenta e bilanciata, che consenta di far ripartire in modo prioritario le attività con un più forte impatto sull’economia nel suo complesso, minimizzando i rischi sanitari per chi torna al lavoro e per il paese.
Oggi si discute molto dei criteri per operare in sicurezza, sono state sviluppate accurate analisi della rischiosità di diverse attività lavorative, si realizzano alcune aperture sperimentali, come ad esempio quelle di Ferrari e Fca. Il dibattito è molto acceso, ma a parte le fondamentali questioni sanitarie, raramente si tiene conto dell’impatto economico delle opzioni sul tavolo, come invece auspicato su Il Foglio di domenica 18 aprile da Luigi Guiso e Matteo Paradisi. Soprattutto, manca uno studio sistematico che tenga conto delle relazioni tra i diversi settori e le filiere produttive e del loro impatto potenziale sull’economia italiana.
Occorre invece definire priorità oggettive ed evitare ogni arbitrio nei processi di riapertura, magari frutto di decisioni basate sull’emotività e sulle capacità di lobbying, anche se si dovesse infine concludere che è bene riaprire tutto il sistema produttivo.
Identificare le attività prioritarie non è semplice. Non è solo una questione dimensionale. Dato l’intreccio delle catene del valore (o filiere), ci sono attività la cui incidenza sul Pil è limitata, ma che sono nodi fondamentali per il funzionamento di più filiere, e per questo motivo hanno un impatto indiretto molto significativo sulla capacità produttiva del paese.
In un recente lavoro abbiamo proposto una metodologia per identificare le attività produttive la cui chiusura totale o parziale a seguito dei decreti del presidente del Consiglio dei ministri abbia avuto un particolare impatto negativo sul Pil e la cui riapertura, di conseguenza, dovrebbe essere prioritaria, per favorire la ripresa e la tenuta dell’occupazione.
I risultati di una prima applicazione mostrano che un’azione mirata e attenta su un numero limitato di settori, dove gran parte dell’attività è al momento chiusa, può avere un effetto molto significativo sull’incremento dell’output del paese. L’attivazione di soli 20 microsettori centrali nel sistema produttivo nazionale, identificati con la metodologia che proponiamo, con un valore della produzione precedente alla crisi pari al 22,8 per cento del totale nazionale, permetterebbe di riportare il valore della produzione delle imprese italiane dal 56 al 76 per cento rispetto ai livelli pre-Covid e di riattivare gran parte delle filiere produttive.
La nostra analisi astrae da valutazioni epidemiologiche o sul relativo grado di sicurezza delle diverse attività e di come queste possano essere riorganizzate per ridurre il rischio di contagio tra lavoratori. Per scelta e per competenza, ci limitiamo a dare indicazioni di rilievo economico che, evidentemente, dovranno essere integrate dalle informazioni sul rischio epidemiologico e sulle probabilità di contagio nello svolgimento delle diverse attività lavorative.
Tre passaggi
La difficoltà del lavoro sta nell’elevatissimo grado di interconnessione delle attività economiche. Si pensi a quanti componenti contenga una macchina per lavorare il ferro e in quanti settori possa essere utilizzata. Nel sistema produttivo di un paese ci sono davvero intrecci insospettabili. Esiste però una mappa di tutti questi legami che si chiama la tavola input output, da cui si può desumere quanto ogni branca di attività economica comperi da o venda a un’altra. Le tavole input output, però, almeno nelle statistiche rese pubbliche dall’Istat, non offrono dati così fini da poter capire con precisione come, ad esempio, la fucinatura, imbutitura, stampaggio e profilatura dei metalli sia un input importante della filiera della meccanica. Per fare i nostri calcoli dobbiamo integrare altre fonti più dettagliate. Abbiamo insomma bisogno di un’analisi più fine che ci permetta di cogliere se e come ogni microsettore, come appunto la fucinatura, imbutitura, stampaggio e profilatura dei metalli, sia o meno un nodo fondamentale nelle filiere produttive del paese. E soprattutto quali siano questi microsettori. Una volta identificati, possiamo poi capire quanto una loro riapertura possa generare una ripresa dell’output prodotto e del Pil.
Impatto della chiusura delle branche, come da Dpcm del 10 aprile, sul Pil
La tabella 1 (derivata dalle tavole input output come discusso in appendice) elenca le branche per le quali le limitazioni dell’attività produttiva, se venissero mantenute per un anno, determinerebbero una riduzione del Pil superiore al 3 per cento (sono escluse le attività immobiliari). Le stime sono ottenute ipotizzando la chiusura di una branca alla volta. I valori dipendono da tre fattori. L’ampiezza della chiusura; la dimensione della branca; le interconnessioni con il resto dell’economia. Ad esempio, “fabbricazioni di macchinari e apparecchiature” ha un grande impatto perché è un settore con valori elevati per tutti e tre i criteri elencati.
