Tratto da lavoce.info
di Mario Macis, professore associato alla Johns Hopkins University, Carey Business School
Investire in infrastrutture fisiche e sociali: è l’obiettivo del piano da 4 mila miliardi dell’amministrazione Usa. I programmi di Joe Biden si fondano su idee economiche nuove o trascurate da molto tempo. Sarà interessante vedere con quali risultati.
Dopo lo stanziamento di quasi duemila miliardi dell’American Rescue Plan per rilanciare l’economia colpita dal coronavirus, Joe Biden ha annunciato un programma in due parti per un totale di altri quattromila miliardi di dollari: l’American Jobs Plan e l’American Families Plan. L’enfasi è sulle infrastrutture, intese in senso lato. “L’America ha investito troppo poco in infrastrutture per più di una generazione”, sia quelle tradizionali (trasporti, energia) sia quelle digitali (banda larga), ha detto Biden il 31 marzo a Pittsburgh. Sull’American Families Plan ancora non ci sono dettagli, ma anch’esso è stato descritto come un investimento in infrastrutture, questa volta “sociali”, principalmente assistenza all’infanzia e sanitaria. L’American Jobs Plan sarà in parte modificato con il passaggio al Congresso, ma esaminarne le componenti principali è utile per avere un’idea delle priorità dell’amministrazione Biden.
Il piano prevede spese per 2.290 miliardi in otto anni – pari a circa l’1 per cento del Pil statunitense. La componente principale sono le infrastrutture dei trasporti, con una spesa prevista di 621 miliardi. Sono indicati massicci interventi di modernizzazione e ristrutturazione di strade, ponti, porti e aeroporti. Ci sono anche fondi per i veicoli elettrici, tra incentivi all’acquisto e predisposizione di una rete capillare di stazioni di ricarica. 311 miliardi sono destinati al potenziamento delle reti idriche ed elettriche e all’espansione della banda larga nelle zone rurali. Il recente blackout in Texas, dovuto a eventi meteorologici estremi ma sempre più frequenti a causa del cambiamento climatico, ha drammaticamente dimostrato la necessità dell’ammodernamento. Ogni anno le interruzioni di energia elettrica negli Stati Uniti provocano costi per 150 miliardi di dollari.
La pandemia da coronavirus, che ha portato a chiusure in tutto il paese, ha reso ancora più evidenti le disparità di accesso a internet, soprattutto per gli studenti che hanno faticato a connettersi alla rete per l’apprendimento a distanza. Il piano prevede anche l’ammodernamento di asili, edifici scolastici e commerciali, case, migliorandone la sicurezza e l’efficienza energetica. Saranno anche costruite o ristrutturate oltre un milione di abitazioni, con l’obiettivo di aumentare l’offerta nelle comunità più svantaggiate. Quasi mille miliardi saranno destinati a ricerca e sviluppo e alla “caregiving economy”. Come nel resto del pacchetto, anche per le due ultime componenti Biden ha sottolineato l’importanza di creare “buoni” posti di lavoro per gli americani. Per reagire alle conseguenze dei processi di globalizzazione e di automazione, il presidente intende aumentare l’investimento pubblico sulle “tecnologie del futuro” come l’intelligenza artificiale e le biotecnologie, ma indirizzandole in modo da facilitare la creazione di posti di lavoro invece di sostituirlo, incluso nelle zone rurali.
In questa ottica, si inserisce un programma di rivitalizzazione del settore manifatturiero, per favorire la creazione di posti di lavoro “ben pagati e sindacalizzati” in settori strategici come l’energia pulita (auto elettriche, nucleare), e aumentando la produzione domestica in modo da ridurre la fragilità di catene di approvvigionamento troppo esposte a shock esterni (già verso la fine di febbraio, il presidente Biden ha firmato un ordine esecutivo con cui ha ordinato un esame approfondito delle catene di approvvigionamento di prodotti farmaceutici, minerali utilizzati nella produzione degli apparati elettronici, semiconduttori e batterie per auto elettriche).
Infine, circa il 20 per cento dell’intero ammontare del programma è rivolto all’assistenza domiciliare dei disabili e degli anziani non autosufficienti. Le case di cura hanno prezzi spesso proibitivi e l’assistenza domiciliare (che molti anziani e disabili preferiscono) non è coperta da Medicaid (il programma federale sanitario che fornisce aiuti alle persone con basso reddito). Il piano prevede un’espansione della copertura sanitaria pubblica che darebbe accesso a servizi di assistenza di lungo periodo a milioni di anziani e disabili. La misura porterebbe anche a un aumento del reddito degli addetti al settore “home care”, in prevalenza composto da donne di colore, e alla creazione di posti di lavoro aggiuntivi in un campo sempre più importante, soprattutto a causa dell’invecchiamento della popolazione.
