Tratto da lavoce.info
di Rony Hamaui, professore alla Cattolica di Milano
I paesi che hanno reagito meglio al coronavirus dal punto di vista sanitario sono anche quelli che subiranno meno gli effetti della crisi economica. La spesa sanitaria è dunque un investimento indispensabile per rendere la nostra economia più sostenibile.
Risposta al coronavirus: promossi e bocciati
Giugno è tradizionalmente il mese dei voti e delle pagelle. Così, anche se la pandemia è tutt’altro che finita e le incertezze rimangono ancora tante, i principali istituti di ricerca hanno cominciato a valutare le risposte, sia sanitarie che economiche, dei principali paesi. Le analisi, benché provvisorie, risultano particolarmente interessanti, non tanto per giudicare l’efficacia dei diversi governi, quanto per aiutarli a gestire una situazione ancora fluida e, soprattutto, una seconda ondata di contagi, qualora dovesse materializzarsi.
The Economist Intelligence Unit ha appena redatto un breve rapporto dal significativo titolo How well have Oecd countries responded to the coronavirus crisis?. In esso la reazione dei diversi paesi Ocse al Covid-19 è valutata in base a una serie di parametri, come i tassi di mortalità, il numero dei test effettuati e i livelli di assistenza sanitaria. I parametri sono poi mitigati da alcuni fattori di rischio, come la percentuale di popolazione sopra i 65 anni, il numero di persone obese e la mobilità internazionale. Alcuni paesi – l’Australia, l’Austria, la Danimarca, la Germania, Israele, la Nuova Zelanda e la Norvegia – sono promossi a pieni voti (figura 1). Tutti si sono mossi rapidamente e con determinazione per tracciare e testare i potenziali contagiati, mentre solo alcuni di loro hanno adottato severe misure di lockdown. Altri paesi come la Francia, il Portogallo e la Svizzera sono rimandati a settembre. Lo stesso vale per la Svezia, che ha adottato una politica molto controversa, ma i cui cittadini sono dotati di un forte senso civico e fiducia nelle istituzioni. Il Belgio, l’Italia, la Spagna e il Regno Unito, invece, vengono bocciati. L’Italia ha l’attenuante di essere stata colpita per prima in Europa, ma certo in alcune regioni la gestione della crisi è stata incerta e carente, mentre il Regno Unito paga lo scotto di una risposta lenta, la mancanza iniziale di capacità di fare i test e la decisione di sospendere la tracciabilità all’inizio di marzo. Un discorso a parte meritano gli Stati Uniti poiché l’analisi non tiene conto della recente esplosione di casi.
Le “pagelle” per la risposta economica
Se queste sono le pagelle sanitarie, quali sono quelle economiche? E, soprattutto, esiste una correlazione fra le due? Ovviamente, anche su questo fronte esiste ancora molta incertezza. L’Ocse, per esempio, nel suo rapporto di giugno traccia due diversi scenari a cui attribuisce una uguale probabilità. Il primo prevede una sola ondata di pandemia, il secondo ipotizza che in autunno ve ne sia un’altra. Ovviamente, nel secondo caso la recessione sarà più intensa e la distanza con la crescita potenziale più ampia. Il ranking dei paesi, però, non cambia molto: in media l’Europa pagherà il prezzo più alto, anche se le differenze fra i paesi sono rilevanti. Nel 2020, Spagna, Italia, Francia e Regno Unito subiranno una caduta del Pil sopra il 10 per cento nel primo scenario e poco sotto al 15 per cento nel secondo, mentre in Danimarca, Norvegia, Israele, Stati Uniti e Germania la recessione sarà meno acuta, fra il 6 e il 10 per cento. Anche in questo caso molti fattori, quali la struttura settoriale, il grado di apertura al commercio internazionale o il ruolo del turismo, possono spiegare le differenze. Tuttavia, è significativo che i paesi che hanno fornito risposte migliori sul fronte sanitario (limitando il numero dei morti ed effettuando più test) siano anche quelli che subiranno meno la crisi economica.
La relazione è opposta a quella ipotizzata all’inizio della pandemia da alcuni economisti e da una parte del mondo imprenditoriale e politico: quando il lockdown era visto come il principale strumento di lotta alla crisi sanitaria, un maggiore appiattimento della curva epidemica avrebbe comportato una maggiore caduta del Pil. Oggi abbiamo capito che un migliore sistema sanitario, un sistema di tracciamento più efficace, oltre a una leadership capace di reagire rapidamente, possono aiutare non solo a salvare molte vite umane, ma anche accompagnarsi a una economia più resiliente agli shock. In altri termini, la spesa sanitaria è un investimento indispensabile per rendere la nostra economia più sostenibile. Ecco perché è importante investire nella sanità, in aree produttive come l’assunzione di giovani medici e infermieri motivati, la riqualificazione della medicina di base sul territorio e soprattutto la ricerca scientifica. Ecco perché è importante utilizzare i fondi del Mes (Meccanismo europeo di stabilità), che sono finalizzati a questo scopo e riducono (almeno per l’Italia) il costo del debito.