Tratto da lavoce.info
DI PAOLO BALDUZZI, ricercatore in Università Cattolica, dove insegna Scienza delle finanze ai corsi diurni e serali, triennali e magistrali.
Si è appena chiuso un Consiglio europeo ricco di temi: immigrazione, campagna vaccinale, rapporti con la Russia. Ma il vero banco di prova sarà a settembre perché una nuova ondata del virus può mettere a rischio la ripresa. Cosa fa l’Europa per evitarla?
Di cosa si è parlato a Bruxelles
Il 24 e 25 giugno si è tenuto a Bruxelles il Consiglio europeo. Quest’organo è composto dai capi di stato (o di governo) di tutti i paesi dell’Unione europea, dal presidente del Consiglio europeo (Charles Michel) e dal presidente della Commissione europea (Ursula von der Leyen).
Le riunioni non hanno alcuna funzione esecutiva, ma sono importantissime dal punto di vista diplomatico e di determinazione dell’agenda europea. In quest’occasione, i temi del primo giorno di lavori sono stati la valutazione delle politiche europee contro la pandemia, l’immigrazione e le relazioni esterne. Per quanto riguarda la lotta al Covid, dalle minute del Consiglio emergono un forte ottimismo e la volontà di coinvolgere anche i paesi più poveri all’esterno dell’Unione, in particolare quelli dell’area mediterranea, con la donazione di dosi gratuite di vaccino.
Strettamente collegati sono il tema delle migrazioni e quello delle relazioni esterne, in particolare con i paesi di origine e di transito delle rotte dei migranti.
Dal punto di vista economico, più ricco è stato invece il secondo giorno, in cui si è discusso dello state dell’arte sui Piani nazionali di ripresa e resilienza e sul processo di unione bancaria. Pochi veri progressi sul secondo argomento: permangono diverse perplessità, peraltro chiaramente esplicitate anche dal premier italiano Mario Draghi, per cui un accordo “è meglio che non ci sia se deve essere su termini per noi inaccettabili”. Molta retorica e poca sostanza, d’altra parte, c’è stata sul primo argomento. Con il rischio, anzi, che la messa in moto del processo di attribuzione dei fondi per la ripartenza ponga in secondo piano un’emergenza sanitaria ancora in atto.
Cosa fare entro settembre
Pur riconoscendo qualche preoccupazione per la diffusione di varianti, la posizione espressa in Consiglio dai leader degli stati membri è infatti di grande ottimismo. Da un certo punto di vista, ciò è utile perché solleva finalmente il morale di cittadini e attori economici. I recenti dati sulla fiducia di imprese e consumatori confermano che si tratta di un approccio corretto. Tuttavia, in questo modo si diffonde anche la sensazione che la pandemia sia ormai alle spalle. Ma a causa delle varianti e delle maggiori libertà concesse e pure a causa di una campagna vaccinale ancora lontana dall’assicurare una copertura adeguata, il virus continua a circolare. E vale la pena di ricordare che la scorsa estate, nonostante la totale assenza di vaccini, il clima (di ottimismo) non era stato molto diverso.
Il vero banco di prova sarà dunque settembre. Dove è necessario arrivare con una certa dose di realismo (alcune restrizioni saranno ancora necessarie) e più preparati dell’anno scorso. In particolare, sarà bene cominciare a pianificare una strategia per minimizzare le chiusure scolastiche. Per tutto l’anno ai giovani è stato raccontato che non potevano andare a scuola o non potevano uscire perché potenziali diffusori del virus. Ora, invece, gli si dice che, in fin dei conti, non è nemmeno tanto utile vaccinarsi perché, per la loro età, i rischi del vaccino superano quelli del virus. Una comunicazione che crea confusione nel migliore di casi e rabbia e frustrazione nel peggiore. Non solo le scuole meritano una pianificazione per tempo, anche le modalità per arrivarci (leggi mezzi di trasporto) devono essere adeguate. Su questo, almeno nelle grandi città, non sembrano essere stati fatti passi in avanti.
Serve una profonda riflessione anche sulle politiche di chiusura di alcune attività economiche: non è mai stato sufficientemente chiaro, per esempio, il criterio per cui alcuni hanno sempre lavorato e altri mai, nonostante il rispetto dei protocolli (ancora difficile da capire perché i ristoranti potevano essere aperti a mezzogiorno ma non la sera). Certo, la speranza è che non servano più, grazie all’effetto dei vaccini. Ma anche se paga poco elettoralmente, in politica è sempre meglio ragionare sullo scenario peggiore.
Sarebbe poi utile cominciare a pianificare – se dovesse risultare necessaria – una massiccia campagna vaccinale autunnale (la “terza dose”) che, ci si augura, possa partire subito e senza intoppi sulla base di quanto imparato finora.
I rischi per i paesi membri
Nonostante i segnali positivi, l’Europa non è stata ancora promossa all’esame del Covid. Sottovalutare i rischi di un ritorno aggressivo della pandemia e sopravvalutare le risposte date fino a questo momento potrebbe portare a tre grandi pericoli.
Il primo, che colpisce in particolare – ma non solo – l’Italia, è quello di restare soffocati da debiti pubblici troppo elevati nei prossimi anni. È un pericolo che si combatte in due modi. Da un lato, realizzando gli investimenti giusti e utili alla crescita economica ed evitando la tentazione di sperperare in spese elettorali la dote del Recovery Fund. Dall’altro, lo si combatte riformando il Patto di stabilità e crescita europeo per permettere anche in futuro politiche fiscali almeno selettivamente espansive (ad esempio, escludendo gli investimenti dal calcolo dei saldi di bilancio).
Il secondo pericolo è quello dell’inflazione, in crescita ma per il momento fortunatamente ancora sotto controllo.
L’ultimo è però il rischio peggiore: quello di farsi trovare impreparati all’esame di settembre, quando i nuovi assembramenti, il previsto ritorno alla normalità, l’abbassamento delle temperature metteranno alla prova le ricette europee. Una bocciatura potrebbe essere fatale, sia per l’economia sia per la coesione dell’Unione stessa.
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