Identificazione dei microsettori centrali delle filiere del sistema produttivo italiano
Le branche di attività economica sono però ampie e racchiudono al loro interno attività talora molto eterogenee. È infatti plausibile che l’apertura anche soltanto di una parte delle imprese che afferiscono a una certa branca possa fornire un contributo molto significativo al Pil, non soltanto in ragione della loro dimensione, ma grazie alla loro capacità di attivare indirettamente altre parti del sistema produttivo. Per ovviare in parte a questi limiti, abbiamo utilizzato la struttura delle relazioni tra i microsettori che contribuiscono alle 12 filiere descritte da Prometeia (metodologia nel paragrafo “Per saperne di più”).
L’impatto dell’apertura dei 50 microsettori così individuati sul valore della produzione delle filiere è riportato nella tabella 2. Come si vede, è molto elevato. Con l’apertura di questi 50 microsettori (sono 192 in totale), tutte le filiere riuscirebbero a raggiungere un valore della produzione superiore all’80 per cento della produzione pre-Covid. Ad esempio, la “meccanica” arriverebbe al 92,2 per cento, partendo da un valore al momento pari al 36,8 per cento.
Le branche di attività economica sono però ampie e racchiudono al loro interno attività talora molto eterogenee. È infatti plausibile che l’apertura anche soltanto di una parte delle imprese che afferiscono a una certa branca possa fornire un contributo molto significativo al Pil, non soltanto in ragione della loro dimensione, ma grazie alla loro capacità di attivare indirettamente altre parti del sistema produttivo. Per ovviare in parte a questi limiti, abbiamo utilizzato la struttura delle relazioni tra i microsettori che contribuiscono alle 12 filiere descritte da Prometeia (metodologia nel paragrafo “Per saperne di più”).
L’impatto dell’apertura dei 50 microsettori così individuati sul valore della produzione delle filiere è riportato nella tabella 2. Come si vede, è molto elevato. Con l’apertura di questi 50 microsettori (sono 192 in totale), tutte le filiere riuscirebbero a raggiungere un valore della produzione superiore all’80 per cento della produzione pre-Covid. Ad esempio, la “meccanica” arriverebbe al 92,2 per cento, partendo da un valore al momento pari al 36,8 per cento.
L’impatto sul Pil della riattivazione dei microsettori centrali
Infine, quale sarebbe l’impatto sul Pil dell’apertura dei microsettori individuati? Per capirlo, abbiamo condotto un esercizio simile a quello effettuato nel primo passaggio, ma in un certo senso a ritroso, ipotizzando unicamente la riapertura dei microsettori identificati. Nella tavola riportiamo due scenari: il primo è la riapertura solo dei 20 più centrali tra i 50 selezionati; il secondo è la riapertura di 40 microsettori. Torniamo alla branca “fabbricazione di macchinari e apparecchiature”. Vediamo che il calo del Pil, sempre su ragione annua, si riduce dall’11,1 al 5,7 per cento aprendo 20 microsettori e al 4,4 per cento aprendone 40.
Infine, quale sarebbe l’impatto sul Pil dell’apertura dei microsettori individuati? Per capirlo, abbiamo condotto un esercizio simile a quello effettuato nel primo passaggio, ma in un certo senso a ritroso, ipotizzando unicamente la riapertura dei microsettori identificati. Nella tavola riportiamo due scenari: il primo è la riapertura solo dei 20 più centrali tra i 50 selezionati; il secondo è la riapertura di 40 microsettori. Torniamo alla branca “fabbricazione di macchinari e apparecchiature”. Vediamo che il calo del Pil, sempre su ragione annua, si riduce dall’11,1 al 5,7 per cento aprendo 20 microsettori e al 4,4 per cento aprendone 40.
I nostri risultati dicono in modo chiaro come un’azione mirata e attenta su un numero limitato di settori, dove gran parte dell’attività è in questo momento chiusa possa avere un impatto molto significativo sull’incremento dell’output del paese.
Il lavoro è preliminare, ma la metodologia che proponiamo può essere estesa considerando sia la dimensione regionale delle attività economiche, sia l’impatto della concorrenza nelle catene internazionali del valore. Al contempo, può essere ricalibrata contemplando gradi di riapertura più o meno ampi di branche, filiere e microsettori, a seconda delle valutazioni delle autorità, anche locali.
Ancora più ricco, ovviamente, sarebbe il quadro che emergerebbe utilizzando i dati sulle fatture elettroniche tra imprese, che al momento, purtroppo, non sono disponibili per questo tipo di analisi.
Il lavoro è preliminare, ma la metodologia che proponiamo può essere estesa considerando sia la dimensione regionale delle attività economiche, sia l’impatto della concorrenza nelle catene internazionali del valore. Al contempo, può essere ricalibrata contemplando gradi di riapertura più o meno ampi di branche, filiere e microsettori, a seconda delle valutazioni delle autorità, anche locali.
Ancora più ricco, ovviamente, sarebbe il quadro che emergerebbe utilizzando i dati sulle fatture elettroniche tra imprese, che al momento, purtroppo, non sono disponibili per questo tipo di analisi.