Ostacolo repubblicano
L’opposizione repubblicana ha reagito duramente a molti aspetti di questo programma. Come già fatto in occasione dell’approvazione al Congresso del piano di rilancio dell’economia, i leader repubblicani accusano Biden di voler far passare provvedimenti espansivi dello stato sociale mascherandoli da investimenti in infrastrutture. Effettivamente, se la componente “home care” del piano venisse approvata dal Congresso, si tratterebbe della maggiore espansione dell’assistenza ai beneficiari di cure a lungo termine dalla creazione di Medicaid nel 1965.
Almeno altri due elementi del piano di Biden contribuiscono a surriscaldare il clima politico. Il primo sono i ripetuti riferimenti al ruolo positivo dei sindacati, con il loro coinvolgimento nella realizzazione di vari progetti (la creazione di “union jobs” è ribadita in diversi punti del piano), sia per gli sforzi del presidente democratico di facilitare l’organizzazione sindacale dei lavoratori. Il secondo elemento che più polarizza il dibattito è l’intenzione di finanziare il piano con un aumento della tassazione sulle imprese e sugli individui che guadagnano più di 400 mila dollari l’anno. In particolare, Biden porterebbe l’aliquota pagata dalle imprese dal 21 per cento al 28 per cento, ribaltando parzialmente la riforma di Donald Trump che nel 2017 l’aveva abbassata dal 35 al 21 per cento.
Il presidente ha incontrato un gruppo di senatori per esplorare la possibilità di arrivare a un compromesso bipartisan. Una ipotesi è che il pacchetto venga diviso in due parti, una delle quali includerebbe solo le infrastrutture fisiche. Nel 2018, Trump aveva presentato un piano con obiettivi simili ed esiste un ampio consenso sulla necessità di interventi sostanziali sulle infrastrutture. Tuttavia, il piano di Trump prevedeva 1.500 miliardi di investimenti privati e solo 200 miliardi di finanziamenti federali. La nuova amministrazione, invece, non ha previsto la partecipazione di investitori privati nel programma, prediligendo la leva fiscale per il finanziamento.
Un’altra possibilità è che Biden proceda come con il Rescue Plan e cerchi di approvare il Jobs Plan con i voti dei soli democratici. Il presidente americano ha già chiaramente mostrato di voler attuare un’agenda politica progressista. Per l’American Families Plan, si discute per esempio di abbassare da 65 anni a 60 o 55 l’età a partire dalla quale si ha diritto alla copertura sanitaria pubblica di Medicare, cosa che espanderebbe la platea di beneficiari di oltre 20 milioni di persone. La scarsa, o nulla, disponibilità dei repubblicani a cercare il compromesso con i democratici potrebbe avere convinto Biden a sfruttare il controllo congiunto di presidenza e Congresso per promuovere un’agenda politica sì di parte, ma con benefici tangibili per molti, nella speranza che questo aumenti il consenso per il partito democratico nelle elezioni di Midterm del 2022.
L’enfasi dell’American Jobs Plan sullo sviluppo delle aree rurali, dove il sostegno per Trump è stato molto forte sia nel 2016 sia nel 2020, e sul “buy American” (il protezionismo sembra ormai godere di ampio consenso politico) possono interpretarsi in questo senso. Anche l’idea di finanziare il piano infrastrutture tramite la tassazione delle grandi imprese e dei ricchi gode di ampio supporto popolare.
Le basi teoriche della Bidenomics
Oltre a riflettere lo spostamento a sinistra della base democratica e l’accresciuta sensibilità alle tematiche di disuguaglianza e ambiente, la politica economica di Joe Biden (già battezzata Bidenomics) si appoggia su una solida ricerca economica recente. Per fare solo alcuni esempi: John Van Reenen ha rimarcato l’importanza di finanziamenti federali per la ricerca e lo sviluppo per favorire l’innovazione tecnologica e la crescita della produttività; Daron Acemoglu sostiene da tempo che i governi possano e debbano fare di più per indirizzare il progresso tecnologico verso applicazioni che facilitino la creazione di posti di lavoro di qualità;
Ioana Marinescu ha documentato che i disincentivi alla ricerca di lavoro di trasferimenti di denaro senza condizionalità tendono a essere limitati e controbilanciati da effetti positivi come la riduzione della criminalità e dell’uso di droghe (specialmente tra i giovani più svantaggiati); e Hilary Hoynes e Diane Schanzenbach hanno misurato importanti benefici privati e pubblici delle politiche di sostegno all’infanzia.
Certo, non si può pensare che, improvvisamente, i vincoli di spesa non esistano più (Alexandria Ocasio-Cortez ha invocato investimenti per diecimila miliardi), o che la tassazione più alta e il protezionismo non possano avere effetti negativi. Ma le iniziative della nuova amministrazione mettono in atto idee economiche nuove o trascurate per molto tempo. Sarà (come minimo) interessante osservarne (e studiarne) i risultati.