Tratto da lavoce.info
di Marco Ventoruzzo, professore ordinario di diritto commerciale all’Università Bocconi e insegna anche presso la Pennsylvania State University Law School
La vicenda GameStop mostra come tecnologia e aspirazioni sociali e politiche rendano oggi possibile un nuovo e concreto livello di ingerenza sulle sorti delle imprese e dei mercati. E solleva serie domande su chi governa questi fenomeni: social e app.
Protagonisti e trama della vicenda
Negli ultimi giorni ha ricevuto grande eco sulla stampa finanziaria e non, ma la singolare vicenda GameStop merita attenzione anche oltre i tecnicismi dei mercati finanziari.
Cominciamo dagli attori in gioco. GameStop è una società americana, quotata alla borsa di New York, gestisce una catena di negozi per la vendita di videogiochi in tanti paesi (solo a Milano si contano diverse insegne) – con qualche forzatura è un modello originariamente simile a quello di Blockbuster per i film. È ora messa in difficoltà dal fatto che oggi i software per lo più si scaricano direttamente da internet. Ryan Cohen è un azionista di GameStop. Ad agosto aveva acquisito una partecipazione rilevante e da novembre ha iniziato una campagna “attivista” chiedendo alla società di investire nell’e-commerce. Ha ottenuto l’approvazione dei manager e degli investitori e, di conseguenza, un posto nel consiglio di amministrazione. Melvin Capital (e altri) è un fondo d’investimento che, davanti alle possibili difficoltà di GameStop, ha effettuato vendite allo scoperto (dette anche “short-selling”), ossia vendita di titoli presi a prestito con l’aspettativa di riacquistarli in seguito per consegnarli al prestatore. Si tratta della strategia di chi scommette sulla discesa dei prezzi di una società quotata. Reddit è un social di notizie, intrattenimento e discussione; si caratterizza per limitati filtri alle esternazioni degli utenti e pur mostrando una certa diversità ed eterogeneità di vedute, secondo alcuni, ha consentito la diffusione di posizioni particolarmente offensive o almeno controverse. Robinhood è una app per la negoziazione di titoli online da parte di investitori non professionali, caratterizzata da costi e commissioni molto basse o nulle.
La trama – semplificata – della storia è presto detta: dopo l’intervento di Ryan Cohen e un temporaneo aumento del corso delle azioni di GameStop, sono scesi in campo alcuni short-sellers che, scommettendo sulla discesa dei prezzi, hanno contribuito al peggioramento della quotazione. Gli short-sellers possono talvolta essere antipatici, in quanto speculatori al ribasso, ma svolgono un ruolo importante, seppur delicato, nel fornire informazioni e liquidità al mercato (ad esempio, hanno avuto un ruolo nel recente scandalo tedesco Wirecard).
Intanto, principalmente su Reddit, si sono sviluppate comunità e si sono diffusi messaggi volti a sostenere le quotazioni di GameStop. La reazione a catena era motivata e sostenuta non solo e non tanto da obiettivi finanziari, ma dal desiderio di una risposta “dal basso” a quella che veniva descritta come una speculazione di potenti finanzieri di Wall Street contro una piccola società, in una ricostruzione non priva di connotazioni populiste.
Sullo sfondo, vi è uno degli effetti collaterali della pandemia: la crescita nell’utilizzo di piattaforme di negoziazione a basso costo, compresa Robinhood, accessibili direttamente da utenti privati tramite app. Nei noiosi mesi di confinamento sanitario, non tutti si dedicavano a fare il pane e a guardare le serie Netflix, molti – soprattutto in America – preferivano giocare in borsa.
Tramite questi strumenti, un buon numero di persone, spesso a digiuno di finanza, raggiunte dal grido di battaglia lanciato sui social, hanno iniziato ad acquistare con gusto le azioni di GameStop. Ciò ha determinato un rialzo straordinario dei prezzi della società, nell’ordine del 3mila per cento, grande volatilità e volumi di scambio pari a circa il totale delle società tecnologiche, nonostante le ripetute sospensioni del titolo per eccesso di rialzo, talvolta decise dalle stesse piattaforme di negoziazione (Robinhood, per questa ragione, è oggetto di una class action di investitori che si ritengono danneggiati dal non aver potuto operare con continuità). Le perdite per gli short-sellers sono state pesantissime.
