Tratto da lavoce.info
di Paolo Figini, professore Associato di Politica Economica presso il Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Bologna
Il turismo ha un valore strategico per l’economia italiana. In attesa dei turisti stranieri e del passaporto vaccinale, è utile capire l’impatto della pandemia sul reddito generato dal settore. I numeri, preoccupanti, danno indicazioni sul futuro.
Gli effetti del coronavirus sul settore
Per fare turismo bisogna avere tempo libero, reddito e libertà di movimento. Non è quindi sorprendente che sia stata una delle attività più colpite dalla pandemia, durante il lockdown della scorsa primavera e, in misura parziale nei mesi successivi, a causa delle tante restrizioni alla mobilità. Più in generale, la crisi economica generata dal Covid-19 ha ridotto la disponibilità di reddito e aumentato l’incertezza sul futuro, entrambi fattori che influiscono negativamente sulla predisposizione a viaggiare.
I primi dati a consuntivo del 2020 permettono di valutare l’impatto della pandemia sul reddito prodotto dal settore turistico, e i numeri sono impietosi.
In un documento pubblicato a maggio del 2020, l’Organizzazione mondiale del turismo già aveva stimato una caduta tra il 60 e l’80 per cento degli arrivi internazionali a livello globale rispetto al 2019. I dati provvisori oggi disponibili indicano che nel mondo alla fine del 2020 gli arrivi internazionali sono diminuiti del 73 per cento. In Italia le cose sono andate leggermente meglio e la diminuzione degli arrivi internazionali si è fermata al 61 per cento. Bisogna poi aggiungere la componente di turismo domestico, cioè quella degli italiani che viaggiano in Italia. La diminuzione in questo caso è attorno al 40 per cento (i dati provvisori dell’Istat, che escludono i viaggi giornalieri, indicano -44 per cento negli arrivi e -36 per cento nel numero complessivo dei pernottamenti, che prende in considerazione anche la durata del viaggio).
La diminuzione significa meno spesa e di conseguenza meno Pil. Calcolare il valore della perdita non è semplice in quanto il turismo è un settore composito e non compare esplicitamente nella contabilità nazionale.
Per cercare la risposta dobbiamo utilizzare i Conti satellite del turismo, lo strumento utilizzato dagli uffici nazionali di statistica per misurare il contributo economico di questo specifico settore. Incrociando i conti italiani prodotti dall’Istat con le tabelle input-output del nostro paese siamo in grado di valutare la bontà delle prime stime nella scorsa estate. E siamo molto vicini allo scenario peggiore.
Partiamo dalla diminuzione registrata negli arrivi internazionali (-61 per cento) e in quella stimata negli arrivi domestici (-40 per cento). Utilizzando la procedura qui descritta possiamo calcolare la diminuzione della spesa turistica e quindi del valore aggiunto generato dal turismo. L’impatto diretto dovuto alla pandemia è pari a 52,1 miliardi (il 2,9 per cento del Pil 2019), valore che arriva a 90,2 miliardi se aggiungiamo anche la perdita di tutto l’indotto del settore turistico. Focalizzandoci sull’impatto diretto, vediamo che il turismo contribuisce quindi al 37 per cento della perdita totale del Pil italiano (che nel 2020 è sceso di 139 miliardi, il 7,8 per cento rispetto al 2019).
Troppo? Forse, e per due motivi: il primo è che le stime si basano su ipotesi di prezzi fissi e di spesa individuale costante, mentre è molto probabile che il 2020 abbia fatto registrare una deflazione nei prezzi turistici e una minore propensione alla spesa dei turisti.
Il secondo motivo è che i dati di cui disponiamo per il 2020 sono relativi ai soli arrivi nelle strutture commerciali (alberghiere ed extra-alberghiere), mentre i conti satellite del turismo includono anche il turismo delle seconde case e delle visite a familiari e amici. Sappiamo che proprio quest’ultima è una delle tendenze degli ultimi mesi (soprattutto per la componente di turismo domestico), come certifica anche l’Istat.
Quale futuro per il turismo
Le stime cercano quindi di correggere i due fattori, ipotizzando che la spesa del turista sia diminuita mediamente del 10 per cento rispetto al valore pre-pandemia e che il turismo domestico sia in realtà diminuito solo del 30 per cento (e non del 40 per cento) per un parziale trasferimento dei flussi turistici dalle strutture commerciali alle seconde case.
I numeri migliorano, ma non molto. L’impatto diretto mostra una perdita di 41,6 miliardi, il 2,3 per cento del Pil 2019, cioè il 29 per cento della perdita totale del Pil registrata dall’anno precedente.
Che siano 40 o 50 i miliardi persi dal settore, ciò che è emblematico è che il reddito generato dal turismo si è praticamente dimezzato. In termini relativi, il turismo spiega così circa un terzo del crollo complessivo del Pil, perdendo molto di più del suo contributo relativo al reddito nazionale (che, prima della pandemia, era attorno al 6 per cento).
Certamente, il turismo si riprenderà. La voglia di viaggiare, il graduale miglioramento della copertura vaccinale e le nuove forme di turismo che si stanno imponendo (riscoperta di destinazioni periferiche, attività di smart working svolte da località turistiche e così via) permetteranno al settore di risollevarsi, e in fretta. La politica, però, deve fare un cambio di passo e decidere se vuole assecondare il cambiamento, promuovendo e finanziando investimenti improntati alla sostenibilità ambientale e alla responsabilità sociale o se, al contrario, i sussidi pubblici debbano servire solo a mettere una toppa in attesa di tornare ai fasti degli anni scorsi. E se quel turismo non c’è più, perché i modelli di vacanza stanno cambiando velocemente, saranno altri soldi sprecati.