Tratto da lavoce.info
di Enrico Di Pasquale, ricercatore della Fondazione Leone Moressa
e Chiara Tronchin, ricercatrice della Fondazione Leone Moressa
La crisi legata alla pandemia di Covid-19 ha aumentato le diseguaglianze, generando nuove povertà e discriminazioni. Tra i più colpiti ci sono i lavoratori immigrati perché spesso più vulnerabili e in una situazione socio-economica peggiore dei nativi.
Effetti della crisi
L’emergenza legata alla pandemia di Covid-19 ha un impatto devastante su molti ambiti della vita quotidiana, a partire dalla salute dei cittadini e dall’aumento della mortalità. Anche a livello economico e sociale gli effetti sono stati inimmaginabili: le misure di prevenzione del contagio hanno messo in seria difficoltà interi settori e filiere come il turismo, la ristorazione, i trasporti, l’industria dello spettacolo, lo sport.
Uno degli effetti immediati della pandemia è stata la riduzione della mobilità internazionale. Secondo l’Ocse, nella prima metà del 2020 si è registrato un calo del 46 per cento nel numero di permessi di soggiorno rilasciati rispetto allo stesso periodo del 2019, con un picco del 72 per cento tra aprile e giugno.
Sebbene non se ne parli molto, forse perché riguarda una categoria spesso considerata “esterna” a noi (nella tipica classificazione “noi” e “loro”), gli immigrati sono per varie ragioni tra i più esposti alla crisi.
La prima ragione sta nella situazione socio-economica, spesso peggiore rispetto a quella della popolazione autoctona. L’Istituto superiore di sanità (Iss) sottolinea che “la pandemia di Covid-19 ha portato con sé vari problemi aggiuntivi o ha aggravato condizioni di vita già difficili per le popolazioni migranti”. Infatti, secondo un report Istat pubblicato nel dicembre 2020 e riferito ai dati 2019, “i componenti delle famiglie con almeno un cittadino straniero presentano un rischio di povertà o esclusione sociale sensibilmente più elevato (38,1 per cento) rispetto a chi vive in famiglie di soli italiani (24 per cento). Il divario è ancora accentuato sia per il rischio di povertà (31,3 contro 18,7 per cento per le famiglie di soli italiani) che per la grave deprivazione materiale (13,4 contro 6,6 per cento).
Oltre a questo, esistono altri fattori che rendono le popolazioni migranti mediamente più vulnerabili. Come riportato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), ad esempio, gli immigrati: vivono generalmente in abitazioni affollate o in condizioni non ottimali; subiscono una limitazione nell’idoneità o nell’accesso ai servizi (incluse le cure mediche); hanno un minore accesso alle informazioni (incluse quelle sanitarie) a causa di barriere linguistico-culturali.
Naturalmente la condizione di irregolarità, ancora molto diffusa anche nel nostro paese, aumenta la marginalizzazione sociale, la scarsa prevenzione e il sovraffollamento, tutti fattori che determinano la vulnerabilità. Tra le varie misure messe in campo in Italia, significativa è stata la procedura di emersione degli stranieri irregolari (Dl 34/2020, decreto “Rilancio”, art. 103): le oltre 200 mila domande pervenute hanno in qualche modo modificato la struttura stessa della popolazione straniera censita in Italia.
A livello economico, in tutta l’area Ocse la disoccupazione è aumentata più tra gli immigrati che tra i nativi. Considerando la maggiore precarietà e la minore anzianità lavorativa, sono più a rischio di perdere il lavoro. Questo vale anche laddove, come in Italia, i programmi di mantenimento del lavoro hanno attenuato l’impatto immediato della crisi: gli immigrati sono infatti più frequentemente impiegati con contratti a tempo determinato, per cui non sempre sono protetti dal blocco dei licenziamenti.
Inoltre, potendo contare su una minore rete di contatti e conoscenze, è per loro più difficile rientrare nel mercato.
Non va poi dimenticato che l’emergenza ha coinvolto molti settori in cui sono particolarmente rilevanti la componente stagionale e quella straniera, come il turismo o l’agricoltura.
Per l’Italia, questo si evidenzia osservando i tassi di occupazione dei primi tre trimestri 2020: rispetto allo stesso periodo del 2019, gli stranieri hanno perso 5,5 punti nel secondo e 4,3 punti nel terzo trimestre, mentre tra gli italiani la perdita è stata più contenuta.
Conseguenze delle scuole chiuse
Anche la chiusura delle scuole rischia di avere un impatto più doloroso per gli immigrati. Se già in condizioni normali esiste un gap tra alunni autoctoni e alunni stranieri (senza considerare la distinzione tra stranieri di prima o seconda generazione), la didattica a distanza ha indubbiamente ampliato il divario. Questo strumento, infatti, penalizza evidentemente gli alunni che non possiedono un computer, una connessione a Internet veloce, un luogo tranquillo dove studiare, una rete familiare in grado di assisterli nei compiti: tutti elementi in cui, mediamente, i figli degli immigrati sono sfavoriti.
Allo stesso modo, corsi di formazione e aggiornamento per i lavoratori risultano più facilmente accessibili per chi abbia condizioni di partenza migliori (conoscenze, risorse, accesso alla rete).
In definitiva, sebbene per un’analisi approfondita sia necessario attendere i dati 2020 definitivi, queste riflessioni sono sufficienti per affermare che la crisi legata alla pandemia di Covid-19 ha aumentato le diseguaglianze, generando nuove povertà e discriminazioni.
Non va poi sottovalutato l’aspetto psicologico: la crisi rischia di esacerbare il malessere sociale della popolazione. Il rischio è che gli immigrati vengano additati come portatori del virus e quindi discriminati, come in parte successo nella prima fase della diffusione del virus verso la comunità cinese.
Le strategie per la ripresa post-Covid dovranno tenere conto anche di questo, intervenendo per alleggerire il divario sociale ed economico presente già prima dell’emergenza e ulteriormente aggravatosi nell’ultimo anno.