Tratto da lavoce.info
DI FRANCESCO CORTI, ricercatore post-doc presso il dipartimento di scienze politiche e sociali dell’Università degli Studi di Milano e ricercatore associato presso il Center for European Policy Studies (Ceps) di Bruxelles
E DANIEL GROS, presidente del Centre for European Policy Studies (Ceps) di Bruxelles
Come utilizzano i fondi del Pnrr Germania e Italia? Berlino ha scelto il consolidamento della finanza pubblica. Roma invece scommette su un complesso di riforme e investimenti, che dovrebbe produrre un impatto positivo e persistente sulla crescita del Pil.
Come si esce dalla crisi
La recente crisi pandemica ha riacceso il dibattito sulle politiche fiscali e sul ruolo del deficit per sostenere la crescita. Per rispondere alla crisi, i governi hanno accompagnato ai tradizionali stabilizzatori automatici misure discrezionali ad hoc per proteggere l’occupazione, sostenere le famiglie, rafforzare il sistema sanitario e garantire liquidità alle imprese.
Complessivamente, i pacchetti di misure adottati per affrontare il Covid-19 hanno prodotto un marcato aumento del rapporto debito pubblico/Pil, che in Italia passa dal 134,6 per cento nel 2019 al 159,8 per cento nel 2021, e in Germania solo dal 60 al 75 per cento nel 2021 – metà del valore dell’Italia. La Germania non ha problemi di sostenibilità di bilancio, mentre il problema rimane serio per l’Italia. In questo scenario, la domanda è quanto a lungo l’attuale stimolo fiscale deve e può rimanere elevato. Sulla questione, i due paesi europei sembrano avere opinioni diverse. Le ragioni delle differenze di vedute possono rintracciarsi nelle letture che hanno dato della crisi pandemica.
In Italia la crisi è stata vista come una conferma della necessità di un debito comune e di stabilizzatori automatici per far fronte a shock asimmetrici. In Germania è stata interpretata come una conferma della necessità di un approccio prudente alle politiche fiscali, che permetta nel momento di crisi di spendere di più per proteggere lavoratori, famiglie e imprese. Se per l’Italia l’uscita dalla crisi deve dunque passare, oltre che dall’attuazione delle riforme strutturali, da un piano di investimenti pubblici che possano aumentare il potenziale di crescita e ridurre il rapporto tra debito e Pil, agendo quindi sul denominatore, per la Germania il consolidamento fiscale resta prioritario. E infatti Berlino prospetta un rientro del disavanzo pubblico già nel 2024, mentre l’Italia proietta per lo stesso anno un disavanzo al 3,4 per cento del Pil.
Le differenze di visioni si riflettono oggi anche nei piani di ripresa e resilienza definiti da Italia e Germania.
Italia e Germania: piani a confronto
L’Italia ha presentato un piano per 191,5 miliardi di euro – circa il 7,4 per cento del Pil – di cui 68,9 miliardi in trasferimenti e 122,6 in prestiti, che include 142 progetti di investimento e 87 riforme. A questi si aggiungono circa 13 miliardi provenienti dal programma React-EU e 30 miliardi che il governo Draghi ha messo a disposizione attraverso la creazione di un Fondo complementare, portando così il piano di rilancio italiano a circa 233 miliardi.
Il piano della Germania è molto più modesto. Ammonta a 25,6 miliardi di euro – circa 0,7 per cento del Pil (un decimo del valore per l’Italia) – basandosi solo su trasferimenti e include 40 progetti di investimenti e 27 riforme. Al netto delle dimensioni dei due piani, che riflettono le differenti condizioni macroeconomiche dei due paesi prima della crisi e l’impatto della medesima su occupazione e Pil – la prima sostanziale differenza tra i due Pnrr emerge guardando alla cronologia indicata per il completamento di riforme e progetti di investimento.
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Come emerge in figura 1, mentre l’Italia dà priorità alla realizzazione delle riforme e lascia il completamento dei progetti di investimento alla fine del Pnrr, la Germania anticipa sia le riforme sia i piani di investimento. Il completamento di riforme e progetti di investimento è condizione necessaria per ottenere il rimborso da parte della Commissione per le spese sostenute nel quadro del Drr, il che implica che – fatta eccezione per il prefinanziamento del 13 per cento ottenuto in sede di approvazione del Pnrr – l’Italia otterrà verosimilmente i fondi più tardi rispetto alla Germania – posto che quest’ultima approvi tutte le riforme indicate in tempo, dato non scontato vista la campagna elettorale in corso. Questo non significa che l’Italia inizierà a spendere dopo la Germania, ma semplicemente che otterrà i rimborsi più tardi.
