Tratto da lavoce.info
DI PIERGIUSEPPE FORTUNATO, docente di politica economica presso l’ Université de Neuchâtel
E MARCO PECORARO, collaboratore scientifico presso l’Ufficio federale di statistica Svizzero e docente all’Università di Neuchâtel
Le rivelazioni di Frances Haugen su Facebook hanno riportato al centro dell’attenzione il ruolo di internet e social media nel condizionare l’opinione pubblica. Uno studio ci aiuta a scoprire quali sono le categorie più esposte alla propaganda in rete.
Facebook e i contenuti divisivi
Stando alle dichiarazioni rilasciate da Frances Haugen prima al Wall Street Journal e poi al Congresso degli Stati Uniti, gli algoritmi impiegati da Facebook privilegiano scientemente i contenuti più divisivi e polarizzanti. Questi contenuti tendono infatti a essere condivisi con maggiore frequenza dagli utenti, aumentando così il traffico sulla piattaforma e dunque anche il volume d’affari dell’azienda di Menlo Park. Questo modus operandi sarebbe diventato ancora più esplicito nel 2018, quando la piattaforma ha cominciato a promuovere contenuti con elevati livelli di engagement in maniera più aggressiva, generando così un sistema perverso di incentivi che spinge anche gli utenti relativamente moderati a inasprire e polarizzare i propri contenuti per ottenere una maggiore visibilità.
Haugen sostiene anche che con il crescere del volume dei contenuti divisivi diventa più difficile, ed estremamente più costoso, il monitoraggio della piattaforma, specie in aree marginali dove il ritorno economico non è sufficiente a giustificare la spesa. Un pericolosissimo corto circuito, soprattutto in tempi in cui finanche Capitol Hill può esser messa sotto assedio grazie al coordinamento telematico.
La ricerca
Ma quali sono le categorie di utenti più esposte alla propaganda online? È possibile tracciare un identikit delle vittime dei nuovi algoritmi di Facebook e di coloro i quali ne fanno uso?
Con l’aiuto dei dati prodotti dalla European Social Survey (Ess), che monitora atteggiamenti e preferenze nei paesi europei e riguarda circa 50 mila individui, e dall’indagine multiscopo sulle famiglie italiane prodotta dall’Istat (Msh), abbiamo cercato di capire quali sono le caratteristiche individuali che rendono gli utenti dei social media, e più in generale chi utilizza internet per acquisire informazioni sullo scenario politico, più proni a farsi condizionare da contenuti divisivi. Dato che la nostra indagine si focalizza sui paesi dell’Unione europea, esaminiamo in particolare la correlazione fra l’utilizzo di internet e social media e il diffondersi di idee sovraniste che si manifesta, per esempio, in opinioni sfavorevoli nei confronti dell’Unione europea e delle sue principali istituzioni.
I dati dell’ottavo round della Ess ci svelano come l’esposizione a internet aumenti la probabilità di sviluppare preferenze sovraniste solo per individui con bassi livelli di istruzione o occupazioni poco sicure e poco remunerative. Le preferenze sovraniste vengono saggiate tramite una domanda che interpella gli intervistati sul desiderio o meno di lasciare l’Unione, mentre l’esposizione alla politica online con una domanda relativa all’aver postato o condiviso contenuti afferenti al dibattito politico nel corso degli ultimi 12 mesi. La figura 1 riporta le nostre stime e mostra come l’impatto dell’esposizione in rete sulla probabilità di proferirsi a favore dell’uscita dall’Unione europea è positivo e statisticamente significativo solo per individui con meno di 13 anni di istruzione (equivalente all’incirca all’educazione dell’obbligo nella maggior parte dei paesi europei), mentre è addirittura negativo per individui che hanno raggiunto livelli d’istruzione superiori ai 17 anni.
Risultati analoghi emergono quando studiamo la differente tipologia d’impatto dell’esposizione alla politica in rete fra individui con situazioni lavorative diverse; coloro che hanno alle spalle lunghi periodi di disoccupazione e impieghi instabili risultano molto più influenzabili rispetto a chi gode di una situazione lavorativa più stabile.
Il ruolo dei social media
Non tutta l’attività online può essere però accomunata ed è importante stabilire se l’utilizzo precipuo dei social media abbia effetti diversi rispetto al più tradizionale scambio di e-mail o alla consultazione di testate giornalistiche o blog su internet. L’indagine Istat ci permette di esplorare anche questo aspetto visto che, a differenza di Ess, chiede agli interpellati di distinguere tra semplice esposizione a informazioni politiche in rete e utilizzo specifico dei social media a tale scopo.
La figura 2 mostra come si distribuisce la fiducia per il Parlamento europeo rispetto al livello di istruzione e al tipo di esposizione in rete nei dati dell’indagine Istat. In linea con i risultati ottenuti utilizzando l’Ess, la fiducia nel principale organo elettivo dell’Unione risulta mediamente più elevata fra gli individui più istruiti (cioè quelli che ottengono diplomi oltre l’istruzione obbligatoria) indipendentemente dalla tipologia di esposizione a internet.
Ma i dati suggeriscono anche che il mezzo utilizzato per acquisire informazioni in rete non è neutro. Gli intervistati che utilizzano i social media per acquisire informazioni di natura politica mostrano in media una minore fiducia nel Parlamento europeo rispetto agli intervistati che non fanno uso della rete. Al contrario, gli interpellati che dichiarano di far uso della rete per acquisire informazioni di natura politica, ma di non farlo sui social media, hanno in media maggiore fiducia rispetto agli individui che non fanno uso della rete. L’utilizzo di internet in sé non sembrerebbe dunque associato al diffondersi di opinioni critiche verso il sistema, quanto lo è invece l’impiego dei social media.
Tuttavia, la correlazione potrebbe essere interpretata sia come l’effetto dell’esposizione ai social media sulle preferenze politiche che come il suo contrario. Individui animati da idee particolarmente divisive e antisistema potrebbero infatti esser motivati a cercarne conferma sui social media che, come sottolineato proprio da Frances Haugen, rappresentano una efficace cassa di risonanza per estremismi di varia natura.
Per identificare la direzione di causalità, usiamo variabili strumentali, ossia determinanti della esposizione a informazioni politiche sui social media che siano esterne rispetto all’ideologia politica. In particolare, seguendo l’esempio di uno studio che esamina come l’accesso a internet influenzi la partecipazione politica, nel nostro articolo facciamo uso di una serie di variabili che catturano la velocità di connessione a disposizione del rispondente per predire l’esposizione dello stesso ai social media.
Dalle nostre stime emerge che, se restringiamo il campione ai soli individui che non hanno proseguito gli studi dopo la scuola dell’obbligo, l’impatto dell’utilizzo dei social media sulla fiducia nel Parlamento europeo è negativo e significativo. La significatività dei coefficienti stimati svanisce invece quando guardiamo all’impatto su individui più istruiti o consideriamo l’esposizione a internet non mediata dalle reti sociali.
Nel loro insieme i nostri risultati sembrano confermare le preoccupazioni di Haugen: promuovere la circolazione di contenuti divisivi utili a generare un elevato traffico sulle piattaforme di riferimento rende i social media un potente strumento di propaganda e favorisce il diffondersi di opinioni estreme. D’altro canto, i nostri risultati suggeriscono anche come tale propaganda trovi terreno fertile solo fra individui con livelli di istruzione relativamente bassi o con occupazioni instabili e poco remunerative.
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