Tratto da lavoce.info
di Francesco Decarolis, professore Associato all’Università Bocconi
e Alberto Heimler, Alberto Heimler insegna metodi di valutazione economica alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione
Il Codice degli appalti pubblici non va sospeso. Bisogna però intervenire su alcune previsioni contrarie al perseguimento dell’efficienza, responsabili dei tempi lunghi delle gare. E allo stesso tempo va rivisto anche il regime del danno erariale.
Regole nazionali sugli appalti
L’obiettivo del diritto comunitario è garantire la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone nell’Unione europea, rimuovendo le restrizioni di natura regolamentare agli scambi tra stati membri. Per quanto riguarda gli appalti pubblici, le direttive comunitarie si occupano solo della fase dell’aggiudicazione (perché altrimenti le procedure potrebbero essere strategicamente volte a favorire le imprese localizzate nello stato membro che bandisce la gara), lasciando alle norme nazionali l’ugualmente fondamentale compito di stabilire le modalità attraverso le quali pianificarli, eseguirli e controllarli.
Il suggerimento di sospendere temporaneamente l’applicazione del Codice dei contratti pubblici, come l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha di recente proposto – sia pure solo per gli appalti previsti per la realizzazione degli obiettivi perseguiti dai fondi europei del Next Generation EU – e di sostituirlo con le direttive europee del 2014 in materia di gare pubbliche non è praticabile per le incertezze amministrative che ne deriverebbero.
Meglio sarebbe intervenire su alcune previsioni del Codice effettivamente contrarie al perseguimento dell’efficienza e che impediscono all’amministrazione di conseguire valore in cambio di denaro.
Dove intervenire
La gestione del subappalto è oggi irrigidita da numerosi controlli volti a evitare il rischio di corruzione e di infiltrazioni mafiose per cui già in sede di gara l’impresa deve dichiarare i nomi dei subappaltatori e in ogni caso non le è consentito subappaltare più del 30 per cento del valore dell’appalto (elevato temporaneamente al 40 per cento dalla legge “sblocca cantieri”). Entrambe le previsioni sono in contrasto con il diritto comunitario (procedura di infrazione n. 2018/227), che le valuta in relazione all’impatto negativo che esercitano sulla libertà di iniziativa economica.
Il rischio di infiltrazioni mafiose non è però una semplice eventualità in Italia, pertanto non è auspicabile una totale eliminazione dei controlli.
Al posto delle norme generali attualmente in vigore, si potrebbero introdurre limiti ai subappalti differenziati tra regioni oppure legati alle procedure di aggiudicazione, ad esempio limiti meno stringenti quando le aggiudicazioni sono plausibilmente competitive, in quanto basate su procedure ordinarie, e limiti più rigorosi quando i margini negoziali aumentano.
Occorre anche eliminare il limite massimo di 30 punti su 100 da assegnare alle condizioni economiche dell’offerta e il corrispondente limite minimo di 70 punti per la valutazione delle caratteristiche tecniche. Questi limiti sono stati erroneamente introdotti pensando di obbligare le amministrazioni a dare un peso rilevante alla valutazione della qualità, senza però considerare che non sempre è possibile. In molte gare, assegnare 70 punti agli aspetti qualitativi è esagerato rispetto alle effettive caratteristiche del prodotto o servizio da acquistare, conducendo le amministrazioni a “inventarsi” criteri qualitativi per raggiungere gli obbligatori 70 punti, magari finendo poi per avvantaggiare ingiustificatamente qualcuno che “casualmente” si trova a poter soddisfare quei criteri. Una più ampia flessibilità da questo punto di vista, inclusa una maggior libertà nella scelta tra gare al minimo prezzo e gare sulla base dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sarebbe certamente preferibile.
Andrebbe poi reintrodotta la possibilità di ricorrere all’appalto integrato, impostando le gare sulla base del progetto definitivo, sia pure limitatamente ai casi di appalti particolarmente complessi o innovativi, dove l’amministrazione non potrebbe produrre progetti esecutivi, se non con significativi aggravi di costo.
Tra le riforme che meriterebbero un rapido intervento legislativo c’è il superamento dell’obbligo di rotazione negli inviti e nelle aggiudicazioni, che si scontra in modo lampante con quello che il Codice dovrebbe invece assicurare, ovvero allineare gli incentivi dell’impresa aggiudicatrice a quelli della stazione appaltante e promuovere così un’esecuzione contrattuale di elevata qualità. Se l’aggiudicatario sa che non potrà essere reinvitato alla gara, farà il meno possibile, con evidenti danni per l’amministrazione acquirente.