La tabella 1 riassume il dettaglio della spesa finanziata dai trasferimenti o prestiti del Drr di Italia e Germania tra 2020 e 2026.
Emergono due aspetti.
Il primo è che la spesa in conto capitale, ovvero la spesa per investimenti diretti e indiretti, dell’Italia rappresenta circa l’84 per cento della spesa finanziata dal Drr, mentre la percentuale si abbassa al 57 per cento nel caso della Germania.
Il secondo è che – anche considerando le proiezioni di spesa – la Germania anticipa larga parte delle spese finanziate dal Drr arrivando già nel 2023 a spendere l’81 per cento dei fondi di ripresa e resilienza, mentre nello stesso anno l’Italia avrà speso il 56 per cento dei fondi.
Come spiegare la differenza?
La risposta è duplice e si lega sia al tipo di spesa che viene finanziata con il Drr sia alla velocità di assorbimento dei fondi. Nel primo caso, l’Italia ha deciso di utilizzare i fondi europei per finanziare spesa addizionale, mentre la Germania ha preferito seguire la linea del consolidamento fiscale, quindi coprendo progetti già messi a bilancio o addirittura già finanziati nel 2020. E infatti, larga parte dei progetti di investimento presentati dall’Italia, circa il 71 per cento, sono nuovi e non inclusi nelle precedenti leggi di bilancio, richiedendo quindi maggiori tempi per l’attuazione e il completamento.
È interessante osservare che differenze tra Italia e Germania emergono anche nei progetti che i due paesi finanzieranno con i fondi del Drr. Infatti, se a prima vista, come si vede dalla figura 2, sembrano avere le stesse priorità, allocando entrambi circa il 40 per cento dei fondi del Drr nella transizione verde e il 21 per cento nella trasformazione digitale, tuttavia dietro i medesimi obiettivi si trovano progetti diversi, con tempi di realizzazione diversi.
Un esempio riguarda la cosiddetta spesa verde, che nel piano italiano include come investimento principale circa 25 miliardi per la costruzione di linee di alta velocità nel trasporto ferroviario il cui completamento è previsto nel 2026, mentre l’investimento principale della Germania, da attuare entro il 2022, è costituito da 2,5 miliardi di incentivi per sostenere l’acquisto da parte dei privati di autoveicoli elettrici o a idrogeno.
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Il secondo fattore che spiega la posticipazione degli investimenti rispetto alle riforme si ricollega alla difficoltà dell’Italia nell’assorbire i fondi strutturali europei. Al 30 luglio 2021, ha infatti speso solo il 51 per cento dei fondi strutturali destinati per la programmazione 2014-2020. In aggiunta, l’amministrazione pubblica e la giustizia soffrono di ritardi e di lentezza cronica dovuti in parte a un personale numericamente insufficiente e spesso poco qualificato e alla complessità delle regole che rendono il paese non solo incapace di veicolare investimenti pubblici. ma anche di attrarre quelli privati (Doing Business 2021). Per queste ragioni, l’Italia include principalmente due gruppi di riforme – orizzontali e abilitanti – da realizzare tra il 2021 e 2022.
Le riforme orizzontali sono definite come innovazioni strutturali dello stato italiano e comprendono la riforma della pubblica amministrazione e del sistema giudiziario. Per riforme abilitanti si intendono gli interventi funzionali a garantire l’attuazione del Piano e in generale a rimuovere gli ostacoli amministrativi, regolamentari e procedurali che incidono sulle attività economiche e sulla qualità dei servizi erogati ai cittadini e alle imprese. Al contrario, le riforme incluse nel piano tedesco sono per la maggior parte settoriali, ovvero consistono in specifiche innovazioni normative relative a specifici ambiti di intervento o attività economiche, volte a introdurre regimi normativi e procedurali più efficienti.
Il confronto del piano italiano con quello tedesco rappresenta un interessante esercizio per capire come i fondi del dispositivo di ripresa e resilienza possono essere utilizzati.
La Germania ha scelto il consolidamento della finanza pubblica, con una modesta accelerazione degli investimenti pubblici che peraltro stavano già crescendo a un ritmo sostenuto da parecchi anni. L’Italia punta su un “all in” di riforme e spesa lasciando il debito pubblico aumentare di altri 20 punti percentuali del Pil. La scommessa si basa sulla speranza che l’attuazione delle riforme e degli investimenti dovrebbe produrre un sostanziale impatto positivo e soprattutto persistente sulla crescita del Pil. Un debito pubblico vicino al 160 per cento del Pil sarà sostenibile soltanto se il tasso di crescita aumenta in modo duraturo, oltre il 2026. Non basta una fiammata temporanea di crescita indotta dalle spese Pnrr.
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