Il potere delle piazze virtuali
Sulla vicenda sono in corso indagini e contenziosi. Dal punto di vista più tecnico, la volatilità che si è creata comporta significativi rischi, e l’esito finale è ancora tutto da vedere. Di fronte al florilegio di comenti, battute, post, oltre a condotte più tradizionali, resta ad esempio da verificare se vi siano state condotte manipolative e, ovviamente, c’è il problema della tutela dei piccoli risparmiatori che si improvvisano dealer tramite piattaforme a basso costo.
Ma il punto più interessante e complesso della vicenda supera gli argini del diritto dei mercati finanziari per sollevare domande di grande attualità sul ruolo dei social media (qualcuno dice “anti-social”) nella diffusione delle idee; sul rapporto tra tecnologia e integrità dei mercati; sul confine tra istanze socio-politiche in senso lato e impresa; nonché su ruolo, funzione e persino significato simbolico delle società commerciali.
La vicenda di GameStop mostra ancora una volta l’enorme, e poco regolato, potere delle piazze virtuali anche sulla finanza e pone, in diversi termini, la questione se i social possano ritenersi responsabili dei contenuti diffusi dagli utenti, e se sì a quali condizioni. La novità più eclatante, tuttavia – sebbene non siano mancati precedenti meno estremi – sta nel fatto che l’attivismo dei piccoli risparmiatori, in grado qui di contrastare sofisticati hedge funds, è stato ispirato soprattutto dal desiderio di “dare una lezione” a soggetti percepiti come speculatori dei poteri forti, nella tipica – quanto spesso malintesa – tradizione americana di Main Street contro Wall Street.
Si tratta di un diverso capitolo che però s’inserisce nel rinnovato interesse per il ruolo e l’impatto sociale di imprese e finanza. Un’attenzione che porta a utilizzare strumenti diversi per suggerire, imporre, sanzionare, richiedere condotte a manager, amministratori e investitori professionali. In fondo, azioni giudiziarie basate sull’impatto borsistico di comportamenti socialmente discutibili ancorché di per sé non vietati, proposte in assemblea, scelte di investimento coerenti con determinate finalità extra-economiche, impegni più o meno vincolanti del management a tener conto di interessi diffusi, discussioni sul ruolo delle maggiori società nel finanziare la politica: tutto ciò rientra nella sempre maggiore consapevolezza del grande pubblico che la società azionaria è l’attore non solo economico, ma anche sociale e politico forse più importante della modernità e che le battaglie di idee devono coinvolgere direttamente le imprese, spesso prima e più che la politica. Un fenomeno facilitato da strumenti tecnologici che riducono costi di transazione e difficoltà di coordinamento di soggetti dispersi, ma amplificano asimmetrie informative. Se i cosiddetti “diritti fondamentali” sono spesso in primo piano, i rapporti tra social, finanza e diritto societario, potenziali veicoli di irrazionalità se non di piccole o grandi bolle, pongono problemi inediti che richiedono una messa a punto degli strumenti giuridici tradizionali.
I titoli Gamestop paiono oggi cominciare a scendere. Tra qualche mese la vicenda potrebbe rivelarsi una tragedia, una commedia o un meno emozionante documentario. Resterà, però, un vivido esempio di come tecnologia e pulsioni socio-politiche consentono un nuovo livello di ingerenza, anche molto concreto, sul governo e le sorti delle imprese e dei mercati e sui corsi di borsa; un’ingerenza non solo motivata da finalità economico-finanziarie, ma spesso confusa, suscettibile al tumulto delle folle, che accanto a un discutibile sapore democratico solleva rischi nuovi per quelle stesse folle, moderate e governate dai nuovi, non democraticamente eletti e poco controllati o controllabili, gatekeepers dell’informazione: i social e le app.