Tratto da lavoce.info
di Massimo Baldini, professore associato di Scienza delle Finanze presso la facoltà di Economia di Modena
I dati Istat sulla povertà assoluta indicano un netto peggioramento della situazione nel 2020. I più colpiti sono gli stessi che avevano subito le crisi precedenti: famiglie con figli, lavoratori, stranieri. Preoccupa l’aumento della povertà fra i giovani.
Il peggioramento nei dati Istat
Di solito, l’Istat pubblica i dati sulla povertà rilevata in un certo anno nei mesi estivi di quello successivo, ma data l’eccezionalità della situazione indotta dalla pandemia ha meritoriamente anticipato i tempi, presentando a inizio marzo le stime – preliminari – della diffusione della povertà assoluta nel 2020.
Come prevedibile, i dati segnalano un forte peggioramento della situazione: il numero di famiglie in povertà assoluta è salito di 335mila unità, passando da 1,67 milioni nel 2019 a 2 milioni nel 2020 (da 6,4 per cento a 7,7 per cento), mentre quello delle persone è salito di un milione, da 4,6 a 5,6 milioni (da 7,7 a 9,4 per cento).
Vediamo alcune caratteristiche di questo incremento. L’aumento del rischio di povertà è stato più alto per le famiglie con figli e con persona di riferimento occupata (tabella 1). Minori sono stati gli effetti per i pensionati. L’incidenza della povertà è salita sia per gli italiani che per gli stranieri, ma soprattutto per questi ultimi. È inoltre cresciuta molto di più per le famiglie residenti nell’Italia del Nord.
Famiglie con figli, lavoratori, stranieri: la crisi attuale ha aumentato di più il rischio di povertà per le stesse famiglie che sono state più colpite anche dalle crisi precedenti, soprattutto quella del 2012-2013.
La crisi del Nord
Se allarghiamo l’orizzonte, negli ultimi 15 anni la curva dell’incidenza della povertà tra le famiglie mostra un incremento quasi continuo, con un evidente scalino nel biennio della crisi del 2012-2013 e una nuova ripida crescita proprio nel 2020, dopo il calo del 2019 (figura 1). Il ciclo economico determina le oscillazioni e i cambiamenti di pendenza, mentre il declino di lungo periodo produce la crescita di fondo.
Il peggioramento dovuto al Covid-19 è un fenomeno generale, ma sembra che la crisi del 2020 abbia colpito soprattutto il Nord, dove il numero di nuclei in povertà cresce in un anno di ben 218mila unità (52mila al Centro, 64mila al Sud). La crisi indotta dal lockdown e dalla chiusura delle attività produttive ha interessato di più i redditi delle famiglie dove maggiori sono i livelli occupazionali nel settore privato. Nel Sud l’importanza relativa dei redditi da trasferimento e degli stipendi pubblici è maggiore, e questo ha attutito l’effetto della crisi sui bilanci familiari. Il reddito di cittadinanza ha sicuramente sostenuto i redditi più bassi, ma dato che i parametri per la definizione del beneficio sono unici per l’intero paese, ha aiutato di più le famiglie del Sud, che – vivendo in una zona con prezzi inferiori – hanno redditi mediamente più bassi di quelle del Nord, a parità di tenore di vita. In altre parole, un uguale importo del Rdc può essere sufficiente per far uscire una famiglia del Sud dalla povertà, ma non una del Nord, visto che le linee di povertà assoluta dell’Istat tengono conto del divario nel livello dei prezzi. Nel Nord, inoltre, si concentrano molte delle famiglie con stranieri, che hanno subito più delle altre le conseguenze della crisi.
I giovani, le prime vittime
Dal 2012 in poi la povertà tra i minori è esplosa ed è cresciuta molto anche per la fascia 18-34, mentre è stabile tra gli anziani. I tre anni peggiori negli ultimi 15 per incremento della povertà tra i minori sono stati il 2012, il 2013 e proprio il 2020. È bene non dimenticare che le prime vittime della crisi economica – e della stagnazione – sono i più giovani.