Classificazione delle stazioni appaltanti e rating delle aziende
È opportuno dare attuazione agli articoli del codice che prevedono l’identificazione di criteri per pervenire a una generalizzata classificazione delle amministrazioni pubbliche in relazione al grado di complessità degli appalti che sono autorizzate a gestire. L’esperienza pregressa indica che Consip e, più in generale, l’impiego di centrali di committenza producono benefici sostanziali sugli acquisti pubblici. Tuttavia, preoccupa oggi il proliferare di centrali di committenza che si dotano di piattaforme informatiche diverse e tra loro non comunicanti, rendendo quindi uno dei pilastri della riforma della Pa – la digitalizzazione – una fonte di barriere all’ingresso più che di apertura del mercato e di semplificazione delle procedure.
La qualificazione delle stazioni appaltanti andrebbe necessariamente accompagnata da una parallela classificazione dei fornitori, così da poter escludere quelli particolarmente poco attenti alla qualità e al rispetto delle clausole contrattuali. Il Codice già prevede il sistema del rating d’impresa, sia pure limitatamente ad alcuni aspetti, quali il rispetto dei tempi di consegna e dei costi pattuiti in sede di gara, il mancato ricorso al soccorso istruttorio e l’assenza di litigiosità.
Questi elementi, all’apparenza ragionevoli, sono in realtà problematici e sono uno dei motivi per cui l’introduzione del sistema di rating non è ancora avvenuta. Meglio sarebbe valutare parametri specifici delle singole tipologie contrattuali, idonei a misurare la soddisfazione delle stazioni appaltanti come elemento principale di valutazione dell’operato delle imprese. Un rating d’impresa inferiore a un determinato punteggio dovrebbe comportare l’esclusione dalle gare.
Questo tipo di sistema ben si presta al tipo di monitoraggio dettagliato della performance dei fornitori, che dovrebbe essere uno degli aspetti innovativi che la digitalizzazione può introdurre nel settore appalti. Lascia ben sperare l’esperienza dei paesi anglosassoni che già da metà degli anni Novanta hanno rivisto con successo i loro sistemi di appalti pubblici alla luce dell’impiego sistematico di meccanismi di rating dei fornitori come caposaldo della scelta dei contraenti privati. Da quelle esperienze, tuttavia, è fondamentale apprendere come riforme così radicali necessitino di una introduzione graduale e in via sperimentale per poter disegnare bene – attraverso regolamenti emanati dall’autorità di settore – quei dettagli che definiscono in modo cruciale la “messa a terra” della riforma, garantendone il successo.
Rivedere le regole sul danno erariale
Infine, occorre intervenire per garantire la conclusione delle gare in tempi rapidi. Una delle cause dei ritardi è il fatto che le procedure di appalto vengono sospese in autotutela. In particolare, a seguito dell’impugnazione di fronte al giudice di una procedura da parte di un concorrente ingiustificatamente escluso, sospendendo l’aggiudicazione, i responsabili dei procedimenti evitano l’eventuale pagamento dei danni erariali. Se poi il giudice, nel giudizio di merito, effettivamente annullasse la procedura sospesa in autotutela, l’amministrazione ne bandirebbe un’altra, ma non ci sarebbe alcun danno da risarcire da parte del responsabile.
Se, come suggerisce l’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella sua segnalazione dello scorso marzo, in presenza di un’impugnazione da parte di un concorrente ingiustificatamente escluso, il danno erariale fosse configurabile solo nel caso di dolo, non ci sarebbe ragione di sospendere la gara in autotutela e nel giudizio di merito il concorrente avrebbe semplicemente diritto a un risarcimento del danno che verrebbe sostenuto dall’amministrazione appaltante, ma che non potrebbe essere ribaltato sul funzionario responsabile. Ciò implica che funzionari incapaci verrebbero puniti in termini di mancate progressioni di carriera, senza chiedere loro di sostenere le spese associate ai loro errori.
È pertanto essenziale che le riforme del Codice appalti e del regime del danno erariale procedano insieme, disegnando un quadro di incentivi per gli amministratori pubblici coerente con l’obiettivo di velocizzare la realizzazione delle opere.