Tratto da lavoce.info
DI FEDERICO PONTONI, program director presso FEEM e research fellow presso GREEN
E ANTONIO SILEO, direttore dell’Osservatorio sull’innovazione energetica dell’Istituto per la Competitività (I-Com) e fellow presso GREEN dell’Università Bocconi
L’ultimo bando del Gestore dei servizi energetici per destinare incentivi alle centrali elettriche green è andato quasi deserto. Colpa delle procedure, ancora troppo lunghe e complesse, e dei molti ostacoli istituzionali che scoraggiano gli investitori.
Tra i tanti incentivi, sgravi, sussidi e bonus di ogni tipo ce n’è qualcuno che sta segnando il passo. Gli incentivi a sostegno degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di piccola, media e grande taglia.
Una situazione che ha del paradossale, considerando che la penetrazione delle fonti energetiche rinnovabili (Fer) nella generazione elettrica è l’architrave del sempre più grande progetto di transizione energetica che tanto impegna i decisori politici, a cominciare da quelli in forza a Bruxelles (seguendo il principio che più elettricità verde consente di avere più elettricità nei consumi finali e, quindi, consumi energetici sempre più decarbonizzati).
Una prima spiegazione di questo rallentamento è data dal contesto in cui è nata l’attuale forma di incentivazione, il decreto ministeriale del 4 luglio 2019. Questo decreto è stato redatto solo in parte in continuità con i precedenti di giugno 2012 e luglio 2016: infatti, pur ereditandone la struttura, il decreto del 2019 ha certamente ridotto la generosità dei decreti precedenti.
Del resto, all’epoca, i dati di monitoraggio del Gse (Gestore dei servizi energetici), che eroga gli incentivi, certificavano risultati fin troppo lusinghieri per le prime ondate di incentivazione, sia ai fini dell’obiettivo complessivo di contributo delle rinnovabili ai consumi energetici finali sia per l’apporto delle Fer nel solo settore elettrico. A fine 2019, il primo obiettivo era stato superato del 3 per cento, il secondo dell’8 per cento.
Un imbuto stretto…
Da qui, l’introduzione di un meccanismo di incentivazione selettivo con graduatorie e procedure concorsuali che definisce ex ante la quantità massima di capacità da incentivare, rilasciata gradualmente e in massima parte con procedure d’asta e in linea con i nuovi obiettivi al 2030. I progetti di impianti rinnovabili che possono accedere all’asta e sperare di ottenere gli incentivi sono divisi in quattro gruppi, in base alla tipologia, alla fonte energetica e alla categoria di intervento:
Gruppo A – eolici “on-shore” di nuova costruzione, integrale ricostruzione, riattivazione o potenziamento e fotovoltaici di nuova costruzione;
Gruppo A2 – impianti fotovoltaici di nuova costruzione, i cui moduli sono installati in sostituzione di coperture di edifici e fabbricati rurali su cui è operata la completa rimozione dell’eternit o dell’amianto;
Gruppo B – idroelettrici di nuova costruzione, integrale ricostruzione (esclusi gli impianti su acquedotto), riattivazione o potenziamento e a gas residuati dei processi di depurazione di nuova costruzione;
Gruppo C – impianti oggetto di rifacimento totale o parziale: eolici “on-shore”, idroelettrici e a gas residuati dei processi di depurazione.
Sono invece due le modalità di accesso agli incentivi e dipendono dalla potenza dell’impianto proposto e dal gruppo individuato più sopra:
iscrizione ai registri, per impianti con potenza superiore a 1 kW (20 kW per i fotovoltaici) e inferiore a 1 MW che appartengono ai Gruppi A, A2, B e C. In questo caso, l’assegnazione dell’incentivo avviene sulla base di specifici criteri di priorità;
partecipazione a procedure d’asta, per impianti di potenza superiore o uguale a 1 MW che appartengono ai Gruppi A, B e C. In questo caso, l’incentivo è assegnato con un’asta di capacità, basata sul criterio del massimo ribasso offerto sul livello d’incentivo messo a base d’asta.
