Tratto da lavoce.info
di Stefano Landi, dopo una lunga esperienza al Censis, ha collaborato con molte Regioni italiane nel definirne le strategie turistiche
Un portale, un investimento apparentemente massiccio sulla competitività, un “programma speciale” ritagliato su Roma capitale: sono gli investimenti del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) per il capitolo turismo. Ma i benefici veri arriveranno da altri provvedimenti più generali.
Quali investimenti per il settore
È molto probabile che i più importanti risultati del Piano nazionale di ripresa e resilienza sul settore del turismo non saranno prodotti dalle misure di investimento previste nella componente “Turismo e Cultura 4.0” – che peraltro, per importanza, dovrebbe chiamarsi “Cultura e Turismo”: riserva infatti 4,28 miliardi alla prima e 2,4 al secondo. Realisticamente, è nella digitalizzazione complessiva del sistema-paese, nell’impulso al trasporto ferroviario veloce e locale, nella riqualificazione dei suoi hub (le medie stazioni) e nella “svolta green” che si verificheranno gli effetti più importanti. In molti casi si tratta di “esternalità”, ma in altri si tratta di componenti dirette dei prodotti turistici nazionali e delle loro qualità: la diffusione della cultura e dell’offerta di banda e di servizi online, la raggiungibilità veloce e la fruibilità lenta intermodale delle destinazioni turistiche, l’accresciuta sostenibilità ambientale dei territori.
Anche la rimozione delle barriere fisiche e cognitive giocherà un ruolo di primo piano, insieme alla rigenerazione di molti luoghi (tra cui i borghi e i giardini) e alla apertura e gestione di patrimoni ancora non fruibili, soprattutto in luoghi alternativi a quelli caratterizzati, fino a tutto il 2019, dal sovra-turismo. È in questo quadro che vanno viste le attenzioni riservate ai tre fondamentali investimenti indicati nel Pnrr al titolo “Turismo”, sotto un cappello in cui sono riportati concetti condivisibili quali: riqualificazione, ammodernamento, network e aggregazione.
Hub del turismo digitale
Qui si ragiona essenzialmente di una “messa a scala” del portale Italia.it, mediante la sacrosanta integrazione con fonti aggiuntive, l’ampliamento del portafoglio servizi, i contenuti editoriali tematici. Tutto sommato, è proprio quello che si sarebbe dovuto fare fin dall’inizio del percorso travagliato di questa infrastruttura necessaria, ma in sé non sufficiente. A ben vedere, si tratta di una precondizione per il nostro turismo, nonostante la vicenda del portale – avviato nel 2004 e più volte ritirato, destinatario di un investimento ingente anche se mai del tutto calcolato – abbia portato sinora a un risultato deludente in quanto scolastico, ben lontano dall’essere utile e gradevole, come invece sono molti dei portali regionali nel frattempo arrivati online.
Si prevede quindi un “data lake” di informazioni che in qualche modo esistono già, dalle recensioni alle celle telefoniche, dai movimenti delle carte di credito ai titoli di viaggio. Sarebbe veramente una svolta storica poter conoscere i gradimenti, i comportamenti, le scelte, i profili e le spese dei nostri ospiti, che ancora oggi misuriamo quasi solo contando le teste, neanche fossero una mandria. È previsto anche un kit di sopravvivenza digitale per imprese piccole o arretrate, una sorta di salvagente per chi ancora non sa nuotare da solo nel mare digitale, che poi vuol dire essenzialmente acquisire strumenti di contatto diretto con i clienti e costruire rapporti vantaggioso con i canali di vendita.
Fondi integrati per la competitività delle imprese
Si deve partire dalla constatazione che le imprese turistiche in Italia sono quelle ricettive (dove si dorme) e quelle che organizzano e vendono i viaggi. A loro favore, quasi una sorta di neo-ristoro, viene destinata la fetta teoricamente più grossa, 1,8 miliardi, che rischia però di rivelarsi piccola cosa se la si distribuirà “a pioggia”, beneficiando, in media con 40 mila euro, ognuna delle circa 35 mila strutture ricettive “convenzionali” (alberghi, villaggi, campeggi) e le 10 mila tra agenzie viaggi e tour operator.
I criteri proposti sono, in linea generale, condivisibili: si va dalla cura per l’ambiente all’upgrade di “mobili e immobili”, dall’uso di energie rinnovabili alla riqualificazione, dalla spinta verso l’alto (“top quality”) alla riqualificazione degli alberghi più “iconici”, fino alla facilitazione all’accesso al credito per imprenditori e giovani che vogliano mettersi in gioco. Si parla anche di acquistare e riqualificare 1.500 camere alberghiere di prestigio (quante strutture?) per le catene che operano al Sud, con una modalità che riecheggia diverse altre iniziative fallite in passato, dalla Cassa per il Mezzogiorno in poi.
Caput Mundi – Next generation EU per grandi eventi turistici
In questa parte si stanziano 500 milioni che, neanche troppo velatamente, vanno a beneficiare Roma capitale e le sue prossime scadenze internazionali: Ryder Cup di golf e Giubileo del 2025, a patto che si tenga in presenza, diversamente da quanto accaduto nel 2015. Singolare, tra l’altro, che la filosofia di fondo sia quella condensata nel titolo di un libro di recente pubblicazione: “Tutte le strade partono da Roma”. Sotto questo cappello immaginifico si allocano una serie di azioni puntuali che non fanno invidia alle storiche Finanziarie-omnibus.
Infine, viene citata una riforma senza costi, ma anche senza contenuti: l’ordinamento delle professioni delle guide turistiche (e perché, ad esempio, non la classificazione alberghiera in stelle?). Peccato che il coordinamento delle regioni abbia in programma da sempre questa riforma, senza mai però riuscire a realizzarla. In sintesi, mentre la cornice generale del Piano è ricca e splendente, il riquadro che ritrae il turismo sembra solo abbozzato, parziale e forse anche poco incisivo. Dettagli senza una visione.