Tratto da lavoce.info
di Antonio Angelino, lavora presso l’Ufficio Studi Economici di Cerved Group
Fabrizio Balda, lavora presso l’ufficio Sistemi di rating e modelli quantitativi di Cerved Group
e Daniele Emiliani, lavora presso l’Ufficio Studi Economici di Cerved Group
Nel 2019 le Pmi italiane non avevano ancora recuperato i livelli di marginalità del 2007, pur migliorando negli indici di patrimonializzazione e solidità finanziaria. Poi è arrivata la crisi da pandemia. Con gravi conseguenze, specie in alcuni settori.
Lo stato di salute delle Pmi
I dati che emergono dai bilanci delle piccole e medie imprese italiane prima dello shock Covid-19 possono essere letti secondo una duplice prospettiva: da un lato, le Pmi italiane arrivano di fronte all’emergenza sanitaria dopo un decennio caratterizzato da una ripresa lenta e incompiuta, che ha consentito di recuperare soltanto parzialmente i livelli dei conti economici pre-crisi. Dall’altro, tutti gli indici di sostenibilità finanziaria registrano un forte miglioramento, che rende il nostro sistema economico meno vulnerabile rispetto alle due crisi precedenti.
È quanto emerge dal Rapporto Cerved Pmi 2020, che quest’anno oltre a fotografare l’andamento dei bilanci, della demografia e delle abitudini di pagamento delle Pmi italiane, fornisce anche previsioni sugli impatti della crisi sul sistema.
In base ai dati, soltanto nel 2019 i ricavi reali delle Pmi hanno colmato il gap con il 2007 (+2 per cento), mentre la redditività lorda è ancora stagnante con un margine operativo bloccato sugli stessi livelli del 2013, distante di oltre 19 punti percentuali dalle condizioni antecedenti la crisi dei subprime.
Se il recupero delle performance appare lento, più rapido è stato invece il processo di patrimonializzazione delle Pmi che, insieme al minor peso dei debiti finanziari e ai bassi tassi di interesse, ha contribuito a rafforzare come mai prima la sostenibilità dell’indebitamento delle aziende. Rispetto al 2007, infatti, il leverage delle Pmi risulta quasi dimezzato (dal 115,5 al 61,2 per cento) e gli oneri finanziari esercitano meno pressione sulle marginalità (dal 22,9 al 12,8 per cento).
L’impatto del Covid-19
La diffusione su scala globale dell’emergenza sanitaria ha prodotto e continuerà a produrre conseguenze economiche senza precedenti. La crisi generata dalla pandemia mostra tratti unici e peculiari, legati alla chiusura forzata delle attività, alla riduzione della mobilità delle persone, all’attuazione delle norme di distanziamento sociale, ai massicci interventi pubblici in ambito monetario e fiscale e, non ultimo, ai cambiamenti indotti dal nuovo contesto nei comportamenti di persone e imprese (maggiore utilizzo di servizi digitali, smartworking e così via).
Per analizzare l’impatto dello shock sul sistema imprenditoriale italiano, Cerved ha elaborato modelli previsionali che consentono di simulare l’evoluzione dei bilanci monitorando gli impatti dell’emergenza sanitaria su oltre 500 settori e tenendo conto di molteplici fattori di differenziazione (provvedimenti di lockdown ed effettiva operatività delle imprese, effetti sulla domanda e sull’offerta del distanziamento sociale, della ridotta mobilità, dell’emergenza sanitaria, degli interventi pubblici, del commercio internazionale).
Nel complesso, per il 2020 si prevede che le Pmi italiane registrino una riduzione dei fatturati nell’ordine dell’11 per cento. Di fronte all’emergenza e ai mancati ricavi, le imprese ridurranno i costi operativi ma questo non basterà a evitare una nuova caduta della redditività lorda, attesa in contrazione del 19 per cento. Anche la redditività netta è prevista in forte calo, con il Roe che passerà dal 10,8 al 6,6 per cento. Dal punto di vista della solidità patrimoniale, il livello di resilienza acquisito dalle Pmi negli ultimi anni renderà mediamente sostenibili gli indici di solidità finanziaria, attesi in deterioramento, ma a distanza di sicurezza dai livelli del 2007.
Per sua natura, la crisi avrà un’intensità asimmetrica sui diversi settori della nostra economia, con effetti più gravi sulle attività più esposte al lockdown e alle restrizioni. In base alle stime, sono circa 20 mila (il 12 per cento del totale) le Pmi che subiranno una perdita dei ricavi superiore al 25 per cento, facendo registrare mediamente un calo del Mol del 48 per cento. I settori più colpiti in termini di contrazione del fatturato sono le agenzie di viaggio (-51,3 per cento) e gli alberghi (-47,1 per cento), ma l’impatto della crisi sarà molto forte anche nei trasporti aerei (-50,8 per cento) e nella ristorazione (-33,8 per cento). Viceversa, un ristretto gruppo di settori potrebbe beneficiare dei cambiamenti indotti dalla pandemia nelle abitudini di consumatori e imprese. Tra questi figurano il commercio online (+23,8 per cento) e i tessuti tecnici e industriali 11,3 per cento).
I mancati pagamenti
La compromissione di una parte consistente del giro di affari delle Pmi ha avuto effetti, tra la prima e la seconda parte del 2020, anche sul credit management e sulla gestione della liquidità aziendale: i mancati pagamenti, ovvero il valore delle fatture non saldate su quelle in scadenza o scadute, sono aumentati vertiginosamente, sfiorando il 45 per cento a maggio e superando addirittura il 70 per cento per le 20 mila imprese per cui è prevista una contrazione dei ricavi oltre il 25 per cento. In alcuni settori, soprattutto della filiera turistica, la condizione appare ancora più allarmante: le agenzie di viaggio, ad esempio, a settembre mostrano un’incidenza di mancati pagamenti ancora superiore all’80 per cento.
Gli effetti sulla demografia
La limitazione delle attività e l’incertezza generata dalla crisi hanno prodotto effetti anche sulla demografia di impresa: nei primi otto mesi del 2020 sono state perse un quinto delle nascite di aziende rispetto allo stesso periodo del 2019. A partire da giugno, si registra un lieve recupero che tuttavia non basterà per riguadagnare i livelli persi nella prima metà dell’anno. La mancanza di queste nuove imprese potrebbe anche avere effetti sul piano occupazionale, considerando che nell’ultimo decennio quelle con meno di 5 anni di età hanno contribuito per più della metà alla creazione di nuova occupazione.