Tratto da lavoce.info
di Massimo Bordignon, professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l’università Cattolica di Milano
Un intervento temporaneo sulle aliquote Iva potrebbe contribuire a sostenere i consumi nel breve periodo, senza penalizzare troppo le casse dello stato. Non va però trasformato in una misura permanente. Ed è meglio evitare annunci a cui non seguono fatti.
Obiettivo: sostenere la domanda
Grande è la confusione sotto il cielo. L’annuncio del presidente del Consiglio che il governo starebbe pensando a una riduzione dell’Iva ha suscitato l’usuale bufera mediatica, per poi finire, a quanto pare, in un nulla di fatto, una caratteristica costante del dibattito politico italiano. Si tratta invece di un’ipotesi da discutere seriamente.
Nel decidere se sia o meno sensato ridurre l’Iva, bisogna innanzitutto distinguere se si ha mente un intervento temporaneo oppure permanente. Se si tratta della prima ipotesi, potrebbe avere qualche giustificazione se ben congegnata; se si tratta della seconda, è una sciocchezza.
Un intervento temporaneo sull’Iva potrebbe essere sensato, soprattutto se limitato ad alcuni settori particolarmente penalizzati dal Covid-19 oppure su beni e servizi con caratteristiche per altri versi meritorie, perché c’è il problema pressante di sostenere la domanda nel breve termine e per il momento, anche a causa del lockdown, la propensione al risparmio delle famiglie italiane è molto aumentata. Soprattutto su alcuni beni durevoli (si pensi per esempio all’automobile, magari ibrida o elettrica per venire incontro alle esigenze ambientali) una riduzione temporanea del prezzo indotta dal taglio delle aliquote potrebbe in effetti convincere i consumatori ad anticipare gli acquisti, con effetti positivi sul sistema economico. Ma poiché ridurre l’Iva è costoso, l’intervento andrebbe valutato attentamente in termini di costi ed efficacia, confrontandolo con altre politiche possibili con lo stesso scopo. Ad esempio, è probabilmente vero che, a parità di risorse, accelerare la spesa in investimenti pubblici darebbe più sicurezza in termini di effetti propulsivi sull’economia di una riduzione delle aliquote Iva: non è detto, infatti, che consumatori spaventati dall’epidemia e dal futuro si mettano a comprare di più un bene solo perché il prezzo si riduce. D’altra parte, è anche vero che spendere rapidamente soldi per opere pubbliche, anche se già stanziati, è più o meno impossibile in Italia, mentre per ridurre un’aliquota basta un tratto di penna. Ci sono dunque argomenti a favore di un intervento mirato sull’Iva.
Perché deve essere una riduzione temporanea
Il punto cruciale è l’aggettivo “temporaneo”. I consumatori possono essere stimolati ad aumentare o ad anticipare alcune spese oggi, se si aspettano che domani i prezzi risaliranno, quando le aliquote Iva ritorneranno al loro livello iniziale. Se l’intervento è temporaneo non ci sono neanche effetti deleteri sul bilancio pubblico o sulle percezioni dei mercati sulla sostenibilità del nostro debito: si riducono entrate fiscali ora per sostenere l’economia in un momento di grave recessione, ma si anticipa già che aumenteranno in futuro, una volta che l’emergenza sia risolta. Se invece c’è il sospetto che il temporaneo diventi permanente, l’effetto si diluisce nel breve termine e nel lungo si perdono consistenti entrate fiscali, una cosa che il paese non può certamente permettersi. Purtroppo, un’altra delle tipiche costanti italiane è l’esenzione fiscale temporanea che diviene permanente: quando arriva il momento di togliere l’incentivo, le categorie penalizzate si lamentano, i media piangono e i governi italiani sono generalmente troppo deboli per resistere alle pressioni. Se il nostro sistema tributario ha perso razionalità e coerenza, in parte è proprio per fenomeni di questo tipo, reiterati nel tempo. Una condizione dunque fondamentale per considerare interventi simili è che il governo sia in grado di prendere impegni credibili sulla temporaneità dell’incentivo.
Ma per quale ragione non riduciamo perennemente le aliquote Iva e cerchiamo i soldi mancanti da qualche altra parte, aumentando altri tributi? Perché è più o meno l’opposto di quanto dovremmo fare, una volta che l’economia sia ritornata a una situazione normale. Un obiettivo di riforma del nostro sistema tributario dovrebbe puntare a ridurre la pressione fiscale sui redditi, in particolare quelli da lavoro, ferocemente tassati, spostandola invece sui consumi, che risultano poco gravati rispetto al contesto internazionale, a causa anche dell’elevata evasione. Avrebbe effetti benefici sia in termini di crescita e di occupazione che di competitività internazionale delle imprese italiane, perché scoraggerebbe le importazioni senza penalizzare le esportazioni. Ma una riforma di questo tipo, che richiederebbe anche una revisione e un accorpamento dell’Iva, va fatta simultaneamente a un intervento sull’Irpef e forse anche sulla struttura dei trasferimenti alle famiglie, per evitare il più possibile effetti regressivi. Ci vuole cioè una riforma fiscale e sembra che il governo ci stia pensando, almeno a parole. Nell’attesa, è bene però sottolineare che la cosa peggiore che si possa fare nell’immediato è annunciare una riduzione dell’Iva, senza poi realizzarla; perché l’annuncio ha appunto l’effetto di spingere i consumatori a rimandare gli acquisti, aspettando il momento della riduzione delle aliquote.