Tratto da lavoce.info
di Andrea Ciffolilli, esperto senior di politiche europee per lo sviluppo regionale e l’innovazione.
e Marco Pompili, esperto in analisi e valutazione delle politiche di sviluppo regionale, del lavoro e delle politiche di coesione europee.
Come spendere bene le risorse del Recovery Fund, sostenendo la crescita? Uno strumento utile sono le valutazioni. E si può far tesoro delle informazioni di quelle condotte in Europa dal 2015, che coprono tutte le aree rilevanti del Next Generation EU.
Il Pnrr e la valutazione
Next Generation EU, impropriamente definito “Recovery Fund” (o “found” da chi forse pensa incredulo al ritrovamento di un tesoretto), è lo strumento da 750 miliardi (200 per l’Italia) che contribuirà a riparare i danni socio-economici della pandemia di coronavirus, per creare un’Europa più verde, digitale e resiliente. Le difficoltà di concordare un Piano nazionale, soddisfacente per tutte le parti politiche, hanno di fatto portato alla caduta del governo Conte bis e alla chiamata di Mario Draghi.
Alcune settimane fa un articolo su lavoce.info sottolineava giustamente l’importanza di scegliere come spendere le risorse sulla base dell’evidenza che viene dalla valutazione degli interventi. Si evidenziava che la valutazione è poco amata in Italia e spesso interpretata in modo approssimativo, piuttosto che come rigorosa analisi controfattuale dei nessi causali e degli impatti. Inoltre, si auspicava la creazione di un soggetto pubblico all’uopo.
Sulla base dell’esperienza maturata in quasi un ventennio di assistenza alla Commissione europea sulla valutazione delle politiche regionali, pensiamo sia utile contestualizzare alcune di queste raccomandazioni per contribuire a un dibattito non solo teorico, ma orientato a fornire indicazioni concrete su come utilizzare nel modo migliore le conoscenze che si ricavano dalla valutazione e quindi le risorse che ci arriveranno dall’Europa.
L’attività delle Autorità di gestione dei programmi operativi
In primo luogo, va osservato che il Piano nazionale di ripresa e resilienza dovrà programmare entro aprile le politiche che utilizzeranno le risorse Ue nel prossimo decennio. Quindi, ha poco senso parlare di valutazione di impatto controfattuale in una fase di programmazione. Certamente, anche qui la valutazione è importante, sia perché può fornire una stima prospettica degli effetti di opzioni alternative (impact assessment) sia perché le valutazioni esistenti delle politiche passate possono dare indicazioni sugli strumenti che hanno funzionato e quelli che invece non hanno funzionato, e su quali accorgimenti bisogna apportare per migliorarne l’efficacia, l’efficienza o il valore aggiunto. A tal proposito, esiste una ampia messe di informazioni sulle valutazioni condotte in Europa dal 2015 e commissionate dalle Autorità di gestione dei programmi operativi, censite e sintetizzate sistematicamente dal progetto “Evaluation Helpdesk”. I dati ci dicono in realtà che le valutazioni sono numerose, quasi 1.600 in Europa di cui ben 199 in Italia, e coprono tutte le aree di policy rilevanti per Next Generation EU (figura 1).
A queste valutazioni si aggiungono quelle accademiche e tutti gli altri studi sulle politiche non direttamente commissionati dalle Autorità di gestione. Chiaramente, non tutte quelle realizzate negli ultimi dieci anni sono degne di nota e utili. Le valutazioni di impatto sono un sottoinsieme ristretto e ancor più quelle controfattuali (figura 2). Tuttavia, non tutti gli interventi possono essere valutati con metodi controfattuali, quindi è essenziale avvicinarsi alla valutazione con una visione non integralista, riconoscendo che input molto utili e a volte non sostituibili possono provenire dalla valutazione basata sulla teoria, da analisi qualitative, nonché da approfondimenti sull’esecuzione dei progetti.
Come scegliere i valutatori
Il tema della governance e dei soggetti incaricati della valutazione indipendente è anch’esso importante. Soggetti pubblici preposti a realizzare valutazioni o coadiuvare i processi di valutazione già esistono sia a livello centrale (Inapp, Anpal, Invitalia, Nuval, per esempio) che regionale (come Irpet, Ires Piemonte, Polis Lombardia, Nuclei di valutazione in qualche caso) e non si capisce l’utilità di crearne uno ulteriore, quando semmai sarebbe il caso di razionalizzare quelli che esistono.
Inoltre, l’accademia già si occupa di valutazione al fine di trarne pubblicazioni scientifiche. È un incentivo reputazionale poderoso e non è chiaro in quali altri modi andrebbero messi in concorrenza i ricercatori.
Non va poi dimenticato che nella valutazione, da qualche decennio, opera una moltitudine di soggetti privati che compete sul mercato partecipando ai bandi pubblicati dalle autorità di gestione dei fondi, nonché dalla Commissione e dal Parlamento europeo.
In definitiva, per orientare nel modo migliore le scelte di Next Generation EU già esiste una evidenza valutativa significativa, forse non sempre eccelsa, ma utile e che andrebbe valorizzata.
Ciò è rilevante soprattutto nella fase attuale di programmazione, in cui si impostano gli interventi, più che in momenti successivi, quando si può ipotizzare che abbiano già prodotto impatti rilevanti. Le evidenze valutative a disposizione sono importanti per definire il Piano italiano, ma bisogna anche assicurarsi che esso incorpori una cultura valutativa, definendo obiettivi e risultati attesi, un aspetto sicuramente trascurato nelle bozze in circolazione. Bisogna poi riconoscere che la valutazione non è solo rigorosa analisi controfattuale di impatto ma anche, ove il metodo controfattuale è inapplicabile, analisi basata sulla teoria e analisi qualitativa. Infine, non vi è una carenza di soggetti preposti alla valutazione, ma forse un esubero. Però su questo fronte chi commissiona le analisi ha molti strumenti per intervenire, selezionando i valutatori sulla base della qualità del servizio invece che sul prezzo, richiedendo le necessarie competenze e analizzando rigorosamente i cv dei gruppi di lavoro.