Giova sottolineare che, in caso di interventi di potenziamento, per tutte le tipologie di fonte, la potenza da considerare corrisponde all’incremento di potenza a seguito dell’intervento. Dall’entrata in vigore ad oggi, ci sono già state cinque gare delle sette previste dal decreto. Ebbene, neanche il primo dei cinque bandi ha assegnato l’intero contingente di potenza disponibile, e gli altri quattro sono andati in decrescendo, con le liste dei progetti che dei progetti idonei ad essere incentivati che sono andate via via assottigliandosi.
Fonte: elaborazione su graduatorie Gse, 2021
In particolare, per gli impianti del Gruppo A delle aste si è scesi dal 100 per cento della potenza disponibile all’85, poi al 40,5, in seguito al 24 e fino a solo l’1,6 per cento con il quinto bando. Così d’improvviso, sulla nuova o rinnovata potenza istallata in meno di due anni, da performance fin troppo lusinghiere, stiamo scivolando nelle retrovie.
…e poco alimentato
La crescente inefficacia dell’attuale sistema di incentivazione non è data soltanto dalla complessità e dalle contingenze del meccanismo di partecipazione ma, ancor prima, dalla mancanza di progetti da proporre: questo perché, per partecipare alla gara o per iscriversi al registro, il concorrente deve presentare un progetto già autorizzato. Quindi non si può presentare l’offerta su un’idea di impianto che non ha ancora ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie.
Come confermato da molti investitori, sta diventando sempre più difficile ottenere le autorizzazioni. Questa è una situazione grave, ripetutamente denunciata dalle associazioni di categoria dei produttori di energia, che dilata le tempistiche, scoraggia gli investitori ed è motore d’incertezza, ma che evidentemente non è di semplice soluzione.
Tra i maggiori accusati di osteggiare pregiudizialmente gli impianti da fonti rinnovabili – che pure, come tutte le attività antropiche, non possono non avere impatti sull’ambiente – vi è il ministero della Cultura (Mic, nuova denominazione del Mibact dall’8 marzo 2021) e le sue soprintendenze. I pareri negativi, espressi nell’ambito dei procedimenti di autorizzazione, abbondano così come le motivazioni anche fantasiose addotte, spesso anche in assenza di vincoli paesaggistici, archeologici o urbanistici sulle aree interessate. Pareri negativi che a volte sono rilasciati anche a interventi di ripotenziamento e che non risparmiano gli sforzi significativi dei proponenti di ridurre la potenza installata e lo spazio occupato dagli impianti.
Come arginare i frenatori?
Fermo restando la complessità, che anche il recente e attesissimo decreto “semplificazioni” non pare risolvere, vorremmo portare l’attenzione su una variabile cruciale: il tempo. Nell’esempio in questione ricordiamo che in numerosi casi le regioni, ritenendo il parere negativo espresso dal Mic non ragionevolmente fondato, hanno autorizzato comunque i progetti nella Conferenza di servizi. Come facilmente immaginabile, ogni autorizzazione rilasciata a fronte di parere negativo del Mic ha innescato il procedimento oppositivo dello stesso ministero. Che infatti, ai sensi dell’art. 14-quinquies della legge 241 del 1990, ha facoltà di proporre opposizione dinanzi al presidente del Consiglio dei ministri avverso la determinazione motivata di conclusione della conferenza, purché abbia espresso in modo inequivoco il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori.
Ben coscienti dell’effetto del parere negativo, gli sviluppatori e i finanziatori si guardano bene dall’immobilizzare del capitale, che rischia di ammuffire nell’attesa della risoluzione delle controversie fra i diversi organi pubblici.
Questo incartamento amministrativo può e deve essere risolto, prevedendo una tempistica rapida e inderogabile per il pronunciamento della presidenza del Consiglio o, senza modifiche normative, almeno con un maggior attivismo di quest’ultima. Visti gli obiettivi di decarbonizzazione che il paese si è dato al 2030 e 2050 ma soprattutto visti gli effetti sempre più evidenti dei cambiamenti climatici, un cambio di passo amministrativo è proprio il minimo.
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